Svolgendo la dottrina della mediazione l'autore della Città di Dio risponde ad un problema posto ma sciolto male dai filosofi pagani. Si è detto sopra di questa impostazione e della soluzione inaccettabile proposta 1. Ma un Problema non si scioglie combattendo la soluzione altrui; occorre presentare la propria. Agostino lo fa illustrando e difendendo non la sua, ma quella, che poi era sua per fede, della rivelazione cristiana.
Il testo biblico fondamentale è quello di S. Paolo, 1 Tim 2, 5. La teologia di questo testo comincia con il concetto della mediazione. Mediatore è colui che stando ontologicamente nel mezzo tra due estremi, vicino ad entrambi per natura, può riconciliarli e li riconcilia di fatto con la sua azione. L'uomo, per esempio, è ontologicamente nel mezzo tra le cose corporee e quelle spirituali o, come dice Agostino, tra le bestie e gli angeli, avendo in comune con le une la mortalità, con gli altri la razionalità 2. Tale deve essere il mediatore di salvezza.
Dio possiede la giustizia e l'immortalità e quindi la beatitudine; l'uomo il peccato e la mortalità, e quindi la miseria: il mediatore dev'essere immortale e beato con Dio, mortale e misero con gli uomini. La miseria dev'essere transeunte, la beatitudine permanente. Cristo, che nell'unità della persona è Dio insieme e uomo, totus Deus et totus homo 3, adempie perfettamente questo concetto di mediazione. E' mediatore come uomo 4 o più esattamente come uomo-Dio: " Non è mediatore l'uomo senza la divinità, non è mediatore Dio senza l'umanità... tra la divinità sola e l'umanità sola è mediatrice l'umana divinità e la divina umanità di Cristo" 5.
Compito della mediazione di Cristo è quello di togliere agli uomini i due loro mali - il peccato e la morte - e renderli partecipi dei due beni di Dio, la giustizia e l'immortalità; in questo modo essi passeranno dallo stato della miseria a quello di beatitudine. Ecco un testo agostiniano fortemente sintetico: " Rimanendo immutabile, egli, il Figlio di Dio, ha preso da noi, per prenderci con sé, la nostra natura; e, nulla perdendo della sua divinità, si è reso partecipe della nostra infermità, affinché noi, cambiati in meglio, perdessimo la nostra condizione di peccatori e di mortali divenendo in lui giusti e immortali; riempiti così del sommo bene, conservassimo nella bontà della sua natura quanto di buono Dio ha creato nella nostra" 6. Non si può non ammirare in questo testo e il concetto di mediazione e quello di salvezza. Proprio così: l'uomo non è salvo se non perde i suoi mali; e non li perde se non partecipando ai beni propri di Dio.
Il problema della via universale alla salvezza lo aveva posto anche Porfirio, confessando però di non sapere se ne fosse stata trovata la soluzione. Ad Agostino non è difficile dimostrare con tutti gli argomenti dell'apologetica cristiana 7, che questa via esiste ed è nota al mondo: è Cristo Gesù, il fondatore e il re della città di Dio. Ecco la sua conclusione: " Fuori di questa via, che non mancò mai al genere umano... nessuno fu mai liberato, nessuno è liberato, nessuno sarà liberato" 8.
Si noti, in queste forti parole, l'inciso: che non mancò mai al genere umano. Infatti Cristo è e fu la via aperta sempre e a tutti, prima e dopo la sua nascita, sia tra il popolo eletto che fuori. Il pensiero del vescovo d'Ippona è esplicito su questo punto, anche se non sempre gli studiosi ne prendono atto. " Non si può negare - e Agostino pensa che neppure i giudei vogliano negarlo - che anche tra gli altri popoli - fuori del popolo detto propriamente popolo di Dio - ci siamo stati alcuni uomini appartenenti ai veri israeliti, in quanto cittadini della patria superna, ad essa associati con un vincolo non terreno ma celeste ". Chi ne volesse dubitare sarebbe subito convinto dall'esempio ammirabile di Giobbe, il quale ci è stato proposto proprio per convincerci di questa verità. " Ma si deve credere anche - conclude il nostro Dottore - che a nessuno sia stato concesso di appartenere alla Gerusalemme celeste, alla città di Dio, se non gli è stato divinamente rivelato l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, l'Uomo Cristo Gesù 9. In questo modo l'unicità si concilia con l'universalità e Cristo appare, come Agostino voleva dimostrare, fonte di salvezza e di grazia per tutti gli uomini.
Questo difficile e importantissimo tema lo aveva già trattato nelle Questioni contro i pagani [=Ep. 102] per rispondere alla seconda delle difficoltà proposte da Porfirio. Il discepolo di Plotino 10 diceva: " Se Cristo proclama se stesso la via della salvezza... e... unico mediatore per tornare a Dio, che cosa han fatto gli uomini di tanti secoli prima di Cristo?" 11. La risposta di Agostino è chiara: la salvezza cristiana " non mancò mai a chi ne fosse degno" 12. Tanto chiara che i pelagiani potevano interpretarla a loro favore, e per questo l'autore la conferma e spiega nelle Ritrattazioni 13. Difatti a loro favore l'interpretarono i monaci di Marsiglia. Perciò il nostro Dottore, dandoci preziose indicazioni metodologiche sul modo di trattare le questioni una per volta e quando sia necessario, ci torna sopra e la conferma e la spiega di nuovo nel De praedestinatine sanctorum 14, che è una delle ultime sue opere.
Ci si chiede oggi perché Agostino, parlando delle conseguenze del peccato di Adamo, non si sia fermato alla pena della morte e della concupiscenza, ma sia andato più avanti affermando l'ereditarietà anche del peccato 15. Prima di rispondere giova fare un'osservazione: la questione proposta nasce da una mentalità diversa da quella agostiniana. Il vescovo d'Ippona considera strettamente unite e inseparabili la pena e la colpa: ebbe occasione di esprimere la sua convinzione quando i pelagiani, dopo la condanna innocenziana, cambiando la prima posizione, quella assunta e difesa all'inizio, separarono, appunto come fanno alcuni moderni, l'una dall'altra, e ammisero, o sembrano ammettere, che dal peccato di Adamo ci derivi la prima ma non la seconda 16.
Detto questo, si deve aggiungere che le risposte date da una certa corrente storiografica a una questione così posta sono molto diverse: quella che Agostino ha inventato il peccato originale, o quella che lo ha identificato con la concupiscenza, o quella ancora che ha subito l'influsso di correnti teologiche eterodosse, o quella infine che ha fondato la sua dottrina su pochi testi biblici nei quali in realtà non si trova. Non sono queste le risposte che veramente rispondano. La risposta vera ce la offre lo stesso Agostino proponendo ed illustrando due tesi di fondo: la redenzione e il battesimo dei bambini. La teologia dell'una e dell'altra - le due tesi sono strettamente legate fra loro - costituisce il fondamento della convinzione, che ebbe chiara e fortissima, della trasmissione del peccato originale. Vediamo la prima.
Del posto centrale che occupa la redenzione nel sistema dottrinale agostiniano circa il peccato e la grazia e del metodo argomentativo che non va dal peccato alla redenzione, ma dalla redenzione al peccato. Qui si vuol richiamare l'attenzione su alcuni approfondimenti che Agostino in polemica con i pelagiani ha apportato: riguardano la natura, la necessità, l'oggettività, l'universalità della redenzione. Non c'è bisogno di ripetere che da questi chiarimenti dipende tutta la dottrina del peccato originale e della grazia sanante che Agostino oppone ai pelagiani.
L'argomento della redenzione può essere studiato su due versanti, diversi anche se strettamente uniti: quello cristologico e quello antropologico. Sul primo si studia la persona di Cristo mediatore e nostra giustizia presso il Padre, sul secondo il modo in cui la redenzione è stata compiuta e gli effetti che opera in noi. Il vescovo d'Ippona ha trattato l'uno e l'altro 17, ma a noi qui interessa il secondo. Non potendo inoltrarci a studiare anche il primo, interessante ma più lontano dal nostro argomento, lo supponiamo, rimandando agli studi recenti e meno recenti 18.
Fin dall'inizio della controversia pelagiana la questione che Agostino dovette chiarire fu quella riguardante la natura della redenzione; se cioè consista solo nella promozione al bene o anche nella liberazione dal male. I pelagiani erano per la prima parte della disgiuntiva, Agostino dimostra che bisogna ammettere anche la seconda. Più chiaramente. I pelagiani parlavano di redenzione come parlavano di battesimo dei bambini, ammettendo la necessità di ambedue, ma lo facevano con un discorso che Agostino non dubita di giudicare equivoco. Ammettevano infatti il battesimo dei bambini perché ricevessero una "procreazione pirituale" ed entrassero così nel regno dei cieli; ammettevano la redenzione perché fossero trasferiti da una condizione buona ad un'altra migliore 19. Agostino ribatte: impostano male il problema, non è questo che viene contestato loro, cioè non quello che affermano ma quello che negano. Negano infatti che nel battesimo venga rimesso ai bambini il peccato contratto con la generazione, e che la redenzione li liberi dal male, cioè li trasferisca da una condizione misera a una felice. Questo viene contestato loro, non altro.
Ora quello che i pelagiani negavano, Agostino lo afferma e lo difende. Lo fa con uno studio di teologia biblica. Esamina molti testi riguardanti la redenzione - una sessantina - e osserva che la Scrittura, con tante immagini diverse, dice apertamente che l'opera di Cristo a nostro favore contiene un aspetto positivo di promozione al bene e uno negativo di liberazione dal male: i due aspetti sono inseparabili. Perché infatti si dice che veniamo vivificati, salvati, liberati, redenti, illuminati da Cristo - sono queste alcune delle immagini più frequenti - se non perché eravamo nella morte, nell'infermità, nella schiavitù, nella prigionia, nelle tenebre? E di che cosa, se non del peccato? Cristo infatti è l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv 1, 29), il Medico che non è venuto per i sani ma per gli ammalati (Mt 9, 12), il Figlio dell'uomo che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (Lc 15, 8), venuto non per chiamare i giusti ma i peccatori (Lc 51 32), il Redentore che ha versato per tutti il suo sangue in remissione dei peccati, Colui che è stato chiamato Gesù - su questo nome santo insiste molto Agostino 20 - perché sarà per tutti Gesù, cioè "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1, 21). Difatti, "Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture" (1 Cor 15, 3).
Breve saggio della diligenza con la quale il vescovo d'Ippona costruisce la teologia riguardante la nozione stessa della redenzione. La polemica lo indurrà ad insistere sull'aspetto negativo, quello di liberazione; ma fuori di polemica parlerà spesso anche dell'altro, illustrando il rinnovamento interiore e la divinizzazione dell'uomo in Cristo. Se ne parlerà a proposito della giustificazione. Qui giova rilevare un altro tema sul quale insiste per dimostrare la sua tesi, la riconciliazione degli uomini con Dio. Questo tema emerge già nella prima opera antipelagiana e ritorna nelle opere seguenti, quando si pose esplicitamente il problema della trasmissione della pena, cioè della morte, senza la trasmissione della colpa, cioè del peccato originale (originato).
L'argomentazione si fonda su due testi essenziali di san Paolo: 2 Cor 5, 18-20 e Rom 5, 10-11. Quest'ultimo viene ricollegato con tutta la pericope seguente, la celebre pericope del raffronto fra Adamo e Cristo, particolarmente coi versicoli 18-19 dove quel raffronto è più forte e più inequivocabile 21. Il ragionamento è semplice: se Cristo ci ha riconciliati con Dio vuol dire che ne eravamo separati, vuol dire che eravamo nemici - san Paolo parla esplicitamente d'inimicizia -; ora non c'è separazione, non c'è inimicizia con Dio se non a causa del peccato. Agostino insiste molto in questo concetto che trova confermato anche da Isaia: "Soltanto i peccati separano infatti gli uomini da Dio ed essi vengono sciolti dalla grazia del Cristo, il Mediatore dal quale siamo riconciliati, quando giustifica il peccatore" 22. Ne segue che tutti sono peccatori, anche i bambini, altrimenti bisogna dire che per loro Gesù non è Gesù, perché non è Salvatore.
Può essere utile riportare per intero un testo fortemente sintetico del primo libro della prima opera antipelagiana dove l'argomento è studiato con particolare attenzione: " la Chiesa universale, la quale deve vigilare contro tutte le novità profane, ritiene che ogni uomo è separato da Dio fino a quando per la mediazione del Cristo non è riconciliato con Dio; e nessuno può essere separato da Dio se non a causa di peccati che lo tengano lontano da Dio, e può essere riconciliato solo con la remissione dei peccati, in virtù dell'unica grazia del misericordiosissimo Salvatore, in virtù dell'unica vittima offerta dal verissimo Sacerdote" 23.
Sorto, come dicevo, il problema della separazione tra pena e colpa, Agostino torna sull'argomento in sede polemica e conclude: "Perché tergiversano i pelagiani? Se a tutti è necessaria la riconciliazione per mezzo di Cristo, in tutti è passato il peccato". Citati poi due testi paolini - 1 Cor 15, 22 e Rom 5, 18 - aggiunge: "Chi è diventato tanto sordo contro queste parole dell'Apostolo da sostenere ancora, dopo averle ascoltate, che a causa di Adamo è venuta su di noi la morte ma non il peccato? chi, se non gl'impugnatori della grazia di Dio, i nemici della croce di Cristo?" 24 Lo stesso ragionamento e la stessa forza espressiva nelle opere seguenti 25.
Dalla natura della redenzione nasce la sua necessità assoluta e universale: è un altro aspetto della teologia che Agostino approfondisce e difende. Anche qui enuncia una tesi generale, anzi due: Cristo è essenzialmente salvatore ed è l'unico salvatore. Ne segue che nessuno può appartenere a Cristo se non ha bisogno della salvezza, né può avere la salvezza se non per mezzo di Lui.
La prima tesi è fondata sui testi biblici di cui si è parlato nel paragrafo precedente. In essi l'incarnazione è vista sempre in ordine alla redenzione, espressa, come si è detto, con le immagini più varie, ma sempre efficaci. Agostino ne deduce che l'unico motivo per il quale il Signore Gesù Cristo è venuto in questo mondo è quello di salvare gli uomini dalla morte dei peccati: non aliam ob causam... nisi ut hac dispensatione misericordissimae gratiae.. 26. Parlando al popolo esprime questa deduzione con il noto aforisma: Si homo non perisset, Filius hominis non venisset 27; un aforisma che ricorre spesso nei discorsi quasi con le stesse parole 28. La conclusione è che nessuno può appartenere a Cristo se non ha bisogno della salvezza: "la conseguenza sarà che non possono appartenere a questa somministrazione di grazia, fatta dal Cristo per mezzo della sua umiltà, coloro che non hanno bisogno di vita, di salvezza, di liberazione, di redenzione, d'illuminazione". Perciò o i bambini non appartengono a Cristo - e nessuno vorrà dirlo - o hanno bisogno di essere salvati: la dottrina del peccato originale s'impone come ultima ragione della necessità universale della salvezza; restat originale peccatum 29
La seconda tesi viene fondata parimenti nella Scrittura, soprattutto nelle parole di san Paolo, 1 Tim 2, 5: uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, e in quelle di Pietro, Atti 4, 12: In nessun altro c'è salvezza. La conclusione è che nessuno può essere salvo fuori della Christi societas 30 I pelagiani che lo negavano - così Agostino interpreta il loro pensiero 31 - sconvolgevano i fondamenti stessi della fede cristiana 32. Agostino lo ripete spesso con formule epigrafiche. Oltre quella ricordata sopra, presa dalla Città di Dio, dove, a proposito della questione posta da Porfirio, si parla della via universale alla salvezza 33, eccone un'altra a cui pure si è rimandato: "Nessuno dunque, assolutamente nessuno è stato mai liberato o è liberato o sarà liberato (dalla massa perditionis) se non per la grazia del Redentore" 34 Nei discorsi, come al solito, queste formule diventano ancor più brevi e più taglienti, come questa: Omnis generatus, damnatus; nemo liberatus, nisi regeneratus 35.
Da questa dottrina, così insistentemente inculcata, ha origine quella delle due solidarietà di cui si dirà a suo luogo. Come a suo luogo si dirà dell'espressione massa perditionis o massa peccati, tanto spesso usata da Agostino e altrettanto spesso interpretata male dai suoi critici; come pure della damnatio, dovuta, secondo Agostino, al peccato originale. Intanto seguiamolo nel suo approfondimiento teologico delle proprietà della redenzione.
La seconda è quella dell'oggettività. Voglio dire che per Agostino l'opera redentrice di Cristo non si limita a darci un esempio sublime di virtù da imitare. Contro i pelagiani che opponevano esempio ad esempio, l'esempio buono di Cristo all'esempio cattivo di Adamo - era questo l'orrendo veleno della loro eresia 36 -, Agostino approfondisce la dottrina del sacrificio della croce, e dell'infusione interiore della grazia. Non in senso esclusivo, certo, ma in senso completivo. Anch'egli aveva parlato molto e parlerà molto dell'esempio di Cristo come di un punto focale della spiritualità cristiana 37. Ma qui la questione era diversa. I pelagiani, opponendo imitazione ad imitazione, svuotavano due dommi fondamentali del cristianesimo. Agostino dimostrando loro che Cristo non ci ha redento solo con l'esempio, li difende tutti e due; uno direttamente, l'altro come conclusione necessaria: come Cristo così Adamo, solo il segno è diverso: uno positivo, l'altro negativo.
Ora, Cristo ci ha redento prima di tutto col sacrificio della croce e ci santifica prima di tutto con l'infusione del suo Spirito. Quando Agostino, rispondendo ai pelagiani, oppone rigenerazione a generazione 38, riassume queste due verità fondamentali. Esse sono già presenti nella sua prima opera antipelagiana. E questo dice molto, dice che Agostino le ha chiare fin dall'inizio della controversia, quando questa conservava ancora il tono sereno d'una discussione fraterna.
Se la santificazione del cristiano fosse da collocare nella categoria della imitazione, Cristo non sarebbe più il solo santo e santificatore. Ogni giusto è degno di imitazione - Paolo non esita a proporre se stesso come modello da imitare (1 Cor 4,16; 1, 11) -, ma uno solo è giusto e giustificatore insieme, Cristo: iustus et iustificans nemo nisi Christus 39 Cristo ci giustifica operando in noi una rigenerazione spirituale con la quale dona sui spiritus occultissimam fidelibus gratiam quam latenter infundit et parvulis 40 Agostino ne tira la conclusione con questa domanda: "Se la sola imitazione rende gli uomini peccatori a causa di Adamo - era questa l'opinione pelagiana -, perché la sola imitazione non li rende giusti a causa di Cristo?" 41. La risposta per Agostino era ovvia, e non per lui solo.
Ma la nostra giustificazione ha il suo fondamento nel sacrificio di Cristo. Agostino ha parlato molto, particolarmente nelle sue opere principali - le Confessioni, la Trinità, la Città di Dio - del sacrificio: sacrificio della croce, sacrificio dell'altare, sacrificio universale della redempta civitas. Ne ha spiegato il fondamento ontologico, cioè la mediazione di Cristo uomo-Dio 42, ne ha data la definizione insistendo sull'elemento essenziale che è la unione con Dio 43, ne ha messo in rilievo la interiorità 44, ne ha indicata l'efficacia per la remissione dei peccati. Nel De Trinitate, dove insiste con belle parole sul significato dell'esempio di Cristo - Dio con l'incarnazione e la morte del suo Figlio ha voluto "convincere gli uomini della grandezza del suo amore e dello stato in cui eravamo quando ci ha amati (quantum nos dilexerit Deus et quales dilexerit); di quella grandezza perché non disperassimo, di questo stato perché non insuperbissimo" 45 -; nonostante, dico, questa insistenza, insiste parimenti sull'efficacia del sacrificio di Cristo per espiare i peccati e riconciliare gli uomini a Dio. Anzi, qualifica questo sacrificio con tre aggettivi superlativi: verissimo, liberissimo, perfettissimo. Fu verissimo, perché Cristo "con la sua morte, l'unico sacrificio assolutamente vero offerto per noi, tutto ciò che c'era in noi di colpevole e che dava il diritto ai principati e alle potestà di costringerci ad espiare con i supplizi, egli ha pulito, abolito, estinto" 46; fu liberissimo, perché Cristo non lo ha offerto contro la sua volontà, ma "perché lo ha voluto, quando lo ha voluto, come lo ha voluto" 47; fu perfettissimo, perché "in ogni sacrificio sono quattro gli aspetti da considerare (a chi si offre, da chi si offre, che cosa si offre, per chi si offre), tutti e quattro convengono nel medesimo unico e vero Mediatore che ci riconcilia con Dio per mezzo del suo sacrificio di pace, rimanendo egli tutt'uno con Dio a cui si offriva, facendo tutt'uno in sé coloro per i quali si offriva, tutt'uno essendo lui che offriva con ciò che offriva" 48.
Non è possibile qui un commento a quest'ultimo testo che apre un panorama vastissimo sulla dottrina del sacrificio, indicando i quattro elementi che la compongono. Ognuno di essi ha un ampio svolgimento negli scritti agostiniani: l'unione della persona del Mediatore con Dio e con gli uomini che vuole riconciliare, l'unione nella stessa persona del sacerdote e del sacrificio. Quest'ultimo concetto viene espresso altrove con le celebri parole rivolte a Dio Padre: "vittorioso e vittima per noi al tuo cospetto, e vittorioso in quanto vittima; sacerdote e sacrificio, e sacerdote in quanto sacrificio; che ci rese, da servi, tuoi figli, nascendo da te e servendo a noi" 49.
Per concludere mette conto ricordare alcune parole citate sopra: non veniamo riconciliati a Dio "se non con la remissione dei peccati, per unam gratiam misericordissimi Salvatoris, per unam victimam verissimi sacerdotis" 50. Tutto questo non toglie nulla al significato e alla forza dell'esempio di Cristo su cui insistevano con preferenza esclusiva i pelagiani, ma inserisce l'esempio in un quadro più generale della dommatica cristiana. Ho detto nell'introduzione al De Trinitate e forse giova ripetere qui, che "la missione del Figlio è studiata in ordine alla redenzione. L'incarnazione per se stessa, come coronamento della creazione, è fuori della prospettiva agostiniana. Perciò il libro IV che studia questa divina missione, diventa un trattato di soteriologia. Comincia infatti dalle parole dell'Apostolo ai Romani: Dio dimostra il suo amore per noi proprio in questo, che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo morì per noi (Rom 5, 8). Possiamo riassumere lo schema rapidamente così: la missione del Figlio è quella di condurre i credenti alla contemplazione di Dio; la via a questa mèta altissima è la rivelazione dell'amore di Dio Padre per noi; questa rivelazione avviene nell'opera della redenzione; la redenzione si compie per mezzo del sacrificio 51.
Non resta che seguire Agostino nell'ultimo punto delle relazioni che legano la redenzione al peccato originale: l'universalità. Questa riveste un'importanza fondamentale anche per un altro argomento, quello della predestinazione, trattato nel vol. 20 di questa collana. Qui interessa chiarire il metodo argomentativo agostiniano che passa dall'universalità della redenzione all'universalità del peccato originale.
Come ho detto altrove 52, l'universalità della redenzione è legata in Agostino a tre ordini di argomenti: 1) alla morte di Cristo, prezzo del riscatto per tutti; 2) al nome di Gesù, che è Gesù per tutti; 3) al giudizio finale nel quale Cristo giudicherà tutti. Da queste tre premesse, tre conclusioni, che poi si riducono ad una sola: 1) tutti sono morti; 2) tutti hanno bisogno del Salvatore; 3) tutti sono stati redenti perché Cristo è morto per tutti, anche per i bambini.
Qui interessa fermarci sul primo di questi tre ordini di argomenti, che il vescovo d'Ippona usa più frequentemente. Più frequentemente, dico, per due ragioni, una teologica e una polemica. La prima è questa: se Cristo è morto per tutti, vuol dire che tutti sono morti, morti per il peccato, che per i bambini non può essere che il peccato originale. La seconda è quest'altra: Giuliano ammetteva o sembrava ammettere che Cristo fosse morto anche per i bambini. Ad Agostino si offriva l'occasione opportuna per concludere: dunque anche i bambini sono morti, dunque anche i bambini hanno il peccato.
Testo base, che riassume poi tutta la dottrina della redenzione esposta sopra, è quello di san Paolo, 2 Cor 5, 14: se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Agostino intende il tutti sono morti non della morte mistica, come oggi s'intende generalmente 53, ma della morte del peccato. Data questa interpretazione, era facile concludere che tutti, anche i bambini, sono morti per il peccato.
Il testo paolino, per le ragioni indicate, viene citato molte volte lungo la controversia pelagiana, almeno una ventina; a cominciare dalla prima opera, nella quale appare nel contesto della teologia biblica di cui si è detto, fino all'ultima, nella quale torna, si può dire, come un ritornello 54. Il dilemma che esso sottintende è questo: o si nega che Cristo sia morto per tutti o si ammette che anche i bambini hanno il peccato, che per loro non può essere che il peccato originale. I pelagiani non facevano né l'uno né l'altro: questo non volevano, perché era contrario alle loro convinzioni più profonde; quello non osavano. Da questa imbarazzante posizione la vivacità della polemica agostiniana.
Non è possibile citare molti testi: bastino due. Nel Contra Iulianum, dopo aver citato Rom. 5, 8-9 (Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi), dice: "Tu vuoi far credere che in queste parole non sono compresi i bambini. Ma ti chiedo: se i bambini non sono compresi fra i peccatori, come mai è morto per loro Colui che è morto per i peccatori? Tu dirai che Cristo è morto anche per i peccatori: io dico che è morto solo per i peccatori". Citato, poi, il testo dell'Apostolo continua: "Qui non ti è permesso di negare solo per coloro che sono morti... Difatti san Paolo dimostra che tutti sono morti dal fatto che uno è morto per tutti... Ne segue che, se i bambini non contraggono il peccato originale, non sono morti; se non sono morti, non è morto per loro Colui che non è morto se non per i morti. Ma tu, conclude Agostino, nel tuo primo libro contro di me hai detto che Cristo è morto anche per i bambini" 55.
Nella seconda risposta a Giuliano, dove il testo paolino è ricordato tante volte, a un certo punto termina il suo ragionamento così: "Qualunque sforzo tu faccia per sovvertire e pervertire le parole dell'Apostolo, non riuscirai a dimostrare che i bambini sono immuni dal peccato, perché non osi negare che anche per loro Cristo è morto" 56.
Qui non si vuol discutere l'interpretazione che Agostino dà del testo di san Paolo, ma si vuol sottolineare la costante attenzione che ha di fondare l'universalità del peccato originale sull'universalità della redenzione e la convinzione profonda che, negando quella, si comprometta questa. Ora, compromettere l'universalità della redenzione sarebbe la cosa più grave e più perniciosa per la dottrina e per la vita cristiana. Ciò apparirà più chiaro parlando del battesimo.