Il mistero di Cristo c'introduce in quello di Dio-Trinità: la dottrina cristologica è inseparabilmente legata a quella trinitaria che, della prima, è il presupposto e il fine. Cristo, " un'unica persona nella Trinità ", è il rivelatore del Padre e il datore dello Spirito Santo che riconduce al Padre l'umanità redenta.
Agostino si è impegnato nello studio del mistero trinitario per tre motivi: filosofico, teologico-pastorale e mistico. L'ha studiato in sé (Trinità immanente) e nella storia della salvezza (Trinità economica), stabilendo tra l'una e l'altra considerazione una profonda causalità circolare: dalla Trinità nella storia della salvezza alla Trinità in sé, e da questa a quella.
Per capire lo studio biblico che S. Agostino intraprende nei primi quattro libri del De Trinitate, occorre ricordare il suo punto di partenza, che è quello della professione di fede iniziale. Ora questa professione di fede non è composta sullo schema tripartito del simbolo battesimale, che pur S. Agostino ha tante volte commentato sia davanti ai vescovi, da sacerdote 1, sia da vescovo nella traditio symboli ai catecumeni 2, o del simbolo niceno-costantinopolitano; ma sullo schema del simbolo Quicumque, del quale richiama o anticipa alcune espressioni 3.
Infatti: enuncia prima di tutto l'unità e l'uguaglianza della Trinità; afferma, poi, la distinzione delle Persone divine; ricorda che non la Trinità, ma solo il Figlio si è incarnato, come solo il Padre ha fatto udire la voce sul Tabor e solo lo Spirito Santo è disceso sui discepoli il giorno della Pentecoste, e confessa, in fine, che le operazioni della Trinità sono inseparabili com'è inseparabile il loro essere 4. Evidentemente in questa professione di fede i punti di partenza sono due: l'unità ed uguaglianza di natura della Trinità, e l'inseparabilità delle operazioni ad extra. Su questi due punti insiste S. Agostino.
Per affermare il primo ripete spesso la sua formula preferita: Dio-Trinità -...suscipiemus... reddere rationem quod Trinitas sit unus et solus verus Deus 5; Deus ipsa Trinitas intellegitur non tantummodo de Patre... sed de uno et solo Deo, quod est ipsa Trinitas 6 - o semplicemente Trinità 7.
Ora questo punto di partenza ha indubitamente grandi vantaggi. Taglia corto con ogni tentazione di subordinazionismo, tentazione alla quale non tutti gli scrittori ecclesiastici prima di Nicea erano sfuggiti, e, più ancora, taglia corto con le affermazioni apertamente eretiche di Ario e di Macedonio; permette di evitare quell'assurda immaginazione che fa pensare ad una quaternità in Dio, cioè alle Persone distinte della natura, quasi che questa sia eorum communis quasi quarta divinitas 8; afferma in fine in modo inequivocabile la consustanzialità, la coeternità, la perfetta uguaglianza delle tre Persone divine, le quali possiedono, sì, la natura divina, ma la possiedono in modo da essere esse stesse l'unica, la sola, la vera natura divina. Perciò tutta la Trinità è incorporea et incommutabilis et sibimet consubstantialis et coaeterna natura 9; ed è tutta invisibile 10, immortale 11, onnipotente 12: Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Ma questa unità ed uguaglianza, che è sempre in primo piano nella prospettiva da cui parte S. Agostino, sembra essere contraddetta da molti testi della Scrittura, i quali o dicono che il Figlio è inferiore al Padre o attribuiscono al padre prerogative superiori al Figlio (e allo Spirito Santo)
Per rispondere a questa difficoltà il vescovo d'Ippona studia i testi della Scrittura e formula alcune regole per intenderli nel contesto della Scrittura stessa.
1. La prima regola si può formulare così: spesso i testi scritturistici si riferiscono all'unico vero Dio, che è Trinità, senza menzionare esplicitamente la Trinità; si devono perciò intendere non di una sola persona, ma di tutte. Così p. e. 1 Tim. 6, 16; Romani 11, 33-36 13.
2. La seconda riguarda l'" economia " divina nella manifestazione della Trinità. La Scrittura dice alcune cose delle singole Persone separatamente dalle altre, per indicare e per ricordare che Dio è Trinità, non si devono perciò intendere in senso esclusivo. Così p.e. Gv. 14, 15-24 14.
3. La terza regola è la più importante, perché di più frequente applicazione. Riguarda la persona di Cristo. È detta " canonica " 15 perché proposta comunemente dagli interpreti della Scrittura e comunemente usata. Eccola: i testi scritturistici che riguardano il Cristo si devono intendere alcuni di Cristo uomo, altri di Cristo Dio o, per usare l'espressione paolina, alcuni di Cristo secondo la forma di servo, altri di Cristo secondo la forma di Dio.
Ma per comprendere ed applicare rettamente questa regola si richiede l'esatta nozione dell'Incarnazione. S. Agostino la espone con formule precise e inequivocabili, tanto da chiudere ogni possibilità all'adozionismo e da condannare preventivamente il nestorianismo. Egli distingue chiaramente tra l'Incarnazione del Figlio di Dio e la giustificazione dei figli di Dio. Aliud est Verbum in homine, aliud Verbum homo 16. Aliter mittitur (Sapientia) ut sit cum homine, aliter missa est ut ipsa sit homo 17. La distinzione essenziale che corre tra l'Incarnazione e la giustificazione, esplicitamente riconosciuta da S. Agostino;alla vigilia della conversione 18, è stata poi sempre energicamente difesa. Troviamo formule come questa: quia forma Dei accepit formam servi, utrumque Deus et utrumque homo 19, ed espressioni come queste altre: Natus Deus ex femina 20 e: Deus crucifixus 21, espressioni non solo usate, ma anche teologicamente difese. Dobbiamo però riconoscere che le formule più incisive non le troviamo qui nel De Trinitate, ma nei Sermones 22.
Chiarito così questo punto fondamentale di cristologia, S. Agostino articola la regola " canonica " in questo modo: a) vi sono testi nella Scrittura che indicano l'unità e la perfetta uguaglianza tra il Padre ed il Figlio; per es. Gv. 10, 30 e Fil. 2, 6; b) vi sono testi che indicano l'inferiorità del Figlio nei riguardi del Padre, ma secondo la natura umana che ha assunto; così Gv. 14, 28; 5, 22.27; c) vi sono testi che non indicano né inferiorità né uguaglianza, ma solo ordine di origine, in quanto il Figlio ha tutto ciò che ha per generazione; dunque non inaequalitas, sed nativitas eius ostenditur 23 cf. Gv. 5, 19.26; d) in fine vi sono testi d'interpretazione ambigua, che si possono riferire sia alla natura umana, sia alla generazione eterna, come il famoso testo di Gv. 7, 16: La mia dottrina non è la mia ma di Colui che mi ha mandato 24.
Ma queste regole non bastano da sole a chiarire tutti i testi della Scrittura; ve ne sono altri che meritano una particolare attenzione. Sono quelli che riguardano le missioni divine e le teofanìe. Testi molto importanti, perché fondamentali per capire la manifestazione della Trinità nella storia della salvezza. Gli eretici, poi, ne abusavano. Dicevano infatti: evidentemente chi invia è maggior di chi è inviato; se dunque il Figlio è inviato dal Padre, vuol dire che il Padre è maggiore di Lui 25.
Questa argomentazione offre a S. Agostino l'occasione di approfondire il concetto di missione. " Occorre chiedersi come si possa intendere questa missione del Figlio e dello Spirito Santo; poiché in nessuna parte leggiamo che sia stato inviato il Padre " 26. Le missioni, spiega il vescovo d'Ippona, non importano nessuna inferiorità o subordinazione di una Persona divina a un'altra. Comportano invece due grandi luminose verità, delle quali una riguarda la Trinità " immanente "; l'altra le manifestazioni della Trinità nel mondo o, per usare ancora un'espressione in voga, la Trinità " economica ".
Nella Trinità stessa le missioni divine indicano solo ordine di natura, che è ordine di origine di una Persona dall'altra. Nient'altro. Si dice nella Scrittura che il Figlio è dal Padre " non perché uno è maggiore, l'altro è minore; ma perché uno è Padre l'altro è Figlio, uno è genitore l'altro "genito", uno Colui da cui procede chi è inviato, l'altro Colui che procede da chi lo invia " 27.
Ma non per il solo fatto che il Figlio è nato si dice che è inviato, bensì perché, nato dal Padre prima di tutti i tempi, si è manifestato nel tempo 28. La missione divina dunque indica insieme e la processione di una persona dall'altra e un nuovo modo di essere di questa persona nel tempo. Or questo modo è duplice, visibile ed invisibile. Il Figlio si è manifestato visibilmente nell'Incarnazione, e si manifesta invisibilmente nella giustificazione. È inviato dunque per la nostra salvezza in due modi.
A spiegare il significato sotereologico del primo, cioè della missione visibile, S. Agostino dedica quasi tutto il libro IV. Insiste particolarmente sul concetto dell'amore, di cui l'Incarnazione è la manifestazione suprema, della mediazione, che Cristo compie col sacrificio della Croce, della libertà che ne deriva a noi. Ne parleremo più lungamente appresso. In quanto alla manifestazione invisibile enuncia il principio che è di una singolare profondità teologica e spirituale. Il Figlio è inviato a ciascuno nel momento in cui ciascuno conosce e percepisce, per quanto può farlo un'anima razionale proficiente o perfetta, che Egli procede dal padre 29. Si tratta evidentemente d'una conoscenza che ha per base la fede e che è animata dall'amore, una conoscenza affettiva o mistica.
Lo stesso vale dello Spirito Santo. Anche la missione dello Spirito Santo è duplice, visibile (il giorno della Pentecoste) ed invisibile (nella giustificazione). È inviato dal Padre e dal Figlio, perché procede da tutti e due, e come dono di tutti e due è ricevuto dall'anima. " Nell'eternità è dono, nel tempo è donato " 30. È inviato dunque perché è dono e perché è donato. Ma questo importa in chi lo riceve il riconoscimento che Egli procede dal Padre e dal Figlio. " Per lo Spirito Santo essere dono di Dio significa procedere dal Padre, ed essere inviato significa essere conosciuto come procedente dal Padre ". " Ma non possiamo dire che lo Spirito Santo non proceda anche dal Figlio " aggiunge subito S. Agostino 31.
Alla domanda se lo Spirito Santo sia stato inviato prima della glorificazione di Cristo, domanda provocata dal testo evangelico di Gv. 7, 39, la risposta è affermativa. I Profeti hanno parlato ispirati dallo Spirito Santo. Così pure di Spirito Santo furono ripieni Giovanni Battista, Zaccaria, la Vergine Maria. Solo che nel giorno di Pentecoste la missione dello Spirito Santo ebbe un carattere speciale, visibile, solenne, che operò grandi miracoli 32.
Nel parlare delle teofanìe del V. T., che costituiscono l'altra difficoltà particolare contro la perfetta uguaglianza delle Persone divine, anche se il pensiero di S. Agostino è ugualmente fermo, il tono si fa più modesto, l'esposizione più cauta. Se, parlando delle missioni, sapeva di avere per avversari gli eretici, qui sa di avere per avversari i cattolici. Molti scrittori ecclesiastici infatti, trattando la complessa questione dell'azione di Dio ne, V. T., avevano attribuito le teofanie non al Padre o a tutta la Trinità, ma al Figlio. E ciò tanto più volentieri quanto più questa attribuzione costituiva un valido argomento contro il modalismo di Sabellio 33. Cosciente perciò di esprimere un'opinione seguita da pochi 34 e avversata da molti 35, S. Agostino dichiara di studiare la questione " nella pace cattolica, con animo pacifico, pronto a correggersi, se verrà fraternamente e giustamente ripreso, anzi pronto a farlo anche se criticato aspramente, anche se morso da un nemico, purché però sia nel vero " 36.
Posta questa premessa, chiede; a) se Dio sia apparso ai nostri padri nella sua unità o sia apparso come una sola Persona, oppure sia apparsa ora l'una ora l'altra delle Persone divine; b) se Dio si sia servito del ministero delle creature; c) se siano stati gli Angeli ad apparire in nome di Dio 37.
Lasciando da parte gli argomenti secondari che il S. Dottore tocca e chiarisce - come il potere di Dio sulle creature o potere dei miracoli, e il concetto delle ragioni seminali - possiamo riferirne la risposta in questi termini: a) sulla prima questione occorre andar cauti: la Sacra Scrittura non ci autorizza a determinare se sia apparsa la Trinità in se stessa, o una sola Persona divina, oppure ora l'una, ora l'altra 38. S. Agostino arriva a questa prudente conclusione dopo aver esaminato attentamente i testi scritturistici 39; b) sulla seconda questione bisogna essere fermi: tutta la Trinità è invisibile, non può perciò apparire con la sua natura agli occhi del corpo; ne segue che le teofanie del V. T. sono avvenute per mezzo delle creature, le quali, soggette al divino volere, hanno prestato a questo scopo il loro ministero 40; c) nella terza S. Agostino avanza la sua opinione, affermando che si basa non sui propri pensieri, ma sulle parole dell'Apostolo agli Ebrei (1, 13); opinione che è questa: le teofanie del V. T. sono avvenute per mezzo degli Angeli, i quali hanno parlato ed agito ex persona Dei 41. L'opinione di S. Agostino è diventata comune.
4. La Trinità opera inseparabilmente
Il secondo principio che determina la prospettiva da cui S. Agostino considera il misero trinitario e che troviamo esplicitamente menzionato nella sua professione di fede, è costituito dalla inseparabilità delle operazioni ad extra della Trinità. L'unità dell'essere non può non comportare l'unità dell'operare.
Ma come il primo principio sembrava essere contraddetto da molti testi scritturistici, così il secondo. Ciò nonostante S. Agostino lo difende, lo spiega, lo applica.
La Trinità ha operato inseparabilmente: la creazione, le teofanìe del V. T., le Teofanìe del N. T. Nel N. T.: la concezione di Gesù Cristo nel seno di Maria, la voce del padre sul Tabor, la colomba nel battesimo di Gesù, le lingue di fuoco nel giorno della Pentecoste.
In quanto alla creazione " il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo sono un solo principio, come sono un solo creatore e un solo Signore " 42. Ciò è tanto vero che alla formula del simbolo battesimale: Credimus in Deum Patrem omnipotentem creatorem caeli et terrae, S. Agostino sostituisce queste altre: Credimus Patrem et Filium et Spiritum Sanctum esse unum Deum, universae creaturae conditorem atque rectorem 43; Patrem et Filium et Spiritum Sanctum unius eiusdemque substantiae, Deum creatorem, Trinitatem omnipotentem 44. È inutile dire che questa impostazione ribadisce l'opposizione ad ogni subordinazionismo, errore che trovava proprio nella dottrina della creazione l'occasione principale di manifestarsi 45.
Parimenti esplicito è S. Agostino per le teofanìe del N. T. come è stato esplicito - lo abbiamo visto - con quelle del V. T.: " Tutta la Trinità ha operato e la voce del padre e il corpo del Figlio e la colomba dello Spirito Santo, benché ciascuna di queste tre cose si riferisca ad una Persona distinta " 46. Queste affermazioni suscitano una seria difficoltà: come si può dire che solo il Figlio si è incarnato se l'Incarnazione è opera di tutta la Trinità? S. Agostino risponde: humanam illam formam ex virgine Maria Trinitas operata est, sed solius Filii persona est 47. In altre parole, la natura umana di Cristo è opera della Trinità, ma appartiene solo alla persona del Figlio. Dunque solo il Figlio si è incarnato.
Lo stesso vale per la voce del padre e per la colomba o le lingue di fuoco dello Spirito Santo; con questa differenza - essenziale in verità - che la natura umana è stata assunta, e per sempre, nell'unità della persona del Verbo, mentre la voce e la colomba e le lingue di fuoco non furono unite alla persona del Padre o dello Spirito Santo. Non unite, ma solo usate, provvisoriamente, per un particolare ministero, quello cioè di manifestare quanto, in quel momento, la Trinità voleva manifestare: il Padre e lo Spirito Santo operanti nella storia della salvezza 48.
Né termina qui la riflessione di S. Agostino su questo principio fondamentale di teologia trinitaria. Egli si studia di illustrarlo, qui nel De Trinitate, come nei discorsi al popolo e nelle lettere 49, col modo di operare in noi della memoria, dell'intelligenza e della volontà. Sono tre facoltà che nominiamo separatamente, ma che operano inseparabilmente. Infatti non si può pronunciare il nome di nessuna di esse senza che tutte e tre siano presenti per produrre quel nome. Si veda con quanta abilità spiega quest'esempio, che riempie l'animo di stupore, al popolo. Ecco alcune parole: " Questo nome memoria, che appartiene alla sola memoria, l'ha prodotto sia la memoria, perché ritenessi ciò che dicevi; sia l'intelligenza, perché capissi ciò che ritenevi; sia la volontà, perché proferissi ciò che sapevi... Così la Trinità ha operato la carne [natura umana] di Cristo, ma questa non appartiene che al solo Cristo " 50.
5. Missione dello Spirito Santo
Le meditazioni agostiniane sulla missione dello Spirito Santo sono molto impegnative. Lo abbiamo detto. A differenza della processione del Figlio, la processione dello Spirito Santo esige uno studio attento per riconoscerne le proprietà. S. Agostino lo aveva avvertito nel 393, e aveva confessato che questo studio, allora, non c'era 51. Lo farà egli stesso lungo molti anni, dandocene nel De Trinitate i vari momenti e le conclusioni.
Il principio che guidò questo studio fu il rapporto necessario che corre tra la processione e la missione dello Spirito Santo, cioè tra le proprietà personali intra-trinitarie e le manifestazioni extra-trinitarie. Un rapporto, che, argomentando, permette di salire dalle seconde alle prime e che permette di scendere, contemplando, dalle prime alle seconde. Così fece S. Agostino. Abbiamo visto sopra le sue argomentazioni per stabilire le proprietà personali dello Spirito Santo, vediamo ora le sue meditazioni sull'opera dello Spirito Santo per la nostra salvezza.
Eccole in sintesi: lo Spirito Santo ci è donato, perché è il Dono; diffonde nei cuori l'amore, perché è l'Amore; santifica perché è il Santo; costituisce la comunione di tutti i fedeli nella Chiesa perché è la Comunione.
Lo Spirito ci viene donato perché è il Dono del padre al Figlio e del Figlio al padre: " ...sempiterne Spiritus donum, temporaliter autem donatum " 52. E perché ci è donato, è nostro. " Ciò che è dato dice relazione a colui che ha dato e a coloro ai quali è dato. Per questo lo Spirito Santo non è detto soltanto Spirito del padre e del Figlio, che lo hanno dato, ma anche nostro, perché lo abbiamo ricevuto... Ma non si tratta dello spirito proprio dell'uomo, fonte della nostra esigenza... È vero che abbiamo ricevuto anche quello spirito considerato proprio dell'uomo... Ma una cosa è ciò che abbiamo ricevuto per essere, un'altra ciò che abbiamo ricevuto per essere santi " 53. Lo Spirito Santo dunque è nostro in quanto ci è stato dato affinché fossimo santi. Per questo Gesù lo ha ricevuto per primo. Lo ha ricevuto nel momento dell'Incarnazione, quando " la natura umana, senza alcun merito precedente di opere buone è stata unita al Dio Verbo nel seno della Vergine, in modo da divenire con lui una sola persona. per questo confessiamo che Cristo è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria ". Perciò Gesù Cristo " non solo dette lo Spirito Santo in quanto Dio, ma lo ricevette in quanto uomo " 54. Per questo dice di lui la Scrittura che era pieno di grazia e di verità (Gv 1, 14). Come Dio poi lo diede due volte: in terra, quando dopo la risurrezione soffiò sugli Apostoli e disse: Ricevete lo Spirito Santo; e dal cielo, quando lo inviò agli stessi Apostoli nel giorno di Pentecoste 55. Ma per il fatto che lo Spirito Santo è dato dal padre e dal Figlio come dono, non si deve concludere che è ad essi inferiore: è dato, è vero, come Dono del padre e del Figlio, ma anch'Egli, come Dio, dona se stesso 56.
Il passaggio dal concetto di dono a quello di amore o carità è spontaneo. Infatti " non c'è dono di Dio più eccellente della carità: è il solo che distingue i figli del regno eterno e i figli della perdizione eterna. Ci sono altri doni mediante lo Spirito, ma senza la carità non servono a nulla ". Lo Spirito Santo poi " non è chiamato propriamente dono, se non a motivo dell'amore " 57.
E perché è Amore, diffonde l'amore nei nostri cuori. Dice l'Apostolo: La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori, mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Rom 5, 5). Nella Trinità è l'Amore, cioè il nesso, l'unione ineffabile tra il padre e il Figlio; in noi è il dono d'amore, cioè il vincolo divino che ci unisce a Dio - o, come dice la Scrittura, fa sì che noi restiamo in Dio e Dio in noi - e ci fa conoscere che siamo uniti a Dio. Due mirabili effetti che rivelano il pregio della vita cristiana: essere uniti a Dio e sapere di essere uniti a Lui. Scienza questa che non è naturale né puramente teoretica. " Da questo conosciamo che noi siamo in Lui ed Egli in noi, perché ci ha dato del suo spirito " 58.
Attraverso il dono d'amore Dio ci giustifica. A questo punto S. Agostino inserisce nel De Trinitate belle pagine sulla nostra giustificazione dall'angolo visuale dell'immagine di Do; segno evidente del carattere teologico-mistico che vuole imprimere alla sua opera.
L'immagine di Dio in noi è indistruttibile, ma il peccato la scolora, la deforma, l'oscura, l'invecchia, la fa prigioniera, la rende inferma, mentre al contrario l'azione dello Spirito Santo la fa rifiorire, la riforma, l'illumina, la rinnova, la libra, la sana, la restaura. Metafore, si dirà. È vero. Ma metafore che esprimono una trasformazione interiore che impegna l'azione creatrice dello Spirito Santo.
" La natura umana, la più notabile tra le cose create, quando viene giustificata dall'empietà ad opera del suo Creatore, passa da una forma deforme ad una forma formosa ": a deformi forma formosam trasfertur in formam 59. Parole che vanno prese nel senso forte: la deformazione e la riformazione toccano le radici del nostro essere Si veda, p. es., il De Genesi ad litteram, che è grosso modo contemporaneo al De Trinitate 60. Lo spirito umano, dice altrove il Santo, quando ama Dio - e perciò ama il prossimo e ama rettamente se stesso - ex vetustate renovatur, ex deformitate reformatur, ex infelicitate beatificatur 61. S'inserisce qui la sublime dottrina dell'inabitazione dello Spirito Santo nell'anima giustificata, dottrina che, toccata qua e là nel De Trinitate, viene svolta ampiamente nella Lettura 187, a cui abbiamo rimandato e rimandiamo il lettore.
Qui diremo solo che l'azione dello Spirito Santo non trasforma solo le anime dei fedeli, ma vivifica tutto il Corpo di Cristo, che è la Chiesa. In seno alla Trinità lo Spirito Santo " è una specie d'ineffabile comunione tra il padre e il Figlio, e forse è chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al padre e al Figlio... Affinché dunque una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama Spirito Santo il dono di entrambi " 62. Nella Chiesa poi questo stesso Spirito è la comunione che unisce i fedeli fra loro e con la Trinità, facendo di tutti una cosa sola. Questa dottrina, indubitatamente stupenda, che fa discendere la comunione intra-ecclesiale dalla comunione intra-trinitaria 63, trova la sua espressione più matura nel Sermone 71, che è probabilmente del 417 64, quando S. Agostino stava terminando il De Trinitate. " Il Padre e il Figlio hanno voluto che noi entrassimo in comunione tra noi e con loro per mezzo di Colui che è loro comune, e ci hanno raccolto nell'unità per mezzo di quel dono che è comune ad entrambi, cioè per mezzo dello Spirito Santo, Dio e Dono di dio. In effetti è in Lui che siamo riconciliati alla divinità e godiamo della divinità " 65. Più chiaramente altrove: " L'unità sociale della Chiesa di Dio, fuori della quale non c'è remissione dei peccati, è, per così dire l'opera propria dello Spirito Santo, con la cooperazione, s'intende, del Padre e del Figlio, poiché lo Spirito Santo è, Egli stesso, in un certo senso, la società del padre e del Figlio. Infatti, il Padre non appartiene allo stesso modo al Figlio e allo Spirito Santo, perché non è Padre di entrambi; il Figlio non appartiene allo stesso modo al Padre e allo Spirito Santo, perché non è Figlio di entrambi, mentre lo Spirito Santo appartiene allo stesso modo al Padre e al Figlio, perché è l'unico Spirito di tutti e due " 66. Le radici di questa dottrina si trovano già nel De Fide et Symbolo, che è del 393 67.
6. Zelo pastorale nel parlare della Trinità
A questo tema, che oggi interessa moltissimo, non possiamo dedicare che un brevissimo accenno, perché a trattarlo lungamente andremmo lontano dal nostro argomento. Gli scritti che trattano l'argomento trinitario fuori del De Trinitate sono in gran parte discorsi al popolo, se si eccettui il De agone christiano che è diretto al popolo, ma non è un discorso. Da essi emergono due prerogative pastorali molto preziose: lo zelo nell'esporre e difendere la dottrina cattolica e la capacità di farlo in modo semplice ed attraente pur senza sacrificare affatto né la profondità né la precisione del linguaggio.
Abbiamo indicato sopra alcuni di questi discorsi 68. A rileggerli si rinnova la meraviglia di come si possa parlare al popolo di questioni tanto alte e con tanta profondità, efficacia ed eloquenza. Vi ricorrono i grandi temi dell'opera principale: l'inseparabilità delle opere ad extra della Trinità, le processioni divine, le relazioni, la spiegazione psicologica, la trascendenza del mistero, la necessità dell'adesione alla fede e della purificazione. Pensiamo particolarmente al Commento a S. Giovanni, che, come giustamente ha osservato la Comeau 69, costituisce, dopo il De Trinitate, l'opera più importante per la teologia agostiniana sulla Trinità.
Naturalmente l'indole delle due opere è molto diversa: da una parte la severa ricerca teologica; dall'altra l'esposizione, la spiegazione e la difesa - difesa soprattutto contro gli Ariani - della fede cattolica. Ma ciò non toglie che da quest'opera pastorale, qual'è appunto il Commento a S. Giovanni, non si possa ricavare un utile commento a molti passi del De Trinitate. Lo sforzo di parlare al popolo con precisione e chiarezza e di proporre ad esso formule facili a ritenersi, induce spesso l'oratore a cercare espressioni forti e sintetiche come aforismi, che dicono meglio d'un lungo discorso quale sia l'insegnamento della fede 70. A questo confronto tra il De Trinitate e il Commento a S. Giovanni sembra invitarci lo stesso Agostino citando un lungo brano di quest'opera nell'ultimo libro di quella 71.
Uno studio sulla teologia e sulla pastorale trinitaria nella predicazione, in tutta la predicazione del vescovo d'Ippona - la Comeau lo ha fatto già per il Commento a S. Giovanni - sarebbe una conferma e un complemento insieme della dottrina del De Trinitate.
7. Il De Trinitate e la Patristica
Un giudizio comparativo tra S. Agostino e la patristica, anche se ristretto alla dottrina trinitaria, è molto complesso, e perciò difficile e delicato. Prima di tutto occorre stabilire con precisione i termini di paragone. Per S. Agostino possiamo dire di averli nell'esposizione che precede, ma per gli altri Padri? La loro dottrina è tanto ricca e tanto varia - ci riferiamo prevalentemente ai Padri orientali - che non è agevole offrirne una sintesi rapida ed efficace. Si pensi ai Padri pre e post-niceni e, tra questi, agli Alessandrini, ai Cappadoci, agli Antiocheni. Si sa che la loro dottrina non è interpretata da tutti allo stesso modo. Alcuni storici del domma in campo protestante - Harnack, Loofs, Seeberg, Werner... - o in campo modernista - Türmel - hanno sostenuto: a) che il domma trinitario - come del resto gli altri dommi cristiani - non è frutto della rivelazione divina, ma dell'evoluzione della coscienza e del pensiero della Chiesa; b) che prima di Nicea la dottrina cristiana oscillò tra modalismo e subordinazionismo; c) che dopo Nicea l'omoouvsioı fu accettato in base ad un equivoco, presente nei Padri cappadoci, detti appunto per questa ragione neo-niceni, e presente anche, secondo il Türmel, in S. Atanasio. L'equivoco consisterebbe in questo: mentre il Concilio parla di consustanzialità numerica, essi parlerebbero di consustanzialità specifica. Ci troveremmo perciò di fronte a un larvato triteismo. Si aggiunga poi che i Padri orientali ignorerebbero, secondo i predetti storici, la dottrina delle relazioni: una ragione di più per dire che la loro dottrina trinitaria è in realtà triteista. Chi accettasse una simile interpretazione non potrebbe non concluderne - come i predetti autori di fatto ne concludono - che S. Agostino sia stato il geniale innovatore che ha creato il domma della Trinità. Ma questa interpretazione non è né storicamente né cattolicamente accettabile. Il paragone perciò dev'essere fatto su altri presupposti, che sommariamente sono questi: la rivelazione della Trinità nella storia della salvezza, la fede della Chiesa nel mistero trinitario, la difesa di questo mistero da parte dei Padri, Cappadoci compresi. Anche se, a causa delle particolari difficoltà della teologia trinitaria, occorrerà applicare a tutti quel che S. Agostino, a proposito di un'altra difficile questione - la natura dei corpi celesti - chiede per se stesso: si quid incondite atque inculte dictum legeris... doctrinae da operam, linguae veniam 72.
Partendo da questi presupposti, che sono gli unici storicamente validi, il confronto si risolve in un'affermazione della continuità e del progressivo chiarimento della teologia trinitaria. Scrivendo il De Trinitate, S. Agostino fu tradizionale e originale insieme: due qualità che solo i grandi uomini sanno mettere insieme.
Prima di tutto Agostino fu tradizionale. Infatti:
a) comincia con una professione di fede che si richiama apertamente alla dottrina dei Padri. " Tutti gli interpreti cattolici del V. e N. Testamento che ho potuto leggere tra quelli che hanno scritto prima di me sulla Trinità, che è Dio, questo hanno voluto insegnare secondo le Scritture... " 73.
b dà all'indagine teologica quell'impostazione che era presente alla sua mente fin da quando, non molto tempo dopo il suo ritorno alla fede, possedeva della cultura religiosa poco più di quanto aveva appreso nella catechesi e udito dalle conversazioni con uomini di chiesa 74.
c) studia attentamente la Scrittura per conoscerne a fondo l'insegnamento e darne un'interpretazione coerente ed unitaria;
d) si richiama ai Padri con parole di rispetto, adesione, fierezza 75. Anche quando si allontana dall'opinione di alcuni di essi, come nel caso delle teofanìe del V. T., lo fa con molta modestia 76 e non senza suffragare la sua opinione con l'autorità di altri Padri 77. Quando poi trova insufficiente qualche loro argomentazione, ne mostra le conseguenze false e stabilisce, con l'umile atteggiamento di chi cerca la verità, quale sia, a suo parere, la vera dottrina 78;
e) in fine attraverso le missioni e i nomi propri che la Scrittura usa per indicare le Persone divine, àncora la dottrina delle relazioni alla parola di Dio. È vero che su questo punto non si appella esplicitamente ai Padri, ma questo non vuol dire che essi questa dottrina non la conoscessero o che S. Agostino ignorasse i loro scritti. È vero invece il contrario. i padri orientali - ad essi ci riferiamo prevalentemente - attingendo alla fonte comune, che è la Scrittura, avevano intuito e usato la dottrina delle relazioni. Anzi, fin dal primo sorgere dell'arianesimo non era mancato chi aveva visto in questa dottrina l'unico modo di rispondere all'accusa di Aio secondo la quale chi afferma la consustanzialità del Figlio ammette due princìpi 79. I cappadoci conobbero e usarono nella lotta contro Ariani e Eunomiani il concetto di relazione (.....), anche se in loro è in primo piano il concetto di proprietà 80.
Un solo esempio. Eunomio impugnava la consustanzialità del Figlio con questo dilemma: il nome Padre o indica l'essenza divina o indica l'azione; nel primo caso il Figlio non è consustanziale, nel secondo è un'opera del Padre, cioè una creatura. gregorio Naz. risponde: " O uomini acutissimi, il nome Padre non indica né l'essenza né l'azione, ma la relazione che il Padre ha verso il Figlio e il Figlio verso il Padre " 81. L'idea è esattamente quella di S. Agostino. Il famoso assioma: omnia unum sunt, ubi non obviat relationum oppositio è tanto latino quanto greco: lo troviamo in S. Agostino 82 e in S. Gregorio Naz. 83, benché non enunciato esattamente sotto la stessa forma e benché non abbia, come osserva giustamente Chevalier, presso S. Gregorio Naz. e i Padri greci esattamente lo stesso compito che ha presso S. Agostino 84.
In quanto poi alla conoscenza che il vescovo d'Ippona ebbe degli scrittori cristiani, dobbiamo dire che non si può restringere quel solenne: Omnes quos legere potui, qui ante me scripserunt de Trinitate... ai soli scrittori latini. S. Agostino conosceva anche i greci. Ne aveva una conoscenza limitata, ma non scarsa. Non bisogna dunque minimizzare troppo. Per quanto sia difficile scoprire le fonti che utilizza - qualche volta troviamo S. Gregorio Naz. celato sotto un anonimo quidam 85 e altre volte non abbiamo neppure l'aiuto di quel quidam ammonitore - tuttavia non è sempre impossibile indicarle, sia con referenze certe, sia, più spesso, con raffronti probabili. L'Altaner, che condivide questo giudizio sulla difficoltà di stabilire le fonti agostiniane 86, con pazienti ricerche è giunto ad utili conclusioni circa la conoscenza che il vescovo d'Ippona aveva di Didimo, Basilio, Gregorio Nazianzeno 87.
Ma non si vede perché si debba supporre che S. Agostino conoscesse i Padri greci solo in traduzione latine. Le modeste parole del De Trinitate 88, alle quali ci si appella, non autorizzano a tanto. Pensiamo che, se una particolare necessità lo avesse richiesto, se cioè qualcuno, come accadde nella controversia pelagiana, lo avesse accusato di novità, non avrebbe esitato ad attingere, per confermare la sua dottrina, alle fonti greche, come fece appunto per la questione del peccato originale.
Ma nel nostro caso a lui bastavano la fede della Chiesa e lo studio delle Scritture.
Per misurare l'originalità di S. Agostino teologo della Trinità, occorre tener presente prima di tutto un fatto, che è questo: il De Trinitate è opera di sintesi, la prima del genere, almeno per profondità ed ampiezza 89, nella storia della teologia trinitaria. Perché opera di sintesi è un'esposizione lungamente meditata dei diversi aspetti del mistero - biblico, dommatico, mistico - una risposta serena e fiduciosa alle difficoltà della ragione, un'introduzione alla vita di comunione con la Trinità. Questa sintesi determinò uno sviluppo della teologia trinitaria che il Buorassa non esita a chiamare " prodigioso " 90. Fu certamente grandissimo, anzi il più decisivo e il più fecondo. Dopo S. Agostino la teologia trinitaria cammina per vie nuove o, per dirla con un altro autore moderno, comincia la teologia trinitaria in senso pieno 91. I punti principali che concorsero a stabilire questo progresso ci paiono i seguenti: lo studio biblico sull'unità di natura delle tre Persone divine, la dottrina delle relazioni, le proprietà personali dello Spirito Santo, la spiegazione " psicologica " del mistero trinitario, il collegamento ad esso della nostra vita soprannaturale.
A. S. Agostino stava molto a cuore stabilire l'invisibilità di Dio. Vittima in gioventù della concezione materialista, e consapevole delle fatiche sofferte per liberarsene 92, rifugge come da un'" insania " dall'ipotesi che Dio possa essere visto con gli occhi del corpo 93. Or questa invisibilità è una proprietà della natura divina, e perciò non è solo del Padre, ma del Figlio e dello Spirito Santo. Da qui l'interpretazione delle teofanìe del V. T. che abbiamo riportata sopra. Questa interpretazione gli è stata rimproverata da qualcuno 94, ma ciò non toglie che sia divenuta e sia tuttora comune nella teologia 95.
Parimenti stava a cuore a S. Agostino stabilire che la Scrittura, parlando di Dio, non si riferisce sempre al Padre, ma anche, in alcuni casi, a tutta la Trinità, benché non nominata esplicitamente. In questa prospettiva la parola di Dio designa prima di tutto l'unità di natura delle Persone divine e permette di stroncare fin dall'inizio ogni tentazione ariana o subordinazionista. Essa è diventata classica nella teologia latina, anche se, oggi, da qualche parte, si fanno delle riserva. Si dice infatti che non sarebbe una prospettiva biblica e che presenterebbe degli inconvenienti per la pietà cristiana. Vedremo più sotto che cosa pensare di queste riserve.
Un altro punto, questa volta senza riserve, che viene considerato elemento fondamentale nello sviluppo della teologia trinitaria è la dottrina delle relazioni. A questa dottrina il vescovo d'Ippona ha dato quel posto centrale che non ha più perduto da allora. Studiando la Scrittura e servendosi largamente della filosofia aristotelica, ha creato, in altre parole, la teologia delle relazioni, tanto delle relazioni intra-trinitarie, che costituiscono le Persone divine, quanto delle relazioni extra-trinitarie, che salvaguardano l'immutabilità di Dio e la realtà della sua azione. Tra i teologi greci e S. Agostino, scrive lo Chevalier, c'è tutta la distanza che separa i precursori, che intravedono una dottrina e la enunciano solo incidentalmente, e colui che la espone sistematicamente con la chiara coscienza della sua originalità e del suo valore 96.
Un terzo punto di singolare fecondità teologica, anzi forse di tutti il più fecondo, è lo studio biblico e l'impegno speculativo per stabilire quale sia in seno alla Trinità la proprietà dello Spirito Santo. Mentre la teologia dei Cappadoci confessava l'impotenza di rendersene conto e giungeva quasi a scoraggiarne la ricerca, S. Agostino, osserva il bourassa, ha scoperto che lo Spirito Santo è Amore, e con ciò ha gettato una grande luce sul mistero trinitario e sulla natura della nostra salvezza e della vita eterna 97.
Il contributo più personale, poi, che S. Agostino ha dato alla teologia trinitaria è la spiegazione " psicologica " che illumina, senza dissolverlo, il mistero trinitario e rivela la natura e la struttura dello spirito umano Diciamo più personale, in quanto, anche se per questa dottrina ha trovato un ambiente propizio e uno stimolo nel neoplatonismo e un precursore in Mario Vittorino, la trasformazione da lui operata è stata così radicale che il suo apporto è uno dei più originali e, aggiungiamo pure, dei più moderni 98. Del resto anche qui occorre ricordare che il fondamento di questa dottrina si trova nell'insegnamento scritturistico dell'uomo creato ad immagine di Dio.
V'è in fine un altro aspetto originale del De Trinitate: l'impegno di condurre il lettore fino alla contemplazione della Trinità, dimostrando con ciò che questo mistero entra essenzialmente nei tessuti della pietà cristiana, anzi ne è l'anima, il fine, la ragione.
8. Il De Trinitate e la Scolastica
La teologia si è mossa sulla scia del De Trinitate di S. Agostino. Da Boezio a S. Anselmo, ai Vittorini, a Pietro Lombardo, a S. Bonaventura, a S. Tommaso, ad Egidio Romano i motivi fondamentali dell'opera agostiniana - li abbiamo riassunti or ora - servono da guida e costituiscono l'alimento della speculazione sulla Trinità. Attraverso i grandi maestri della Scolastica l'influsso del pensiero agostiniano è giunto fino a noi. L'indole e i limiti di questa introduzione non consentono di rilevare l'identità di fondo e la diversità di sfumature di questi maestri 99.
Diremo soltanto che la speculazione scolastica ha due vantaggi su quella agostiniana, ma anche, a nostro umile parere, due svantaggi. I vantaggi sono: l'elaborazione del concetto di persona e l'approfondimento del motivo che distingue nella Trinità la spirazione della generazione.
Raccogliendo in frutti maturati durante la controversia cristologica, la Scolastica ha elaborato un concetto della persona - si ricorderà la definizione di Boezio (rationalis naturae individua substantia) e quella più appropriata di S. Tommaso (distinctum subsistens in natura intellectuali) - il quale ha permesso di applicarlo alla Trinità non in senso accomodato per la necessità di esprimere una realtà ineffabile, come voleva il vescovo d'Ippona, ma in senso proprio, cioè ex significatione sua, come si esprime S. Tommaso 100. Il quale S. Tommaso però, rispondendo ad una difficoltà tratta da un noto testo di S. Agostino (De Trin. 7, 6, 11), aggiunge: hoc nomen " persona " dicitur ad se non ad alterum, quia significat relationem non per modum relationis, sed per modum substantiae 101, mostrando così di restar fedele, nel fondo, all'orientamento agostiniano 102.
L'altro vantaggio della speculazione scolastica è, dicevamo, l'approfondimento del motivo che distingue la spirazione della generazione. Parliamo di approfondimento, perché riteniamo che non sia giusto parlare, come si fa comunemente, di novità 103. Il motivo lo aveva indicato già S. Agostino nella differenza tra il verbo che procede come immagine e l'amore che procede come peso e inclinazione 104. La Scolastica non ha scoperto nulla di nuovo, ma ha ripreso - sapendolo o no, questo non importa - il motivo agostiniano, lo ha confermato e lo ha inserito nettamente nella teologia trinitaria 105. La quale non dové attendere, per fortuna, il sec. XIII per avere una risposta da dare ad una questione che la fides quaerens intellectum proponeva e propone, con insistenza, alla ragione.
Dove invece la Scolastica non ha sviluppato il pensiero agostiniano, ma al contrario ha contribuito ad impoverirlo, lasciandolo fuori della propria prospettiva teologica, è nel dinamismo della ricerca scritturistica e nello slancio dell'ascensione mistica; due aspetti fecondissime che completano la ricchezza della teologia trinitaria del vescovo d'Ippona e l'avvicinano profondamente al pensiero moderno. In altre parole, dei tre aspetti del mistero ricordati sopra - biblico, dommatico, mistico - la Scolastica ha incorporato nella sua trattazione soli il secondo, contribuendo così a staccare questo augusto mistero della vita della Chiesa. È restato classico lo schema che studia per ordine sotto l'aspetto prevalentemente speculativo, le processioni, le relazioni, le persone - le persone in comune e in particolare - le missioni. Ciò è avvenuto certamente per ragioni di metodo; ragioni, perciò, formali, non sostanziali; ma questo non toglie che i predetti aspetti debbano essere ricuperati nel giudizio della storia e nella rinnovata struttura della teologia trinitaria. Occorre cioè ampliare - non rinnegare - la visuale scolastica; ampliarla con gli studi biblici e le considerazioni mistiche. Precisamente come ha fatto S. Agostino.
9. Il De Trinitate e la teologia contemporanea
Quando perciò la teologia contemporanea muove critiche all'indirizzo del pensiero agostiniano, deve stare attenta ad evitare di leggere S. Agostino in chiave scolastica. nel fervore del rinnovamento da cui è mossa, la teologia di oggi conserva per il De Trinitate di S. Agostino l'ammirato apprezzamento del passato. Alcuni però credono doveroso fare delle riserve.
La prima è questa: Agostino pagò le preferenze della sua spiegazione teologica a prezzo di una grande rinuncia, cioè con la rinuncia alla riflessione e alla valorizzazione " economica " del mistero trinitario 106. L'osservazione non ha un reale fondamento nell'opera agostiniana. Prima di tutto non è esatto dire che l'impostazione di essa dipenda dalla filosofia neoplatonica sulla dottrina dell'unità. S. Agostino parte dall'insegnamento della fede, che in Occidente insisteva nell'unità dell'essere e nell'inseparabilità della Trinità 107. La filosofia viene dopo: dopo l'insegnamento della fede e dopo lo studio della Scrittura; segue quindi, non precede; aiuta a chiarire un articolo fondamentale del credo cattolico, non lo impone.
Non crediamo poi che S. Agostino abbia sacrificato l'aspetto storico-salvifico del mistero trinitario, se, come abbiamo detto sopra 108, egli studia ed espone largamente le missioni del Figlio e dello Spirito Santo, se parte dalle missioni per risalire alla Trinità immanente, se ha cura di stabilire un intimo rapporto tra le proprietà delle tre Persone divine e la nostra vita spirituale, se orienta e conduce il lettore verso la contemplazione di questo ineffabile mistero, quando l'immagine trinitaria in noi sarà perfetta, cioè partecipe in modo inammissibile e pieno dell'eternità, della verità, dell'amore. A noi pare quindi che abbia raggiunto una felice sintesi tra due considerazioni, quella teologico-metafisica dell'unità divina e quella teologico-storica delle manifestazioni della Trinità nell'opera della creazione e nella vita della Chiesa.
L'insistenza del De Trinitate nel modo diverso d'intervenire nella storia della salvezza delle tre Persone divine secondo le diverse proprietà personali di ciascuna, non è meno forte di quanto non sia quella dell'unità inseparabile di questa stessa azione. Lo ha visto bene il Bailleux, il quale scrive così in un recente studio: " pur mettendo l'accento sull'unità dell'azione per la quale Dio Trinità... opera al di fuori, il De Trinitate non cade nell'essenzialismo intemperante che qualche volta gli viene rimproverato per averlo letto in fretta. L'azione divina, tanto quella creatrice che quella santificatrice, pur essendo una, si presta a delle appropriazioni fondate su le proprietà rispettive del padre, del Figlio, dello Spirito Santo... Come il Padre ci crea per mezzo del Figlio nella Spirito Santo, così nello Spirito Santo, per mezzo del Verbo, ci richiama a sé per farsi nostra eterna beatitudine " 109.
Occorre ricordare poi che il De Trinitate contiene anche un trattato di cristologia, il più ampio che S. Agostino abbia scritto. Un trattato che, se non ci offre un'indagine sul modo dell'unione ipostatica o sulla psicologia umana di Cristo - temi che si sono sviluppati posteriormente con la controversia cristologica e che sono vivi anche ai nostri giorni - ci offre formule chiarissime sul fatto dell'unione e un'ampia dottrina sul motivo dell'Incarnazione, sulla mediazione, sul sacrificio della croce, sulla redenzione, sulla centralità di Cristo come nostra scienza e nostra sapienza.
E tutto ciò non per difetto di composizione, ma per un pian sapientemente prestabilito. Nel De Trinitate S. Agostino voleva conoscere la Trinità - e Cristo ne è il rivelatore, la grande teofanìa - voleva salire fino alla contemplazione della Trinità - e Cristo ne è il Mediatore. Non è possibile trattare della Trinità senza aver presente la cristologia. S. Agostino ne ha dato l'esempio.
Come dunque nella traiettoria della storia, che è il suo modo preferito di esporre la dottrina della fede 110, il vescovo d'Ippona vede e dimostra la centralità di Cristo, così nel De Trinitate 111. Non aver considerato abbastanza questo punto, ha dato occasione alle immeritate riserve che abbiamo dovuto registrare.
La seconda riserva è quest'altra: la prospettiva agostiniana, in cui Dio significa innanzi tutto l'unità di natura delle tre Persone, è una prospettiva metafisica, utile per belle meditazioni su Dio, ma non per rivolgersi con la preghiera a Dio. Nella preghiera infatti l'altro - il tu - a cui ci rivolgiamo non può essere che una persona. Nella prospettiva agostiniana dunque non ci si può rivolgere a Dio senza prescindere da questa stessa prospettiva o senza ipostatizzare in qualche modo - contro l'esplicita dottrina di S. Agostino stesso - l'essenza divina. Ne segue che nella vita di pietà questa prospettiva dev'essere messa da parte 112.
La difficoltà è speciosa, ma se fosse valida vorrebbe dire che non potremmo pregare senza essere larvatamente triteisti: tra la fede che crede in un solo Dio e la preghiera che parla con Dio ci sarebbe un insuperabile contrasto. Pensiamo che per superare questo contrasto e per evitare quel pericolo il vescovo d'Ippona, che tante stupende preghiere ha rivolto al Padre per mezzo del Figlio nell'unità dello Spirito Santo - con tale preghiera chiudeva abitualmente i suoi discorsi 113 - nel De Trinitate ha voluto usare le due forme di preghiera, quella rivolta a Dio Padre 114, secondo l'uso liturgico di ieri e di oggi, e quella, con cui chiude la sua opera, rivolta a Dio-Trinità 115. A questa seconda forma era stato abituato da S. Ambrogio di cui ricorda il noto verso: Fove precantes, Trinitas 116. A questa forma si è rivolta la pietà cristiana quando ha sentito di dover onorare la Trinità nella sua ineffabile unità. Come nella festa della SS. Trinità e spesso nella liturgia delle ore.
La tensione tra la visione teologico-metafisica e quella teologico-storica del mistero trinitario esiste, perché esiste il mistero stesso, che è insieme unità nella trinità e trinità nell'unità o, per dirla ancora una volta con S. Agostino: Unum tria sunt... tria unum sunt 117.
Lo studio dei Padri greci per il rinnovamento della teologia trinitaria sarà certamente molto utile, ma non meno utile sarà, ne siamo certi, una lettura attenta, meno scolastica, del De Trinitate di S. Agostino.