Breve resoconto:

 

Nella presentazione, il Prof. Alici collega questo seminario al cammino di ricerca svolto finora: La filosofia come dialogo è tema inaugurato nel precedente seminario di Cascia, dove l'argomento fu percorso dalla filosofia antica fino ad Agostino. In questo appuntamento verrà esplorata la filosofia medioevale fino a Tommaso d'Aquino, senza perdere il fondamentale riferimento all'Ipponate. Il dialogo è riconosciuto come un genere letterario della filosofia, ma anche come un peculiare metodo filosofico; lo stesso "spirito di dialogo" dovrà possibilmente ispirare l'andamento dei lavori, ai quali partecipano circa 35 professori provenienti da varie università italiane, nonché numerosi giovani ricercatori.

Gli atti del seminario verranno pubblicati insieme a quelli dell'anno 2002 presso la casa editrice Città Nuova.

 

CLAUDIO MORESCHINI tratta il De anima et resurrectione di Gregorio Nisseno. Il dialogo non è stato tra i generi letterari più seguiti nel Medioevo, perciò stupisce che il Nisseno se ne sia servito. A differenza del modello platonico, in questo dialogo non c'è dialettica, perchè si parte da dottrine di fede già accettate: l'immortalità dell'anima e la resurrezione dei corpi; Il dialogo ha la funzione di spiegare il dato dogmatico. Gregorio di Nissa è l'allievo, mentre sua sorella Macrina è la maestra. È stupefacente che una donna, per quanto figura cristiana ideale, assuma il ruolo di Socrate.

Nell'opera si possono distinguere tre parti: la prima è dedicata a spiegare l'immortalità dell'anima: dopo la morte l'anima rimane nel mondo vicina ai singoli elemnti del corpo che ha lasciato, in modo che possa avvenire la resurrezione finale con il corpo stesso. Segue una digressione sul rapporto d'amore tra l'anima e Dio, amore che si ricostituirà integralmente alla fine dei tempi, dottrina molto vicina all'Apocatastasi di Origene. La terza ed ultima parte tratta della resurrezione dei corpi: il corpo sarà trasformato rispetto alla sua forma terrena, tuttavia senza perdere la sua individualità.

 

Secondo GIANNI DOTTO, il debito di Abelardo nei confronti di Agostino non si limita al principio di autorità, ma è ben più intrinseco: Abelardo continua la concezione della fede come impegno che non ignora le problematiche esistenziali. Inoltre, la visione di Agostino delle arti liberali riceve luce nuova da Abelardo: l'Ipponate raccomandava ed esercitava la dialettica per argomentare le questioni di fede, Abelardo s'immette con convinzione in questo solco, tanto più che vive nel XII secolo, un tempo di incontro/scontro tra culture, ognuna delle quali reclama legittimità.

La collatio è, infatti, un confronto ed una verifica critica di opinioni; nel sogno di Abelardo dialogano un filosofo, un giudeo e un cristiano con il protagonista nel ruolo di arbitro della discussione. Interessante osservare la perdita d'individualità degli attori dell'opera e la figura del filosofo, quale rappresentante della ragione umana naturale.

 

GUIDO ALLINEY illustra il destino del dialogo come genere letterario tra XI e XII secolo. Relativamente al fatto che il genere del dialogo non fu molto amato nel Medioevo, in questo periodo storico si registra una sua breve rinascita ed un altrettanto repentino declino. Nell'undicesimo secolo ci sono segni di risveglio culturale e la forma del dialogo ricompare; Agostino non rappresenta un esempio formale, resiste invece il suo insegnamento che il dialogo intende porsi in rapporto all'interiorità di chi ascolta, per attingere la sapienza. Come modelli formali, le opere di questo periodo assumono i dialoghi didattici e quelli apologetici. In tale clima si deve registrare come un apax Anselmo d'Aosta, con la sua stupefacente produzione di dialoghi.

Il XII secolo si caratterizza per l'apertura a culture diverse; la ragione umana viene esaltata e sentita in continuità con la Rivelazione. S'assiste ad una discreta produzione filosofica di dialoghi, che conta, quali illustri esempi, Abelardo ed Ugo di San Vittore.

Alla fine del secolo, proprio quando prende avvio in Occidente, precisamente in Sicilia, la traduzione dei dialoghi platonici, la produzione di dialoghi si arresta bruscamente. Il relatore presenta un'ipotesi su tale inaspettata scomparsa: si realizza in questo tempo un cambiamento di paradigma epistemologico, il metodo dialogico arretra di fronte al metodo questionativo, mentre i due modelli avevano convissuto nel corso del XII secolo. S'impone un concetto di scienza totalizzante ed omogenea, nella quale, tra l'altro, la voce di Platone non può trovare posto.

 

LETTERIO MAURO ci mostra un inedito Tommaso d'Aquino, che non disdegna lo stile dialogico nella sua filosofia. Come è noto, Tommaso non ha scritto dialoghi, ma il dialogo non è estraneo al suo pensiero, in quanto egli ha praticato una filosofia del dialogo con i pensatori del passato ed i suoi contemporanei. Ciò si deve all'influenza di Aristotele, che adottò il metodo dialettico più di quello sillogistico; tale metodo ha una stretta parentela col metodo dialogico di Platone.

I testi di Tommaso mostrano la ripresa della dialettica aristotelica, evidente soprattutto nell'uso dell'elencòs. La differenza principale con il modello sta nel fatto che l'endoxon da cui si avvia il discorso è la veritas rerum: la verità è già data, ma occorre farla venire alla luce dalla ridda delle opposte opinioni degli uomini. La ricerca umana del vero si caratterizza come un lavoro collettivo ed aperto, proprio agli antipodi del sistema, sotto la cui etichetta si presenta comunemente il pensiero di Tommaso.

Di fronte ad una discordanza di opinioni, si distinguono tre atteggiamenti dell'Aquinate: a) trovare la soluzione nella posizione intermedia, b) cogliere l'intentio auctoris, cioè scavare nel pensiero altrui per trovarvi dei punti in comune, c) scegliere decisamente una posizione, scartando le altre. Infine, nel caso in cui ci si trovi a dialogare con chi non ha la nostra stessa fede, Tommaso suggerisce il ricorso alla ratio naturale, non potendo ovviamente servirsi delle auctoritates.

In conclusione il relatore ribadisce la continuità che lega, a suo parere, il dialogo platonico, il metodo dialettico di Aristotele e la filosofia di Tommaso.

 

Il quadro già ricco si completa con la puntualizzazione della prospettiva mistica in cui il dialogo è visto come la relazione con il Verbo incarnato, l’uno della Trinità. Attraverso la rilettura dell’opera di M. Eckhart - affidata a MARIE-ANNE VANNIER - viene colto il momento genetico del dialogo nella nascita di Dio nell’animo umano. Eckhart del resto è un interprete eccezionale di Agostino ed è proprio questa linea di continuità che viene evidenziata dall’Autrice, anche quando il mistico predilige la via del distacco piuttosto che quella della conversione per dare vita al colloquio interiore con il Verbo. Eckhart, però, sembra abbandonare il percorso agostiniano, perché per lui la parola divina risuona nel deserto e in questo luogo senza limite e senza tempo l’uomo è convocato ma per qualcosa che oltrepassa l’esperienza umana del dire. Il dialogo, ormai dileguato, si trasfigura in un’unione interiore in cui l’io si perde nel Tu.

 

La conclusione dei lavori è affidata al Prof. Alici, ma i principali esiti sono già emersi nei ricchi dibattiti seguiti alle relazioni.

In filosofia è opportuno distinguere il dialogo in senso stretto dal dialogo in senso lato. Nella seconda accezione la filosofia è dialogo, in quanto il filosofo non può fare a meno di misurarsi con i filosofi del passato e di confrontarsi con i suoi contemporanei. Su questo sfondo, non possono bastare un mero confronto filosofico o la forma letteraria del dialogo per riconoscere il dialogo in senso stretto, come metodo filosofico coltivato da una certa tradizione. Questo ha una sua peculiare cifra personalista che è paradigmatica nel pensiero di Agostino; l'intersoggettività (che sia con l'altro uomo o con Dio) diventa il tema centrale della filosofia, a partire dal riconoscimento di un nuovo paradigma riflessivo, secondo il quale il vertice dell'intersoggettività filosofica si tocca quando il soggetto e l'oggetto della ricerca coincidono: "Factus eram ipse mihi magna quaestio" ( Conf., 4, 4, 9).

In base a tale premessa è ragionevole l'ipotesi di Alliney che prospetta un cambiamento di paradigma alla fine del XII secolo, quando si assiste al repentino passaggio al metodo scolastico, con la sistemazione epistemologica del sapere. Non tutti sono d'accordo su tale tesi, anzi si fa strada l'idea che sia il dialogo sia il metodo scolastico siano filiazioni legittime del metodo socratico e semmai questo doppio paradigma si sarebbe imposto non nel Medioevo, ma già nella Grecia classica, con i differenti modelli di Platone ed Aristotele.

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