1. 1. Ora Adamo ed [Eva] sua moglie erano tutti e due nudi, ma non provavano vergogna. Il serpente però era il più astuto di tutti gli animali della terra fatti dal Signore. Il serpente disse alla donna: È forse vero che Dio vi ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del paradiso? La donna rispose al serpente: Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma riguardo al frutto dell'albero sito nel mezzo del paradiso Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per evitare di morire. Ma il serpente rispose alla donna: Voi non morrete affatto. Poiché Dio sapeva che il giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male. La donna allora osservò l'albero ch'era buono da mangiare, era delizia per gli occhi e bello da contemplare, e prendendo del suo frutto ne mangiò e poi ne diede anche al marito, ch'era con lei, e ne mangiarono. Si aprirono allora gli occhi di ambedue e s'accorsero d'essere nudi; intrecciarono perciò foglie di fico e se ne fecero cinture intorno ai fianchi. Udirono poi la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso verso sera. Allora Adamo e sua moglie si nascosero dalla presenza del Signore Iddio in mezzo agli alberi del paradiso. Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito la tua voce mentre passeggiavi nel paradiso e ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto. Ma Dio gli rispose: Chi ti ha fatto sapere che sei nudo se non il fatto che hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato di non mangiare? Rispose Adamo: La donna, che mi hai dato per compagna, è stata lei a darmi dell'albero e io ne ho mangiato. Il Signore Iddio allora disse alla donna: Perché hai fatto ciò? Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannata, e io ho mangiato. Allora il Signore Iddio disse al serpente: Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie selvatiche che sono sulla terra. Sul tuo petto e sul tuo ventre dovrai strisciare e polvere dovrai mangiare tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua e la sua discendenza. Essa insidierà la tua testa e tu insidierai il suo tallone. Alla donna invece disse: Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore dovrai partorire figli; il tuo istinto ti spingerà verso tuo marito, ma egli ti dominerà. Ad Adamo poi disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne ricaverai il tuo cibo tutti i giorni della tua vita; essa produrrà per te spini e rovi e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra tornerai. Adamo poi chiamò "Vita" sua moglie poiché essa è la madre di tutti i viventi. Il Signore Iddio fece per Adamo e per la moglie tuniche di pelle e li vestì. Dio allora disse: Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male. Ora bisogna proibirgli che stenda la sua mano e prenda dall'albero della vita e ne mangi e [così] viva per sempre. Il Signore Iddio allora lo scacciò dal paradiso di delizie e lo pose nella parte opposta al paradiso di delizie e stabilì dei cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire l'accesso all'albero della vita 1.
1. 2. Prima di spiegare frase per frase il succitato testo della Scrittura, credo opportuno ripetere qui l'avvertimento che credo di avere già fatto anche in un altro passo della presente opera, che cioè da noi deve esigersi di difendere il senso letterale dei fatti narrati dall'autore sacro. Se però tra le espressioni preferite da Dio e da qualsivoglia persona chiamata da Dio al ministero di profeta, se ne trova qualcuna che non può esser presa alla lettera senza che risulti assurda, non c'è dubbio che deve essere intesa in senso figurato, indicante qualcos'altro di natura simbolica; non è lecito tuttavia dubitare che [quell'espressione] sia parola di Dio. Ciò lo esige l'attendibilità del narratore e la promessa del commentatore.
1. 3. Tutti e due erano nudi 2. È vero: i corpi dei due [primi] esseri umani, che vivevano nel paradiso, erano completamente nudi. Ma non provavano vergogna 3. Perché si sarebbero dovuti vergognare, dal momento che non sperimentavano nelle loro membra alcuna legge in guerra con la legge del loro spirito 4? Quella legge fu inflitta loro come pena del peccato dopo che fu commessa la trasgressione, quando la disubbidienza si appropriò di ciò ch'era stato proibito e la giustizia punì il peccato commesso. Prima che ciò avvenisse, essi erano nudi - come dice la Scrittura - e non sentivano vergogna; nel loro corpo non c'era alcun moto di cui dovessero vergognarsi; pensavano di non aver nulla da velare poiché non avevano provato alcun moto da frenare. In qual modo avrebbero procreato figli è già stato discusso in precedenza, poiché prima che morissero, la morte già era germinata nel corpo di quelle persone disubbidienti, fomentando la ribellione delle loro membra disubbidienti con un giustissimo contrappasso. Questa non era ancora la condizione d'Adamo e di Eva quando erano entrambi nudi ma senza provarne vergogna.
2. 4. C'era però il serpente, il più astuto, è vero, ma solo fra tutti gli animali fatti dal Signore Iddio 5. Ora, è in senso traslato che il serpente è chiamato il più accorto o, secondo parecchi manoscritti latini, il più saggio, non già in senso proprio, come s'intende di solito la parola "sapienza" quando è riferita a Dio, a un angelo o a un'anima razionale, ma nel senso in cui potrebbero chiamarsi "sapienti" anche le api e le formiche, poiché le loro opere manifestano una sorta di sapienza. Questo serpente per altro potrebbe dirsi "il più sapiente" degli animali non a motivo della sua anima irrazionale, ma dello spirito d'un altro essere, ossia dello spirito diabolico. Poiché per quanto in basso siano stati precipitati gli angeli ribelli dalla loro dimora celeste a causa della loro perversità e della loro superbia, tuttavia per la loro natura sono superiori a tutte le bestie a causa dell'eccellenza della loro ragione. Che c'è dunque di strano se il diavolo, entrando nel serpente e sottomettendolo alla sua suggestione, comunicandogli il proprio spirito alla maniera in cui sogliono essere invasati i profeti dei demoni, l'aveva reso "il più sapiente" di tutte le bestie che vivono in virtù di un'anima viva ma irrazionale. Ma è in senso improprio che si parla di "sapienza" a proposito di un malvagio, come si parla di "astuzia" a proposito d'una persona buona. Poiché in senso proprio e secondo l'uso più corrente, almeno nella lingua latina, si chiamano "sapienti" le persone lodevoli, mentre per "astuti" s'intendono coloro che usano il loro senno per il male. Ecco perché alcuni, come si può vedere su molti manoscritti, hanno tradotto secondo l'esigenza della lingua latina non la parola ma piuttosto l'idea, e così hanno preferito chiamare il serpente "il più astuto", anziché "il più sapiente" di tutti gli animali. Quale sia il senso proprio di questo termine nell'ebraico, se cioè in quella lingua alcuni si possono chiamare e intendere "sapienti" in rapporto al male non in senso improprio ma in senso proprio, se la vedano gli specialisti in quella lingua. Noi tuttavia leggiamo chiaramente in un altro passo delle Sacre Scritture di alcuni chiamati "sapienti" in rapporto al male e non al bene 6; e il Signore afferma che i figli di questo mondo sono più sapienti dei figli della luce per provvedere alla loro vita futura sebbene in modo fraudolento e non secondo giustizia 7.
3. 5. Noi però non dobbiamo immaginare affatto che il diavolo si scegliesse di proprio arbitrio e potere il serpente per tentare l'uomo e persuaderlo a commettere il peccato ma, essendo insito in lui il desiderio d'ingannare a causa della sua perversa e invidiosa volontà, non poté soddisfarlo se non mediante l'animale con cui gli fu permesso di appagarlo. In ciascuno infatti la perversa volontà di recar danno può derivare anche dalla propria anima, ma il poterlo compiere non deriva se non da Dio e ciò a motivo d'una giustizia occulta e profonda, poiché in Dio non c'è ingiustizia 8.
4. 6. Se dunque si chiede perché Dio permise che fosse tentato l'uomo ch'egli prevedeva avrebbe dato il consenso al tentatore, io non posso scandagliare la profondità dei disegni divini e confesso che [la soluzione] del problema sorpassa di molto le mie forze. Può esserci dunque forse una causa occulta, la cui conoscenza è riservata - non per i loro meriti ma piuttosto per una grazia di Dio - a persone più valenti e più sante di me; ma tuttavia, nei limiti della facoltà che Dio mi concede di capire o mi permette di dire, non mi pare che l'uomo sarebbe stato degno di gran lode, se fosse stato in grado di vivere rettamente per la semplice ragione che nessuno lo avrebbe persuaso a vivere male, dal momento che nella sua natura aveva il potere e, nel suo potere, la capacità di volere per non acconsentire ai consigli del tentatore, sempre però con l'aiuto di Colui che resiste ai superbi, ma concede la sua grazia agli umili 9. Perché dunque Dio non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato, sebbene prevedesse che avrebbe acconsentito [alla tentazione]? L'uomo infatti, in quell'occasione, avrebbe agito di propria volontà e avrebbe, così, commesso la colpa e avrebbe dovuto subire il castigo per essere restituito nell'ordine della giustizia di Dio? In tal modo Dio avrebbe mostrato all'anima, per istruzione dei suoi servi futuri, quanto rettamente egli si serve delle volontà anche perverse delle anime quando queste si servono delle loro nature buone per fare il male.
5. 7. Non si deve però immaginare nemmeno che il tentatore avrebbe potuto far cadere l'uomo, se prima non fosse sorto nell'animo dell'uomo un sentimento di superbia ch'egli avrebbe dovuto reprimere; mediante l'umiliazione causata dal peccato avrebbe così imparato quanto falsamente presumesse di se stesso. È assolutamente vero ciò che dice la sacra Scrittura: Prima della rovina lo spirito s'insuperbisce e prima della gloria si umilia 10. Questa è forse la voce dell'uomo che risuona nel Salmo: Nella mia abbondanza io dissi: Non sarò scosso in eterno 11. In seguito, dopo aver imparato per esperienza qual male ha in sé la superba presunzione del proprio potere e qual bene ha in sé l'aiuto della grazia, dice: Signore, per la tua volontà avevi dato valore alla mia dignità; ma poi hai distolto la tua faccia da me e io ne sono rimasto sconvolto 12. Ma sia che questa espressione si riferisca al primo uomo, sia che si riferisca a un altro, tuttavia si doveva dare una lezione all'anima che si esalta e presume troppo di quella che crede una forza propria - anche facendole sperimentare il castigo - per mostrarle in qual misero stato viene a trovarsi una creatura quando si allontana dal proprio Creatore. Con ciò viene messo fortemente in rilievo qual bene è Dio, dal momento che non si sente felice nessuno che si allontana da lui; infatti da una parte coloro, che ripongono il loro godimento nei piaceri mortiferi, non possono sentirsi esenti dalla paura di soffrire; da un'altra parte coloro i quali, come drogati e resi insensibili dall'eccessiva loro superbia, non si accorgono affatto della sventura della loro apostasia, appaiono molto più infelici di coloro che sanno riconoscere la loro diserzione da Dio; in tal modo, se rifiutano di prendere il rimedio per evitare siffatte sventure, serviranno d'esempio per farle evitare ad altri. Ecco perché l'apostolo Giacomo dice: Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce: la concupiscenza poi concepisce e genera il peccato, e il peccato, una volta commesso, genera la morte 13. Ne segue che, quando è guarita l'enfiagione della superbia, l'uomo si rialza se la volontà di rimanere fedele a Dio, che gli era mancata prima della prova, la possiede dopo la prova per tornare a Dio.
6. 8. Ora, alcuni rimangono imbarazzati al pensiero che Dio abbia permesso questa tentazione del primo uomo, come se non vedessero che adesso tutto il genere umano viene continuamente tentato dalle insidie del demonio. Perché Dio permette anche ciò? Forse perché in questo modo viene messo alla prova e si fa esercitare la virtù, e la palma della vittoria di non consentire alla tentazione è più gloriosa di quella di non aver potuto essere tentati. Poiché anche quegli stessi, che hanno abbandonato il Creatore, seguono il loro tentatore e tentano sempre più coloro che restano fedeli alla parola di Dio e offrono ai loro tentatori - per farli resistere alla passione - l'esempio di come evitare la tentazione e infondono in loro un santo timore per combattere la superbia. Ecco il motivo per cui l'Apostolo dice: Vigilando su te stesso per non cadere anche tu nella tentazione 14. È sorprendente come tutte le Sacre Scritture si premurano di raccomandarci continuamente l'umiltà, con cui ci sottomettiamo al Creatore ed evitiamo di credere che non abbiamo bisogno del suo aiuto presumendo delle nostre forze. Poiché dunque anche i peccatori contribuiscono al progresso dei virtuosi e gli empi al progresso dei timorati di Dio, non ha senso dire: "Dio non avrebbe dovuto creare coloro che prevedeva sarebbero stati cattivi". Perché mai, infatti, non avrebbe dovuto creare coloro che egli prevedeva sarebbero di giovamento ai buoni affinché da una parte nascessero per essere utili ad esercitare e ammaestrare la volontà dei buoni e, d'altra parte, ricevessero anch'essi un giusto castigo per la cattiva loro volontà?
7. 9. "Dio - dicono alcuni - avrebbe dovuto creare l'uomo di tal natura che gli fosse assolutamente estranea la volontà di peccare". Ora, io ammetto che è migliore la natura a cui è assolutamente estranea la volontà di peccare; ma ammettano anch'essi a loro volta che, se da un lato non è cattiva una natura fatta in modo che poteva non peccare qualora non lo avesse voluto, dall'altro lato è giusto il verdetto con cui essa fu punita, dal momento che aveva peccato con il suo libero arbitrio senz'esservi costretta. Allo stesso modo quindi che la retta ragione c'insegna che è migliore la natura, alla quale non piace assolutamente nulla d'illecito, così la retta ragione c'insegna nondimeno che è buona anche la natura che ha in suo potere di reprimere il piacere illecito qualora esso sorga [nell'animo] in modo da rallegrarsi non solo delle altre sue azioni lecite e buone ma anche della repressione dello stesso piacere cattivo. Poiché quindi questa natura è buona ma l'altra è migliore, perché mai Dio avrebbe dovuto creare quella sola e non piuttosto l'una e l'altra? Per conseguenza coloro, che erano pronti a lodar Dio d'aver creato solo la prima [specie di creature], dovrebbero lodarlo ancora di più per aver creato l'una e l'altra; l'una infatti si trova nei santi angeli, l'altra negli uomini santi. Coloro invece che hanno scelto per sé di mettersi dalla parte del male, hanno corrotto la loro natura degna di lode; il fatto poi che Dio prevedeva la loro condotta non è certo una ragione che non avrebbero dovuto esser creati. Anch'essi infatti hanno [tra gli esseri] il loro posto che devono occupare per l'utilità dei fedeli servi di Dio. Poiché Dio non ha bisogno della bontà d'alcun uomo retto, tanto meno dell'iniquità di un malvagio.
8. 10. Chi, dopo seria riflessione potrebbe dire: "Dio avrebbe fatto meglio a non creare uno che egli prevedeva sarebbe potuto esser corretto per mezzo del peccato d'un altro anziché creare anche uno che prevedeva sarebbe dovuto essere condannato per il suo peccato"? Ciò infatti equivale a dire: "Sarebbe meglio che non ci fosse alcuno che per la misericordia di Dio venisse premiato per aver fatto buon uso del peccato di un altro, anziché esistesse un malvagio che fosse castigato giustamente per il proprio peccato". Quando la ragione ci mostra senz'ombra di dubbio due beni non ugualmente buoni, ma uno migliore dell'altro, i tardi di mente non comprendono che, quando dicono: "Questi due beni dovrebbero essere uguali", non dicono altro che: "Dovrebbe esistere solo il bene migliore". In tal modo, desiderando stabilire l'uguaglianza tra le diverse specie di buoni, ne diminuiscono il numero e, aumentandone a dismisura quello d'una sola specie, sopprimono l'altra specie. Chi mai però darebbe ascolto a costoro, se dicessero: "Siccome il senso della vista è più eccellente dell'udito, ci dovrebbero essere quattro occhi ma non dovrebbero esserci le orecchie"? Così pure, se è più eccellente la creatura razionale che senza alcuna paura del castigo e senz'alcuna superbia si sottomette a Dio, e se al contrario tra gli uomini è stato creato un altro fatto in modo che possa riconoscere i benefici di Dio soltanto vedendo il castigo d'un altro - e perciò non monti in superbia ma abbia timore 15, ossia non presuma di sé ma riponga la sua fiducia in Dio - chi, se fosse sano di mente, potrebbe dire: "Questa creatura dovrebbe essere uguale a quell'altra", senza capire che non direbbe nient'altro che: "Non dovrebbe esistere questa creatura ma solo quell'altra"? Siffatte affermazioni sono espressioni d'individui ignoranti e sciocchi. Perché mai Dio non avrebbe dovuto creare anche coloro che prevedeva sarebbero stati malvagi, volendo manifestare la sua collera e far crescere la sua potenza, sopportando perciò con grande pazienza vasi di collera già pronti per la perdizione, al fine di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia predisposti da lui per la gloria 16? Così però chi si vanta non deve vantarsi se non nel Signore 17, sapendo che non da lui ma da Dio dipende la propria esistenza ma che anche la propria felicità dipende solo da Colui dal quale ha il proprio essere.
8. 11. È perciò molto irragionevole dire: "Non dovrebbero esistere individui ai quali Dio concederebbe il gran beneficio della sua misericordia, se non potessero esistere senza ch'esistessero anche quelli per mezzo dei quali egli potesse manifestare la giustizia del suo castigo".
9. 11. Perché mai, infatti, non dovrebbero esistere piuttosto ambedue queste specie di persone, dal momento che per mezzo dell'una e dell'altra vien fatta conoscere - com'è doveroso - la bontà e l'equità di Dio?
9. 12. Ma qualcuno potrebbe obiettare: "Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi". Quanto è meglio, invece, che Dio abbia voluto così: che cioè gli uomini fossero come vogliono essere, ma che i buoni non restassero senza il premio né i malvagi senza il castigo, e con ciò stesso fossero utili agli altri! "Ma Dio - replicheranno - prevedeva che la volontà di siffatti individui sarebbe stata cattiva". Sì, la prevedeva di certo e, poiché la sua prescienza non può sbagliare, cattiva era la volontà di essi, non quella di Dio. "Perché allora creò individui che prevedeva sarebbero stati malvagi?". Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni. Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch'essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l'azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode. Proprio da loro infatti deriva la loro cattiva volontà, da lui invece la natura buona e il giusto castigo che rappresenta la funzione meritata da essi, e cioè: per gli altri un mezzo perché siano messi alla prova e un esempio per incutere timore.
10. 13. "Ma Dio - si replica - dal momento che è onnipotente, avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi". Lo avrebbe potuto certamente. "E perché allora non lo fece?". Perché non lo volle. "E perché non lo volle?". Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo. Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere 18. Credo tuttavia d'aver dimostrato assai chiaramente poco più sopra che non è un bene di poco pregio una creatura razionale, anche quella che evita il male riflettendo sulla sorte dei malvagi. Ora questa specie di creature non esisterebbe di certo, se Dio avesse convertito tutte le volontà malvage verso il bene e non avesse inflitto il meritato castigo ad alcuna violazione della legge di Dio; in tal modo non ci sarebbe che la sola specie delle persone che progrediscono nella virtù senza bisogno di considerare i peccati o il castigo dei malvagi. Così, col pretesto d'ingrandire il numero delle persone più perfette, verrebbe diminuito il numero delle diverse specie dei buoni.
11. 14. "Tra le opere di Dio - obiettano ancora - ce n'è dunque qualcuna che ha bisogno del male di un'altra creatura perché quell'altra progredisca nel bene?". Certi individui, a causa di una non so quale passione per la controversia, son divenuti pertanto talmente sordi e ciechi da non udire o vedere qual gran numero di persone si correggono quando alcuni sono stati puniti? Qual pagano, qual Giudeo, qual eretico non lo sperimenta ogni giorno nella propria famiglia? Ma quando si viene a discutere e indagare la verità, questi individui si rifiutano di riflettere e comprendere da quale opera della divina Provvidenza viene l'impulso d'infliggere loro il castigo in modo che, anche se coloro che vengono puniti non si correggono, nondimeno temeranno il loro esempio tutti gli altri, e il giusto castigo dei malvagi servirà alla salute dei buoni. È forse Dio la causa della malizia e della malvagità di coloro mediante il cui giusto castigo viene in aiuto a coloro che ha stabilito di soccorrere con questo mezzo? No davvero! Iddio tuttavia, pur prevedendo che quegli individui sarebbero stati cattivi a causa dei loro vizi personali, non si astenne dal crearli destinandoli all'utilità di quest'altre persone da lui create in modo che non potrebbero progredire nel bene senza riflettere sulla sorte dei malvagi. Se infatti questi non esistessero, non gioverebbero a nulla. È forse un piccolo bene che esistano questi individui che per lo meno sono utili all'altra categoria di persone? Chi desidera che non esistano siffatti individui, non cerca altro che di non essere lui stesso nel numero dei medesimi.
11. 15. Grandi sono le opere del Signore, da ricercare in tutte le sue volontà! 19 Egli prevede coloro che saranno buoni e li crea; prevede coloro che saranno cattivi e li crea, dando se stesso ai buoni affinché possano trovare la loro gioia in lui; ma anche ai cattivi egli concede generosamente molti dei suoi doni, perdonandoli con misericordia, castigandoli con giustizia, e in modo analogo castigandoli con misericordia e perdonandoli con giustizia, senza temer nulla dalla malizia di nessuno né aver bisogno della giustizia di nessuno; senza cercare per se stesso alcun vantaggio neppure dalle azioni dei buoni, ma avendo di mira il vantaggio dei buoni procurato anche con il castigo dei cattivi, Perché dunque non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato perché con quella tentazione si rivelasse, fosse convinto di peccato e punito quando il superbo desiderio d'essere padrone di se stesso avesse partorito ciò ch'esso aveva concepito 20 e sarebbe rimasto pieno di vergogna a causa del peccato commesso e con il suo giusto castigo avrebbe distolto dal peccato di superbia e disubbidienza gli uomini avvenire per i quali era stato stabilito che quei fatti dovevano essere messi in iscritto e fatti conoscere.
12. 16. Se poi si chiede perché Dio permise al diavolo di tentare [l'uomo] mediante il serpente a preferenza [di altri animali], chi non vede che quel fatto avvenne precisamente per indicare qualcosa d'importante, come ricorda la Scrittura, la quale ha un'autorità così grande che, nel suo parlare ispirato da Dio, si basa su tanti argomenti divini quante sono le profezie adempiute e di cui il mondo è ormai ripieno? Non che il diavolo volesse simbolizzare qualcosa per la nostra intenzione, ma siccome non avrebbe potuto avvicinarsi all'uomo per tentarlo se non ne avesse avuto il permesso, avrebbe forse potuto farlo con un mezzo diverso da quello con cui gli era permesso di accostarglisi? Per conseguenza qualunque cosa, di cui era simbolo il serpente, dev'essere attribuita alla divina Provvidenza, in dipendenza della quale anche il diavolo ha sì il perverso desiderio di nuocere ma, quanto al potere di effettuarlo, ha solo quello concessogli [da Dio] per far cadere o mandare in rovina i vasi di collera o per umiliare o anche mettere alla prova i vasi di misericordia. Noi sappiamo donde deriva la natura del serpente: la terra, alla parola del Signore, produsse tutti gli animali e le bestie e i serpenti. Tutte queste creature, dotate di un'anima vivente ma irrazionale, per una legge di gerarchia voluta da Dio, sono sottomesse a tutte le creature razionali, buona o cattiva che sia la loro volontà 21. Che c'è dunque di strano se Dio permise al demonio di compiere un'zione per mezzo del serpente, dal momento che Cristo stesso permise ai demoni d'entrare nei porci 22?
13. 17. D'ordinario si discute piuttosto con maggior sottigliezza della natura del demonio. Alcuni eretici infatti, urtati dal fatto che la sua volontà è malvagia, si sforzano di presentarlo assolutamente estraneo alla creazione del sommo e vero Dio e attribuirgli un altro principio che, secondo essi, sarebbe contrario a Dio. Essi non riescono a capire che tutto ciò che esiste, in quanto è una sostanza, non solo è un bene ma non potrebbe avere l'esistenza se non dal vero Dio da cui deriva ogni bene; che al contrario, quando si preferiscono i beni inferiori a quelli superiori, ciò avviene per un impulso disordinato della cattiva volontà; così avvenne che lo spirito della creatura razionale, compiacendosi del proprio potere, a causa della sua eccellenza si gonfiò di superbia e perciò cadde dalla felicità del paradiso spirituale struggendosi di gelosia. Tuttavia nel caso di questo spirito è un bene il fatto stesso di vivere e vivificare un corpo, si tratti d'un corpo materiato d'aria, come quello che vivifica lo spirito dello stesso diavolo o dei demoni, sia che si tratti d'un corpo terrestre come quello vivificato dall'anima di qualunque uomo anche se malvagio e perverso. Per conseguenza costoro, negando che un essere fatto da Dio pecchi di propria volontà, affermano che la sostanza di Dio stesso è stata corrotta e pervertita dapprima per necessità e in seguito irreparabilmente di propria volontà. Ma di questo dissennatissimo errore abbiamo già parlato a lungo in altre occasioni.
14. 18. Nella presente opera, al contrario, noi dobbiamo indagare che cosa bisogna dire a proposito del diavolo attenendoci alla sacra Scrittura. In primo luogo dobbiamo indagare se proprio all'origine del mondo il diavolo, poiché s'era compiaciuto del proprio potere, si separò da quella comunità e carità in virtù della quale sono beati gli angeli che godono di Dio, o se rimase per qualche tempo nella santa comunità degli angeli anche lui ugualmente giusto ed ugualmente beato. Alcuni infatti affermano ch'egli fu precipitato dalla dimore celeste perché aveva avuto invidia dell'uomo fatto ad immagine di Dio. L'invidia infatti è una conseguenza della superbia, non la precede, perché causa della superbia non è l'invidia, ma causa dell'invidia è la superbia. Poiché dunque la superbia è l'amore della propria eccellenza, l'invidia invece è l'odio della felicità altrui, è evidente quale dei due vizi ha origine dall'altro. Chiunque infatti ama la propria eccellenza invidia i propri pari perché sono uguali a lui e invidia quelli che gli sono inferiori perché non arrivino allo stesso livello o quelli che gli sono superiori per il fatto di non essere uguale a loro. È quindi a causa della superbia che si è invidiosi, non a causa dell'invidia che si è superbi.
15. 19. A ragione la Scrittura definisce la superbia principio del peccato, dicendo: Principio di ogni peccato è la superbia 23. Con questo testo concorda pienamente anche ciò che dice l'Apostolo: L'avarizia ò la radice di tutti i mali 24, se per "avarizia" intendiamo in senso generico la "brama" di chi desidera qualcosa che oltrepassa ciò che è necessario a motivo della propria eccellenza e di un certo amore per il proprio interesse personale, amore al quale la lingua latina ha dato saggiamente la qualifica di privatus, cioè di "amore egoistico", aggettivo usato evidentemente per indicare più una perdita anziché un guadagno; ogni privazione infatti comporta una perdita. Per questo fatto dunque la superba brama di elevarsi viene precipitata nel bisogno e nella miseria poiché, a causa del funesto amore di sé, dalla ricerca del bene comune si restringe al proprio bene individuale. L'avarizia però, nel senso specifico del termine, è il vizio che più comunemente si chiama "brama del denaro". Ma l'Apostolo, indicando con il termine specifico il senso generico, con la frase: L'avarizia è la radice di tutti i mali voleva far intendere ogni specie di avidità. Fu infatti a causa di questo vizio che cadde il demonio il quale non aveva certamente la brama del denaro, ma quella del proprio potere. È per questo che l'amore perverso di se stessi priva della comunione degli angeli santi lo spirito gonfio di superbia e questo rimane oppresso dal suo misero stato mentre desidera appagare le sue brame compiendo l'iniquità. Ecco perché, dopo aver detto in un altro passo: Ci saranno uomini amanti di se stessi, l'Apostolo soggiunge immediatamente: amanti del denaro 25, scendendo dal concetto generico di avidità, la cui sorgente è la superbia, a questo senso specifico che si riferisce propriamente agli uomini. Anche gli uomini, infatti, non sarebbero avidi di denaro, se non si reputassero tanto superiori quanto più sono ricchi. A questo perverso amore si oppone la carità che non cerca il proprio interesse 26, cioè non si compiace della propria eccellenza; a ragione perciò non si gonfia d'orgoglio 27.
15. 20. Di questi due amori l'uno è puro, l'altro impuro; l'uno sociale, l'altro privato; l'uno sollecito nel servire al bene comune in vista della città celeste, l'altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere in vista di una dominazione arrogante; l'uno è sottomesso a Dio, l'altro è nemico di Dio; tranquillo l'uno, turbolento l'altro; pacifico l'uno, l'altro litigioso; amichevole l'uno, l'altro invidioso; l'uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l'altro che vuole sottomettere il prossimo a se stesso; l'uno che governa il prossimo per l'utilità del prossimo, l'altro per il proprio interesse. Questi due amori si manifestarono dapprima tra gli angeli: l'uno nei buoni, l'altro nei cattivi, e segnarono la distinzione tra le due città fondate nel genere umano sotto l'ammirabile ed ineffabile provvidenza di Dio, che governa ed ordina tutto ciò che è creato da lui: e cioè la città dei giusti l'una, la città dei cattivi l'altra. Inoltre, mentre queste due città sono mescolate in un certo senso nel tempo, si svolge la vita presente finché non saranno separate nell'ultimo giudizio: l'una per raggiungere la vita eterna in compagnia con gli angeli buoni sotto il proprio re, l'altra per essere mandata nel fuoco eterno con il suo re in compagnia degli angeli cattivi. Di queste due città parleremo più a lungo forse in un'altra opera, se il Signore vorrà.
16. 21. Quando fu dunque che la superbia fece cadere il diavolo pervertendo la sua natura buona a causa della sua volontà cattiva? La Scrittura non lo dice, tuttavia la ragione dimostra chiaramente che la sua caduta avvenne prima della creazione dell'uomo e che la sua superbia fece nascere in lui l'invidia verso l'uomo. Per chiunque rifletta su questo argomento è infatti evidente che la superbia non nasce dall'invidia ma è piuttosto l'invidia che nasce dalla superbia. Si può anche supporre non senza fondamento che il diavolo cadde a causa della superbia all'origine del tempo e che prima non ci fu alcun tempo in cui visse tranquillo e felice con gli angeli santi ma che si allontanò dal suo Creatore fin dall'inizio della sua creazione. Lo dice il Signore: Egli era omicida fin dal principio e non è stato mai aderente alla verità 28; le due affermazioni di questa frase dobbiamo intenderle nel senso che non solo il demonio era omicida fin dal principio ma anche che non perseverò nella verità fin dal principio. Egli infatti fu omicida fin dall'inizio in cui l'uomo poté essere ucciso; ma l'uomo non poteva essere ucciso prima ch'esistesse chi potesse essere ucciso. Il diavolo fu dunque omicida fin dal principio poiché uccise il primo uomo, prima del quale non esisteva alcun altro uomo. Egli inoltre non perseverò nella verità e, anche in questo caso, dal primo istante della sua creazione, mentre avrebbe potuto perseverarvi, se l'avesse voluto.
17. 22. Come si può pensare, infatti, che il demonio abbia vissuto una vita felice tra gli angeli beati? Poiché, se non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso e del conseguente castigo, cioè della sua apostasia da Dio e del fuoco eterno, è giusto chiedersi perché non avesse quella prescienza. Gli angeli santi infatti non sono incerti della loro vita e felicità eterna. Poiché come potrebbero essere felici, se fossero incerti? Diremo forse che Dio non volle rivelare al diavolo, quand'era ancora un angelo buono, che cosa avrebbe fatto o che cosa avrebbe sofferto, mentre agli altri angeli avrebbe rivelato che sarebbero rimasti nella verità? Se la cosa sta così, il diavolo già [prima del peccato] non era in ugual misura felice, anzi non era nemmeno completamente felice, dal momento che coloro, i quali sono appieno felici, sono sicuri della loro felicità senza che la turbi alcun timore. Ma che male aveva fatto il diavolo per meritare d'esser discriminato tra tutti gli altri angeli sicché Dio non gli rivelasse nemmeno la condizione che gli sarebbe toccata? Forse che Dio castigò il diavolo prima che peccasse? È inammissibile! Dio infatti non condanna gl'innocenti. Oppure il demonio apparteneva forse a un'altra specie di angeli, ai quali Dio non concesse la prescienza del futuro, neppure di quello che riguardava loro stessi? Io però non vedo come potrebbero esser felici gli spiriti che non hanno la sicurezza della loro stessa felicità. Poiché alcuni hanno anche pensato che il diavolo non appartenesse alla specie degli angeli che per la loro sublime natura sono al di sopra dei cieli, ma a quella degli altri angeli che furono creati nel mondo un po' inferiori ai primi e destinati a funzioni particolari. Gli angeli di questa specie avrebbero forse potuto provare attrazione per un piacere illecito, ma se non avessero voluto peccare, avrebbero potuto raffrenare quel piacere con il libero arbitrio come l'uomo, specialmente il primo uomo, che ancora non portava nelle membra il castigo del peccato, dal momento che la loro stessa attrattiva viene vinta con il timor di Dio dai santi uomini ubbidienti a Dio ed aiutati dalla sua grazia.
18. 23. Inoltre il presente quesito sulla felicità, se ciò si deve dire che uno già la possiede pur essendo incerto se essa perdurerà con lui o se un giorno finirà in uno stato di miseria, lo si può sollevare anche a proposito del primo uomo. Poiché, se prevedeva il peccato che avrebbe commesso e il castigo di Dio, come poteva esser felice? Egli perciò [in questa ipotesi] nel paradiso non era felice. Ma è pur vero ch'egli non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso. Data dunque siffatta ignoranza, due sono i casi: o era incerto della sua felicità - e allora come poteva esser veramente felice? - o la sua certezza si fondava su di una falsa speranza, ed allora come non sarebbe stato stolto?
18. 24. Ciononostante il primo uomo aveva ancora un corpo naturale ma, se fosse vissuto nell'ubbidienza, avrebbe dovuto per giunta far parte della società degli angeli e il suo corpo esser cambiato da naturale in spirituale, possiamo farci un'idea di come la sua vita fosse felice in una certa misura, anche se non prevedeva il peccato che avrebbe commesso. Non avevano la prescienza del futuro nemmeno quelle persone a cui l'Apostolo diceva: Voi che siete spirituali, correggete quel tale con spirito di dolcezza; ma tu bada a te stesso, per non cadere anche tu in tentazione 29. Non è tuttavia né illogico né erroneo dire che quelle persone erano già felici per il fatto stesso ch'erano spirituali non quanto al corpo ma quanto alla giustizia della loro fede, allegre nella speranza, forti nella tribolazione 30. Con quanta maggior ragione e in quanta più ampia misura era perciò felice l'uomo nel paradiso prima del peccato, quantunque incerto della sua futura caduta, in quanto per la speranza della ricompensa che avrebbe avuto, cioè la trasformazione del proprio corpo, era pieno di tanta gioia che non c'era alcuna sofferenza a sopportare la quale dovesse esercitarsi la pazienza. Sebbene egli non fosse sicuro, in base a una vana presunzione, d'una realtà incerta come uno stolto, ma restando fedele in virtù della speranza, prima di ottenere la vita in cui sarebbe stato del tutto sicuro della sua stessa vita eterna, avrebbe potuto rallegrarsi, come dice la Scrittura, con tremore 31, e con questa gioia godere nel paradiso di una felicità molto maggiore di quella che hanno i fedeli servi di Dio quaggiù sulla terra, anche se, in qualche misura, minore di quella degli angeli santi che vivono al di sopra dei cieli nella vita eterna, ma nondimeno reale.
19. 25. D'altra parte dire che alcuni angeli potrebbero esser felici a modo loro pur essendo incerti del loro peccato e castigo futuro o almeno della loro eterna salvezza senza esser sorretti neppure dalla speranza che anch'essi, con una trasformazione in meglio, giungerebbero alla certezza della loro sorte futura, è una pretesa difficilmente tollerabile, salvo che si dica per caso anche che questi angeli, assegnati a compiere certe funzioni in questo mondo agli ordini degli altri angeli più eminenti e più felici, sono stati creati in modo da ricevere, in cambio della fedele esecuzione dei loro compiti, la felicità più alta di cui potrebbero avere assoluta certezza e così, godendo per tale speranza, non sarebbe illogico dire che essi sono già felici fin d'ora. Se apparteneva a siffatta categoria di angeli il diavolo e cadde in peccato con i suoi compagni, la sua sorte è simile a quella degli uomini che si allontanano dalla giustizia della fede, peccando anch'essi a causa d'una simile superbia o ingannando se stessi o acconsentendo agli inganni del diavolo.
19. 26. Coloro che ne son capaci sostengano pure, dunque, questa teoria di due categorie d'angeli buoni: l'una degli angeli viventi al di sopra dei cieli, dei quali non fece mai parte l'angelo che cadde e divenne il diavolo, l'altra degli angeli che vivono in questo nostro mondo, al numero dei quali apparteneva il diavolo. Quanto a me, confesso di non trovare, per il momento, come intendere questa distinzione [in due categorie] sulla base delle Scritture. Trovandomi tuttavia incalzato dal quesito se il demonio prevedesse la propria caduta prima che questa avvenisse, per paura di affermare che gli angeli sono o furono un tempo incerti della loro felicità, ho detto che non senza ragione si può pensare che il diavolo cadde all'inizio della creazione, cioè all'inizio del tempo o della propria creazione e che non è mai rimasto nella verità 32.
20. 27. Per questo motivo alcuni scrittori pensano che il diavolo non si volse verso il male con il libero arbitrio della sua volontà ma fu creato addirittura nel male, sebbene fosse stato creato dal Signore, sommo e vero Dio, creatore di tutti gli esseri. Per la loro opinione adducono come prova un passo del libro di Giobbe ove, parlando del demonio, sta scritto: Questa è la prima delle opere formate dal Signore, che egli fece perché fosse beffato dagli angeli 33; con questa frase concorda il seguente versetto del Salmo: Questo è il dragone che tu hai fatto per farti beffe di lui 34, eccetto che qui il testo dice: che tu hai fatto, diversamente dall'altro testo che dice: la prima delle opere formate dal Signore, come se Dio fin dall'inizio l'avesse fatto così, cioè malvagio, invidioso, seduttore, completamente diavolo, non depravato dalla sua volontà ma creato così.
21. 28. Certi scrittori si sforzano di dimostrare che questa opinione - secondo la quale il diavolo non si corruppe a causa della propria volontà ma fu creato assai cattivo dallo stesso Signore Iddio - non è contraria all'affermazione della Scrittura che dice: Dio creò tutte le cose ed ecco, esse erano assai buone 35. Essi affermano anche - e non si tratta di persone prive di spirito o ignoranti - che non solo all'inizio della creazione, ma ancora adesso, benché tante volontà siano corrotte, nondimeno l'insieme di tutti gli esseri creati, cioè tutta la creazione nel suo insieme, è molto buona. Essi però non dicono che nella creazione i malvagi siano buoni ma che con la loro malizia non riescono a deturpare e turbare in alcuna parte la bellezza e l'ordine dell'universo sottomesso al dominio, al potere e alla sapienza di Dio che lo governa; e ciò avviene poiché alla volontà di siffatti individui anche malvagi sono segnati limiti determinati e adeguati ai loro poteri, e c'è una bilancia dei meriti e dei demeriti; in tal modo, anche con essi inseriti nell'ordine e nel posto loro appropriato e giusto, risulta bello l'universo. È tuttavia una verità assai chiara, come possono vedere tutti, quanto è contrario alla giustizia che Dio, senza alcuna colpa precedente, condanni in una creatura ciò che in essa fu creato da lui stesso. È infatti anche certo ed evidente che il demonio e i suoi angeli sono stati condannati, come risulta dal Vangelo in cui il Signore predisse che a coloro, i quali si trovano alla sinistra, avrebbe detto: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli 36. Non si deve perciò credere affatto, a proposito del diavolo, che sia la natura creata da Dio a dover essere punita col fuoco eterno ma la sua cattiva volontà personale.
22. 29. Non dobbiamo nemmeno pensare ch'è la natura del demonio a essere denotata nella frase: Questa è la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli 37, essa invece denota il corpo formato d'aria che Dio adattò convenientemente alla volontà malvagia di quello spirito, oppure la giusta disposizione per cui Dio fece sì che il diavolo fosse utile ai buoni anche contro la sua volontà, oppure il fatto che Dio, pur prevedendo che quello spirito sarebbe divenuto cattivo per un atto della propria volontà, nondimeno lo creò senza impedire alla sua bontà di dar la vita e la natura anche ad una volontà che sarebbe divenuta colpevole, prevedendo nello stesso tempo quanto grandi beni avrebbe ricavato dal demonio mediante la sua mirabile bontà e potenza. Il demonio inoltre la Scrittura lo chiama la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli, non perché lo abbia creato per primo o lo abbia creato malvagio fin dall'origine ma perché, sapendo che il demonio sarebbe diventato malvagio di propria volontà per far del male ai buoni, lo creò proprio per servirsi di lui a vantaggio dei buoni. Questo è il significato delle parole: perché fosse schernito dai suoi angeli, poiché il diavolo viene beffeggiato quando le sue tentazioni, con cui si sforza di corrompere i fedeli servi di Dio, tornano a vantaggio di questi e così la malizia, in cui cadde per sua volontà, diventa utile suo malgrado ai servi di Dio, il quale previde ciò quando lo creò. Ecco perché il diavolo è la prima opera [di Dio] che dev'essere schernita, poiché anche i malvagi sono strumenti dello stesso diavolo e formano [con lui] una specie di corpo, di cui è capo il diavolo. Iddio però, sebbene prevedesse che sarebbero divenuti malvagi, tuttavia li creò per il bene dei suoi servi fedeli; essi vengono beffeggiati come il diavolo quando, nonostante la loro volontà di recar danno, mediante il confronto con loro si offre ai servi di Dio [motivo di] cautela e religiosa umiltà nella sottomissione a Dio, l'intelligenza della grazia, l'occasione di esercitarsi a sopportare i malvagi e mette alla prova l'amore per i nemici. Il diavolo dunque è la prima creatura che viene schernita in questo modo perché precede questi altri malvagi non solo per l'anteriorità nel tempo, ma anche per la superiorità nella malizia. Lo scherno del demonio poi Dio lo effettua mediante gli angeli santi grazie all'azione della provvidenza, con cui governa le creature create, sottomettendo gli angeli cattivi agli angeli buoni, affinché la malizia dei cattivi eserciti il suo potere non nella misura dei suoi sforzi ma nella misura loro permessa. Quanto è detto dell'iniquità degli angeli cattivi vale anche per quella degli uomini malvagi fino a quando anche la nostra giustizia, con cui si vive mediante la fede 38 - la fede esercitata ora tra gli uomini con la pazienza - sarà cambiata in giudizio, affinché anche gli uomini possano giudicare non solo le dodici tribù d'Israele, ma anche gli angeli.
23. 30. Se dunque si ammette che il diavolo non è mai restato nella verità 39, che non condusse mai una vita felice con gli angeli [santi], che cadde fin dal primo istante della propria creazione, ciò non deve intendersi nel senso che si possa pensare che egli non diventò perverso a causa della propria volontà ma che fosse creato malvagio da Dio che è buono. Nel caso contrario non si potrebbe dire che cadde fin dalla sua origine; egli infatti non poteva "cadere" se fosse stato creato cattivo; egli invece si allontanò dalla luce della verità subito dopo essere stato creato, poiché era gonfio di superbia e corrotto, avendo provato compiacimento del proprio potere. Ecco perché non poté godere la dolcezza della vita beata e angelica, non perché non l'avesse ricevuta e poi l'avesse disdegnata, ma perché se ne allontanò e la perse rifiutando di riceverla. Per questo motivo non poté avere nemmeno la previsione della propria caduta, poiché la sapienza è frutto del timore di Dio. Il diavolo invece, essendo empio fin dall'origine e per conseguenza accecato nello spirito, cadde non dalla condizione ricevuta, ma da quella che avrebbe ricevuta; non poté comunque sfuggire neppure al potere di Colui al quale non volle assoggettarsi e così il peso del suo peccato ha avuto nei suoi riguardi l'effetto di non poter né godere la luce della giustizia, né salvarsi dal giudizio di Dio.
24. 31. La Scrittura dunque, per mezzo del profeta Isaia dice: Come mai è caduto dal cielo Lucifero, che sorge al mattino? È stato abbattuto a terra colui che mandava ambasciate a tutte le nazioni. Eppure tu dicevi in cuor tuo: "Salirò in cielo, porrò il mio trono sopra le stelle del cielo, sederò su di un monte eccelso, al di sopra dei monti più alti del nord, salirò sulle nubi, sarò simile all'Altissimo!". Ora invece scenderai agli inferi 40, ecc. Queste parole vengono interpretate come riferite al diavolo simboleggiato nel re di Babilonia. La maggior parte delle cose suddette si riferiscono però al "corpo" del diavolo, a coloro cioè che egli recluta anche dal genere umano, e specialmente a coloro che a lui si uniscono mediante la superbia, ripudiando i comandamenti di Dio. Infatti come nel Vangelo è chiamato "uomo" colui che era il diavolo: Un uomo nemico ha fatto ciò 41, così uno che era uomo è chiamato "diavolo" in quest'altro passo del Vangelo: Non sono stato forse io ad eleggere voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo 42. Inoltre il corpo di Cristo, che è la Chiesa, è chiamato Cristo - come quando S. Paolo dice: Voi siete discendenti di Abramo 43, mentre poco prima aveva detto: Le promesse furono fatte ad Abramo e al suo discendente. [La Scrittura] non dice: e ai discendenti, come se si trattasse di molti, ma: al tuo discendente, come a uno solo, cioè Cristo 44; e ancora: Come il corpo è uno solo, eppure ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo 45. Allo stesso modo anche il corpo del diavolo è chiamato "il diavolo", poiché il diavolo è il capo di esso, cioè della moltitudine degli empi, soprattutto di coloro che - per così dire - cadono dal cielo separandosi da Cristo e dalla Chiesa. A proposito di questo corpo vengono affermate, sotto forma di simbolo, molte cose che convengono non tanto al capo quanto al corpo e alle sue membra. Lucifero, che spuntava al mattino e cadde, può quindi indicare la genìa degli apostati separati da Cristo o dalla Chiesa; codesti individui si cambiano in tenebre avendo perduta la luce che portavano in loro, allo stesso modo che coloro, i quali si convertono a Dio, passano dalle tenebre alla luce; in altre parole, coloro che erano tenebre, diventano luce.
25. 32. S'intendono riferite parimenti al diavolo, simboleggiato nel principe di Tiro, le seguenti parole del profeta Ezechiele: Tu sei sigillo di somiglianza e corona di gloria; tu vivevi nelle delizie del paradiso di Dio. Tu eri ornato d'ogni specie di pietre preziose 46, ecc.; queste espressioni, come le altre che seguono, si riferiscono non tanto allo spirito che è il principe del male, quanto al suo corpo. Ora, la Chiesa è chiamata "Paradiso", come si legge nel Cantico dei cantici: Giardino chiuso, fonte sigillata, pozzo d'acque vive, paradiso pieno di alberi fruttiferi 47. Da questo paradiso si sono staccati tutti gli eretici separandosene o in modo visibile e materiale o con una separazione occulta e spirituale, benché sembri che rimangano uniti con il corpo della Chiesa; tutti coloro che [si sono separati] sono tornati al loro vomito, sebbene dopo che erano stati rimessi loro tutti i peccati, avessero camminato per un po' di tempo sulla via della giustizia. La loro condizione finale è divenuta peggiore della prima, e sarebbe stato meglio per loro non conoscere la via della giustizia piuttosto che, una volta conosciutala, voltar le spalle al santo comandamento ch'era stato loro consegnato 48. Questa genìa perversa è denotata dal Signore allorché dice che lo spirito maligno, dopo essere uscito da un uomo, torna con altri sette spiriti e s'installa in quella casa, ch'egli ha trovato già spazzata, e così la condizione finale di quell'uomo è peggiore della prima 49. A questa genìa d'individui, divenuti ormai corpo del diavolo, possono applicarsi le parole: Dal giorno che tu sei stato creato con i Cherubini - cioè con il trono di Dio, che tradotto significa: "pienezza di scienza" - e: Egli ti pose sul monte santo di Dio 50 - cioè nella Chiesa, e quindi nei Salmi si dice: Egli mi ascoltò dal suo monte santo, tu eri in mezzo a pietre scintillanti 51 - cioè tra i santi dallo spirito fervente, pietre viventi, ti sei comportato senza commettere peccati nei tuoi giorni dal dì che fosti creato, finché in te non furono trovati i tuoi peccati 52. Queste parole potrebbero essere esaminate più accuratamente e così potrebbe forse mostrarsi che non solo possono avere questo senso ma che non possono averne assolutamente alcun altro.
26. 33. Ma la discussione sarebbe troppo lunga e la questione esigerebbe un altro trattato riservato a questo argomento; per adesso quindi ci basti questo compendio della seguente [quadruplice] alternativa: 1) o il diavolo, fin dal primo istante della sua creazione, per la sua empia superbia, cadde dalla felicità che avrebbe avuta, se lo avesse voluto; 2) o ci sono altri angeli, destinati a funzioni più umili in questo mondo, con i quali era vissuto godendo una certa loro felicità senza avere la prescienza del futuro e dalla compagnia dei quali, per la sua empia superbia, cadde come una specie di arcangelo con gli angeli sottomessi al suo comando - quand'anche fosse in qualche modo possibile addurre quest'ipotesi, ma sarebbe strano che fosse possibile --; 3) o almeno bisognerebbe cercare una ragione che spiegasse come tutti gli angeli santi, nell'ipotesi che il diavolo con i suoi angeli fosse vissuto con loro ugualmente felice per un certo tempo, non avevano ancora nemmeno essi una prescienza sicura della propria felicità perpetua ma la ricevettero solo dopo la caduta del diavolo; 4) o bisognerebbe [infine] cercare per qual demerito il diavolo insieme con i suoi compagni fu separato dagli altri angeli prima del suo peccato, sicché fosse ignaro della sua futura caduta, mentre gli altri angeli erano sicuri della loro perseveranza. Noi tuttavia non dovremmo avere il minimo dubbio non solo che gli angeli peccatori sono stati precipitati in una specie di prigione nell'atmosfera caliginosa che avvolge la terra e vi son detenuti per esser puniti nel giudizio [finale], come assicura l'apostolo [Pietro] 53, ma dobbiamo credere pure che nella beatitudine celeste degli angeli santi non è incerta la loro vita eterna, e questa non sarà incerta neppure per noi, conforme alla misericordia, alla grazia e alla promessa assolutamente fedele di Dio, quando saremo uniti a loro dopo la risurrezione e la trasformazione del nostro corpo terreno. Noi viviamo in virtù di questa speranza e ci sentiamo confortati dalla grazia della sua promessa. Ci sono poi altri quesiti riguardanti il diavolo e cioè: perché Dio lo ha creato pur prevedendo che si sarebbe pervertito; perché Dio, pur essendo onnipotente, non volge la sua volontà verso il bene. Per questi quesiti sarà bene attenersi a quanto abbiamo detto allorché abbiamo trattato gli stessi problemi a proposito degli uomini peccatori per vedere che cosa può essere inteso o creduto, oppure se si trova - se è possibile - una soluzione migliore.
27. 34. Dio, dunque, il cui sovrano potere trascende tutto ciò ch'egli ha creato e che si serve degli angeli santi per far sì che il diavolo rimanga scornato - poiché dalla sua malizia trae vantaggio la Chiesa di Dio - non permise al diavolo di tentare la donna se non per mezzo del serpente, e l'uomo se non mediante la donna. Ma nel caso del serpente fu il demonio a parlare servendosi di quello come di uno strumento eccitando la sua natura come egli poteva eccitarla e come quella poteva essere eccitata per produrre i suoni delle parole e i segni sensibili attraverso i quali la donna comprendesse la volontà del tentatore. Al contrario nel caso della donna, che era una creatura razionale capace di articolare parole per un suo impulso personale, non fu il diavolo a parlare ma fu la donna che pronunciò le parole con cui persuase [l'uomo] sebbene fosse il diavolo a incoraggiarla interiormente con la sua istigazione occulta, come aveva agito esteriormente per mezzo del serpente. Per la verità, se il diavolo avesse agito solo con l'istigazione occulta, come spinse Giuda a consegnare Cristo 54, la sua azione avrebbe potuto ottenere il suo effetto in un'anima spinta [in tentazione] dalla passione dell'orgoglio per il proprio potere. Il diavolo però - come ho già detto - ha la volontà di tentare [l'uomo] ma non è in suo potere né il fare né il modo di fare ciò. Egli dunque tentò perché gli era stato permesso ed effettuò la tentazione nel modo che gli era stato permesso; non sapeva però che la sua azione sarebbe stata utile a una categoria di persone né voleva questo risultato e per ciò stesso veniva schernito dagli angeli.
28. 35. Il serpente perciò non capiva le parole rivolte alla donna che erano proferite per suo mezzo, perché non si deve credere che l'anima del serpente fosse trasformata in una natura razionale, dal momento che neppure gli esseri umani, la cui natura è razionale, sanno ciò che dicono quando il demonio parla in loro nello stato d'ossessione che richiede l'intervento dell'esorcista. Tanto meno si può credere che il serpente avrebbe potuto capire le parole che il diavolo pronunciava per mezzo di esso e dalla sua bocca, dato che non avrebbe compreso le parole che avesse udito pronunciare da un essere umano non invasato dall'ossessione diabolica. Si crede anche che i serpenti odano e comprendano le parole dei Marsi e che sotto l'effetto dei loro incantesimi siano soliti balzar fuori dai loro nascondigli. Anche in questo caso però agisce un potere diabolico per farci conoscere quali esseri la Provvidenza sottomette in ogni luogo ad altri esseri secondo un ordine naturale, e che cosa, con il suo potere sapientissimo, permette perfino a volontà cattive; così avviene che i serpenti siano abituati a essere stimolati dagli incantesimi degli uomini più di alcun altra specie di animali. Anche questa è una prova non piccola che la natura umana fu sedotta alla sua origine dal colloquio del serpente con la donna. I demoni infatti si compiacciono del potere ad essi dato di stimolare i serpenti mediante incantesimi umani per ingannare comunque quanti possono. Questo potere è stato dato loro per mostrare una certa affinità che essi hanno con questa specie di animali e richiamare così alla mente ciò che avvenne all'origine [del genere umano]; questo fatto fu permesso affinché i caratteri tipici di ogni tentazione diabolica, simboleggiata nella natura del serpente, fossero fatti conoscere al genere umano, per istruire il quale essi dovevano essere scritti. Ciò apparirà chiaro quando Dio pronuncerà la sua sentenza contro il serpente.
29. 36. La Scrittura perciò chiama il serpente il più avveduto, cioè il più astuto di tutti gli animali 55, a motivo dell'astuzia del diavolo che in esso e per mezzo di esso compiva l'inganno; così diciamo anche noi che una lingua è accorta o astuta quando è mossa da un individuo per convincere un altro in modo accorto ed astuto a far qualcosa. In realtà questo potere o facoltà non appartiene al membro corporeo chiamato lingua ma di certo allo spirito che se ne serve. Allo stesso modo chiamiamo bugiarda la penna di certi scrittori mentre la facoltà di mentire è propria solo d'un essere vivente e pensante. La penna infatti vien chiamata bugiarda per il fatto che l'adopera un bugiardo per dire bugie, come se chiamassimo bugiardo il serpente poiché il diavolo se ne servì come uno scrittore si serve della sua penna per ingannare.
29. 37. Ho creduto bene di sottolineare questo particolare, perché nessuno immagini che gli animali privi di ragione abbiano un'intelligenza umana o che tutto a un tratto siano trasformati in animali dotati di ragione. Non vorrei che alcuno cadesse nella ridicola e funesta opinione della trasmigrazione delle anime dagli uomini nelle bestie o di quelle delle bestie negli uomini. Il serpente parlò dunque alla donna come l'asina, su cui cavalcava Balaam, parlò a un uomo 56, con la sola differenza che nel primo caso era opera del diavolo mentre nel secondo era opera di un angelo. Gli angeli buoni e quelli cattivi compiono alle volte azioni simili, come le compirono Mosè e i maghi del Faraone 57. Tuttavia anche nel compiere questi prodigi gli angeli buoni sono più potenti mentre gli angeli cattivi non possono compierne alcuno se non è loro permesso da Dio per tramite degli angeli buoni, affinché ciascuno venga ripagato conforme alle disposizioni del proprio cuore o conforme alla grazia concessa da Dio; in ambedue i casi egli agisce con giustizia e bontà secondo la profondità che è nella ricchezza della sapienza e scienza di Dio 58.
30. 38. Il serpente dunque disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare d'alcun albero del paradiso""? La donna rispose al serpente: "Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma quanto al frutto dell'albero che sta al centro del paradiso Dio ha detto: "Non dovete mangiare e non dovete toccarlo, per evitare di morire"" 59. Il primo a rivolgere la domanda fu quindi il serpente e poi la donna rispose in quel modo; sicché la sua trasgressione sarebbe stata inescusabile e in alcun modo si sarebbe potuto affermare che la donna si fosse dimenticata del precetto di Dio, quantunque anche la sola dimenticanza del precetto, specialmente di quell'unico precetto tanto importante, sarebbe stata una negligenza assai colpevole, meritevole di essere punita. Tuttavia la trasgressione del precetto è più evidente quando esso è ritenuto nella memoria e, disprezzando il precetto, vien disprezzato Dio che in certo senso risiede ed è presente in esso. Ecco perché, dopo aver detto: Per coloro che si ricordano dei suoi comandamenti, il Salmista crede necessario aggiungere: affinché li adempiano 60. Poiché molti li ritengono nella memoria ma per disprezzarli e così il loro peccato di trasgressione è tanto più grave in quanto non c'è alcuna scusa della loro dimenticanza.
30. 39. Rispose, quindi, il serpente alla donna: "Voi non morrete affatto. Dio anzi sapeva che il giorno in cui ne mangerete si apriranno i vostri occhi e sarete simili a dèi, conoscitori del bene e del male" 61. In qual modo queste parole avrebbero potuto persuadere la donna che l'azione proibita da Dio era buona e utile, se già nel suo spirito non ci fosse stato l'amore della propria autonomia e una specie di superba presunzione di se stessa che sarebbe stata messa a nudo ed umiliata mediante la tentazione? Finalmente essa, non soddisfatta delle parole del serpente, si mise ad osservare l'albero e vide che l'albero era buono da mangiare e gradevole agli occhi 62; e poiché non credeva che mangiandone potesse morire, avrà pensato - a mio avviso - che Dio, dicendo: Se ne mangerete, morrete di certo 63, avesse parlato [solo] in senso figurato. Prese quindi un frutto dell'albero, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, offrendoglielo forse anche con alcune parole persuasive, che la Scrittura lascia a noi di capire pur senza riferirle. O forse non c'era più bisogno di persuadere suo marito, dal momento che egli vide che lei non era morta per aver mangiato il frutto?
31. 40. Essi, dunque, ne mangiarono. E si aprirono gli occhi ad entrambi 64. Si aprirono, per veder cosa, se non se stessi con reciproca concupiscenza in castigo del peccato nato dalla morte della carne? Per conseguenza il loro non era più un corpo soltanto naturale, capace di venir trasformato in uno stato più perfetto e spirituale senza dover morire, [come sarebbe avvenuto] qualora si fossero mantenuti obbedienti, ma era ormai un corpo destinato alla morte, in cui la legge delle membra era in contrasto con quella dello spirito 65. In realtà non erano stati creati con gli occhi chiusi né andavano girando nel paradiso di delizie come ciechi e a tentoni col pericolo di toccare l'albero vietato anche senza saperlo e coglierne i frutti proibiti senza saperlo. In qual modo, allora, furono condotti ad Adamo gli animali e gli uccelli per vedere come li avrebbe chiamati, se non li vedeva? E in qual modo la donna, quando fu fatta, venne condotta davanti al marito e questi disse: Ora essa è osso tratto dalle mie ossa e carne tratta dalla mia carne 66 ecc., se non la vedeva? In qual modo, infine, la donna vide che l'albero era buono da mangiare, piacevole a vedersi e affascinante a conoscersi, se i loro occhi erano chiusi?
31. 41. Non dobbiamo, tuttavia, intendere in senso figurato un intero passo sulla base d'una sola frase metaforica. Altri vedrà in qual senso il serpente disse: Si apriranno i vostri occhi. Lo scrittore sacro racconta che il serpente disse così, ma lascia al lettore considerare in qual senso, proprio o simbolico, lo disse. Quanto invece alla frase riferita dalla Scrittura: E si aprirono i loro occhi e si accorsero d'esser nudi 67, è stata scritta come sono narrati tutti gli altri fatti realmente avvenuti e perciò non ci devono indurre a considerarli come un racconto allegorico. Poiché neppure l'Evangelista introduceva [nel suo racconto] parole dette da un'altra persona in senso figurato e nemmeno narrava, secondo il proprio arbitrio, fatti realmente accaduti quando, a proposito dei due discepoli [di Emmaus], di cui uno era Cleofa, dice che, dopo che il Signore ebbe spezzato il pane, si aprirono i loro occhi e lo riconobbero, mentre non lo avevano riconosciuto durante la via 68. Naturalmente l'Evangelista non vuol dire che camminavano ad occhi chiusi, ma solo che non avevano potuto riconoscerlo. Come dunque in quel passo del Vangelo, così neppure in questo passo [della Genesi] si tratta di un racconto in senso figurato, sebbene la Scrittura usi una frase metaforica parlando di "occhi aperti" - che erano aperti anche prima - per indicare che si aprirono allora nel senso che videro e compresero ciò a cui prima non avevano fatto attenzione. Quando infatti [i nostri progenitori] furono spinti da una temeraria curiosità a trasgredire il precetto, bramosi di sperimentare cose a loro nascoste e sapere qual conseguenza sarebbe derivata dal toccare il frutto proibito e provar piacere a infrangere i vincoli della proibizione con l'usare una funesta libertà credendo probabilmente che non ne sarebbe seguita la morte ch'essi avevano temuta. Dobbiamo infatti pensare che il frutto di quell'albero fosse d'una specie simile a quella dei frutti degli altri alberi ch'essi avevano sperimentato essere innocui. Essi perciò credettero piuttosto che Dio avrebbe potuto perdonare facilmente il loro peccato anziché sopportare con pazienza di non conoscere di che specie fosse il frutto o perché Dio avesse proibito di mangiarne. Appena dunque trasgredirono il precetto, si trovarono completamente nudi interiormente, abbandonati dalla grazia che avevano offeso con una sfrontata arroganza e con orgoglioso amore per la propria indipendenza. Gettando allora uno sguardo sulle proprie membra essi provarono un movimento di concupiscenza ch'era loro ignoto.
32. 42. Ai progenitori sopraggiunse la mortalità lo stesso giorno in cui compirono l'azione che Dio aveva proibita. Poiché essi persero la loro condizione privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell'albero della vita, che avrebbe potuto preservarli dalle malattie e dal processo d'invecchiamento. Nel loro corpo infatti - sebbene fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più perfetto - tuttavia nell'alimento dell'albero della vita veniva già simboleggiato il mistero che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza. L'albero della vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro partecipazione all'eternità li preserva dalla corruzione. Una volta dunque che [i nostri progenitori] ebbero perduta questa condizione, il loro corpo assunse la proprietà d'essere esposto alle malattie e destinato alla morte, che è insita anche nel corpo degli animali e per questo furono soggetti allo stesso movimento a causa del quale c'è negli animali il desiderio d'accoppiarsi in modo che a coloro che muoiono succedano altri che nascono. Eppure anche nello stesso castigo l'anima razionale rivelò l'innata sua nobiltà quando si vergognò dell'impulso animale che provava nelle membra del suo corpo, e infuse in quell'impulso un senso di pudore, non solo perché in esso provava qualcosa [d'indecente] che non aveva provato mai prima d'allora, ma anche perché quell'impulso vergognoso proveniva dalla trasgressione del precetto. Fu allora che l'uomo capì di qual grazia era rivestito prima, quando, pur essendo nudo, non provava alcun movimento indecente. Fu allora che si avverò [la parola del Salmista]: Nella tua bontà, Signore, avevi dato stabilità alla mia gloria; ma tu hai voltato da me il tuo volto e io sono rimasto turbato 69. Così, dunque, a causa di quel turbamento i nostri progenitori s'affrettarono a procurarsi foglie di fico che intrecciarono per farsene cinture e, poiché avevano lasciato [volontariamente] ciò che doveva costituire la loro gloria, coprirono ciò che doveva costituire la loro vergogna. Io non credo che, ricorrendo a quelle foglie, pensassero che fosse conveniente coprire con esse le loro membra che sentivano già il prurito della concupiscenza, ma nel loro stato di turbamento furono spinti a quell'atto da un impulso occulto, di modo che anche a loro insaputa esso fu un segno del loro castigo che, dopo essere stato provato, doveva convincerli del loro peccato, e, venendo narrato dalla Scrittura, avrebbe dato un insegnamento al lettore.
33. 43. E udirono la voce di Dio, il Signore, che passeggiava nel paradiso verso sera 70. Proprio a quell'ora infatti era opportuno che [ i nostri progenitori], i quali si erano allontanati dalla luce della verità, fossero visitati [da Dio]. Iddio era forse solito in precedenza conversare con loro interiormente in modi esprimibili o piuttosto inesprimibili [con parole umane], come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non simultaneamente nel corso del tempo. Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo, sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli angeli, ma tuttavia nella misura consentita all'uomo e in proporzione, quanto si voglia minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro. Forse Dio parlava con loro in un altro modo, come quello in cui Dio si serve delle creature o nell'estasi dello spirito con immagini corporali, o nei sensi corporei con qualche oggetto fatto presente per essere visto o far sentire la sua voce nella nube mediante i suoi angeli. Allora però, quando [i nostri progenitori] udirono la voce di Dio che passeggiava nel paradiso all'imbrunire, si trattò di un'apparizione visibile effettuata mediante una creatura, poiché non dobbiamo credere che la sostanza invisibile e presente dappertutto nella sua totalità, qual è quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, apparisse ai loro sensi corporei movendosi nello spazio e nel tempo.
33. 44. Adamo e sua moglie si nascosero allora dalla faccia di Dio, il Signore, in mezzo agli alberi del paradiso 71. Allorché Dio volge via il suo volto dall'intimo dell'uomo e questi rimane turbato, non dobbiamo stupirci che l'uomo compia delle azioni simili a quelle d'un pazzo a causa di una grande vergogna e paura. Adamo ed Eva, spinti anche da un occulto istinto, che non li lasciava in pace, compirono delle azioni di cui non comprendevano il significato ma che sarebbero state comprese dai loro discendenti per i quali sono stati narrati dalla Scrittura.
34. 45. Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: "Dove sei?" 72. Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora. Naturalmente riveste anche un significato particolare il fatto che, allo stesso modo che il precetto fu dato all'uomo perché per suo mezzo arrivasse alla donna, così l'uomo fu il primo ad essere interrogato; poiché il precetto emanato dal Signore arrivò alla donna per mezzo dell'uomo, il peccato al contrario derivò dal demonio e per mezzo della donna arrivò all'uomo. Questi fatti sono pieni di significati simbolici intesi non dalle persone in cui si compirono i fatti ma dall'onnipotente Sapienza di Dio che agiva per mezzo di esse. Ora però non si tratta di svelare quei significati ma di affermare la realtà dei fatti.
34. 46. Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto 73. È assai probabile che Dio fosse solito apparire ai primi due esseri umani sotto forma umana mediante una creatura adatta a tale effetto. Egli tuttavia, elevando la loro attenzione alle cose celesti, non permise mai ad essi di accorgersi della loro nudità se non dopo che, in seguito al peccato, provarono nelle loro membra l'impulso di cui ebbero vergogna conforme alla legge delle membra che è castigo del peccato. Essi dunque, provarono il turbamento che di solito provano gli uomini sotto lo sguardo degli altri; la passione che li turbava, come castigo del peccato, li spingeva a desiderare di sfuggire allo sguardo di Colui al quale non può sfuggire nulla e di nascondere il loro corpo a Colui che scruta i cuori. Ma che c'è di strano se coloro i quali, per la loro superbia, desiderano essere come dèi, vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore stolto si ottenebrò? Nella loro prosperità affermarono d'essere sapienti, ma quando Dio volse via da loro la sua faccia, essi diventarono stolti 74. Poiché, se avevano già vergogna di se stessi alla presenza l'uno dell'altro - e per questo s'erano procurati delle cinture - molto maggior paura sentivano, anche se coperti da esse, d'esser visti da Colui che, mosso da una specie di condiscendenza familiare, prendeva, al fine di vederli, l'aspetto d'una creatura visibile con occhi simili a quelli umani. Se infatti Dio appariva in quel modo affinché essi conversassero - per così dire - con lui come con un altro uomo, come fece Abramo presso la quercia di Mambre 75, dopo il peccato si sentivano oppressi di vergogna proprio a causa di quella specie d'amicizia, che dava loro confidenza prima del peccato. Essi inoltre non osavano più mostrare a quegli occhi la nudità che offendeva anche i loro stessi occhi.
35. 47. Il Signore, dunque, volendo poi interrogare i colpevoli, come si usa nei tribunali, prima d'irrogare loro un castigo più grave di quello per cui erano già costretti a vergognarsi, chiese: Chi t'ha fatto conoscere ch'eri nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'unico albero di cui ti avevo ordinato di non mangiare? 76 Ecco il peccato per cui la morte, concepita conforme alla sentenza di Dio che l'aveva comminata con questo castigo, indusse i progenitori a guardar le membra con la concupiscenza appena che - come dice la Scrittura - s'aprirono i loro occhi e ne seguì un sentimento di vergogna. E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell'albero e io ne ho mangiato 77. Quale superbia! Disse forse: "Ho peccato"? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l'umiltà della confessione. Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d'insegnamento. Esse mirano a farci riflettere su quale [grave] malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare. La donna - rispose - che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell'albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio!
35. 48. Allora Dio, il Signore, disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?". La donna rispose: "Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato" 78. Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l'altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia. Da essi tuttavia nacque - ma non l'imitò - uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: "Abbi pietà di me, Signore; guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te" 79. Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori 80. Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l'afflizione che non devono presumere di se stessi. Il serpente - disse la donna - mi ha sedotta e io ho mangiato, come se l'istigazione di qualcuno dovesse esser preferita al precetto di Dio!
36. 49. E Dio, il Signore, disse al serpente: "Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto più di tutti gli animali e di tutte le bestie selvatiche esistenti sulla terra. Dovrai procedere sul tuo petto e con il tuo ventre e dovrai mangiare terra per tutti i giorni della tua vita. Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua. Essa cercherà di colpire la tua testa e tu cercherai di colpire il suo calcagno" 81. Tutta questa sentenza ha un suo senso figurato, e l'attendibilità dell'agiografo e la veridicità del racconto esigono da noi di non dubitare che sia stata [realmente] pronunciata. Dio, il Signore, disse al serpente sono le sole parole dell'agiografo e devono essere intese in senso proprio. È quindi vero che così fu detto al serpente. Le altre parole sono di Dio; è lasciata al lettore la libertà di [interpretarle e] vedere se devono essere intese in senso proprio o in senso figurato, come abbiamo detto al principio di questo libro. Se pertanto non fu chiesto al serpente perché aveva compiuto quell'azione, è evidente che il serpente non aveva agito per un impulso della propria natura e volontà ma ad agire - servendosi di lui e per mezzo di lui e in lui - era stato il diavolo, già destinato al fuoco eterno a causa del suo peccato d'empietà e di superbia. Orbene, le parole rivolte al serpente e allo stesso tempo a colui che aveva agito per mezzo del serpente, hanno senza dubbio un senso figurato. In esse infatti viene descritto il tentatore quale sarebbe stato per il genere umano, poiché il genere umano cominciò a propagarsi quando fu pronunciata questa sentenza apparentemente contro il serpente ma di fatto contro il diavolo. In qual modo quindi si debbano intendere queste parole, pronunciate in senso figurato, lo abbiamo spiegato - nella misura in cui siamo stati capaci - nei due libri su La Genesi difesa contro i Manichei, già pubblicata 82; se poi potremo dare in qualche altra opera spiegazioni più precise ed appropriate lo faremo con l'aiuto di Dio. Per adesso tuttavia la nostra attenzione non dev'essere distolta senza necessità verso un lavoro differente da quello che abbiamo intrapreso.
37. 50. Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore partorirai i figli e la tua passione ti spingerà verso tuo marito, ma egli avrà il dominio su di te" 83. Anche queste parole rivolte da Dio alla donna è molto più appropriato intenderle in un senso figurato e profetico. La donna tuttavia non aveva ancora partorito e inoltre le doglie e i travagli del parto derivano unicamente da questo corpo destinato alla morte - che fu concepita a causa della trasgressione del precetto - e le sue membra erano senza dubbio ancora quelle di un corpo naturale ma che, se l'uomo non avesse peccato, era destinato a non morire e a vivere in un altro stato più felice, finché dopo una vita intemerata avrebbe meritato d'essere trasformato in un corpo più perfetto, come abbiamo già fatto vedere più sopra in parecchi passi. Questo castigo può quindi essere inteso in senso letterale, anche se rimane da vedere come possa essere intesa in senso proprio la frase: La tua passione ti volgerà verso tuo marito ma egli avrà il dominio su di te. Poiché non dobbiamo credere che [la donna] anche prima del peccato fosse stata creata in modo da non essere sottomessa a suo marito e da non volgersi verso di lui nel servirlo. Tuttavia possiamo pensare con ragione che una tale soggezione, di cui qui si parla, sia una condizione simile alla schiavitù, anziché un legame di dilezione, e così anch'essa - per cui gli uomini divennero in seguito schiavi di altri uomini - si dimostra derivante dal castigo del peccato. L'Apostolo infatti dice: Siate a servizio gli uni degli altri 84, ma non avrebbe detto affatto: "Dominate gli uni su gli altri". Gli sposi possono rendersi reciproci servizi mossi dalla carità, ma l'Apostolo non permette alla donna di avere il dominio sull'uomo 85. La sentenza pronunciata da Dio conferì questo potere piuttosto all'uomo, ma a far sì che la donna meritasse d'aver come capo e signore il proprio marito non fu la sua natura ma il suo peccato; se però quest'ordine non fosse mantenuto, la natura si corromperebbe di più e aumenterebbe il peccato.
38. 51. Al marito della donna allora Dio disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'unico albero che ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne trarrai nutrimento tutti i giorni della tua vita; spine e rovi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto dovrai mangiare il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra ritornerai 86. Chi non sa che queste sono le fatiche del genere umano sulla terra? È inoltre certo che non sarebbe stato così, qualora l'uomo avesse conservato la felicità che godeva nel paradiso; non dobbiamo quindi esitare a intendere queste parole anzitutto in senso proprio. Dobbiamo tuttavia salvaguardare e considerare attentamente il senso profetico che ha di mira, soprattutto in questo passo, la parola di Dio. Poiché non è senza motivo che lo stesso Adamo, in virtù di una mirabile ispirazione, chiamò allora sua moglie con il nome di "Vita", soggiungendo anche: poiché essa è la madre di tutti i viventi 87. Queste parole infatti non sono dell'agiografo che narra o afferma, ma sono da intendere quali parole dello stesso uomo. Dicendo: poiché è la madre di tutti i viventi indicò in un certo modo il motivo per cui aveva imposto quel nome, perché cioè l'aveva chiamata "Vita".
39. 52. Dio, il Signore, fece poi per Adamo e sua moglie tuniche di pelle e li rivestì 88. Anche questa azione fu compiuta perché avesse un significato simbolico, ma nondimeno fu un fatto reale, allo stesso modo che le parole furono pronunciate perché avessero un significato simbolico ma tuttavia furono pronunciate realmente. Come ho già detto altre volte, e non mi stanco di ripetere, al narratore di eventi effettivamente accaduti si richiede che narri i fatti realmente accaduti e le parole realmente pronunciate. Ora, allo stesso modo che nel considerare i fatti s'indaga che cosa accadde e qual è il suo significato, così anche nel considerare che cosa fu detto e qual è il suo senso. Sia che un'espressione riferita dallo storico sia stata detta in un senso figurato o in senso proprio, tuttavia il fatto che è stata detta non dev'essere considerato come un'espressione figurata.
39. 53. E Dio disse: "Ecco che Adamo è divenuto come uno di noi; poiché conosce il bene e il male 89. Ora, poiché queste parole, quale che ne sia il significato e il modo in cui furono dette, fu Dio che le disse, non può intendersi diversamente se nell'espressione: Uno di noi il plurale non lo si prende in rapporto alla Trinità, nel medesimo senso in cui era stato detto: Facciamo l'uomo 90 e anche come il Signore si riferisse a se stesso e al Padre nell'espressione Verremo e prenderemo dimora in lui 91. Dio replicò dunque alla superba ambizione di Adamo mostrandogli il risultato di quanto aveva bramato per suggestione del serpente che aveva detto: Voi sarete come dèi 92. Ecco - disse Dio - che Adamo è diventato come uno di noi. Queste sono le parole che disse Dio, non tanto per farsi beffe di Adamo, quanto per distogliere dalla superbia gli altri esseri umani per i quali sono state tramandate dalla Scrittura. Adamo - disse Dio - è diventato come uno di noi, poiché conosce il bene e il male. Che cos'altro dobbiamo vedere in questa frase se non un esempio che ci è stato proposto per inculcarci timore, in quanto Adamo non solo non divenne come voleva divenire ma non seppe mantenersi neppure nello stato in cui era stato creato?
40. 54. E ora - disse Dio - bisogna impedirgli di stendere la mano e prendere dall'albero della vita, di mangiarne e così vivere per sempre. Dio, il Signore, lo scacciò dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto 93. Le parole della prima frase furono dette da Dio ma poi vien raccontato il fatto che fu la conseguenza di ciò che era stato detto. L'uomo rimase privo non solo della vita che avrebbe ricevuto con gli angeli, se avesse osservato il precetto, ma anche della vita che menava nel paradiso ove il suo corpo godeva d'una condizione privilegiata di felicità e perciò dovette essere allontanato in ogni modo dall'albero della vita, e questo non solo perché quell'albero manteneva il suo corpo in quello stato di felicità grazie alla virtù invisibile di una realtà visibile, ma anche perché esso era anche un sacramento dell'invisibile sapienza. L'uomo dunque doveva essere allontanato da quell'albero sia perché ormai egli era destinato alla morte, sia anche perché era - diciamo così - scomunicato [dal paradiso] allo stesso modo che anche nel paradiso di quaggiù, che è la Chiesa, talvolta alcuni fedeli vengono allontanati dai sacramenti visibili dell'altare a norma della disciplina ecclesiastica.
40. 55. [Dio] scacciò Adamo e lo collocò nella parte opposta al paradiso di delizie 94. Anche quest'azione fu compiuta realmente, ma aveva anche lo scopo di simboleggiare un'altra realtà giacché prefigurava l'uomo peccatore vivente nello stato di miseria opposto al paradiso, che rappresentava anche la felicità nel senso spirituale. [Dio inoltre] collocò i cherubini e la spada di fiamma e roteante per custodire la via all'albero della vita 95. Anche ciò dobbiamo credere che accadde nel paradiso visibile con l'intervento delle potenze celesti sicché mediante il ministero degli angeli vi fu posto una specie di bastione di fuoco. Non dobbiamo però dubitare che ciò fu fatto non senza un motivo, dal momento che aveva un significato simbolico anche riguardo al paradiso spirituale.
41. 56. Non ignoro poi che certi esegeti pensano che i nostri progenitori avrebbero avuto fretta di soddisfare il loro desiderio di conoscere il bene e il male e avrebbero desiderato d'avere prima del tempo conveniente ciò che era loro serbato più tardi per un'occasione più opportuna; quegli esegeti pensano inoltre che il tentatore l'indusse ad offendere Dio appropriandosi, prima del tempo, d'un bene non ancora destinato a loro. Così i progenitori, dopo essere stati espulsi dal paradiso e condannati, furono privati dei vantaggi d'un bene, di cui avrebbero potuto godere, se si fossero avvicinati a tempo debito, come voleva Dio. Se questi esegeti preferissero intendere quell'albero non in senso proprio, cioè nel senso d'un vero albero con veri frutti, ma in senso figurato, dovrebbero offrire una soluzione conforme alla retta fede e alla ragione.
41. 57. Alcuni esegeti hanno anche pensato che la prima coppia umana anticipò, con una specie di furto, le nozze e si unì nell'amplesso coniugale prima di essere stata unita in matrimonio dal suo Creatore, amplesso di cui sarebbe stato simbolo il nome di "albero" che era stato loro vietato di toccare fino al tempo opportuno per accoppiarsi. Come se dovessimo credere che, se fossero stati creati in un'età per cui dovessero aspettare il completo sviluppo della pubertà, o come se la loro unione non fosse permessa appena possibile mentre, se non fosse stata possibile, non sarebbe certamente dovuta avvenire. O forse la sposa doveva essere consegnata dal padre e bisognava aspettare la solennità delle promesse pronunciate dagli sposi, il banchetto con una folla d'invitati, la stima della dote e la stesura del contratto matrimoniale? Tutto ciò è ridicolo e prescinde anche dal senso letterale dei fatti narrati, che abbiamo intrapreso a difendere e che abbiamo difeso nella misura che Dio ha voluto concederci.
42. 58. Ma c'è un problema più difficile. Se Adamo era già spirituale quanto all'anima intellettiva, seppure non ancora quanto al corpo, in che modo avrebbe potuto prestar fede alle parole del serpente, che cioè Dio aveva proibito di mangiare del frutto dell'albero perché egli sapeva che, se lo avessero fatto, sarebbero divenuti come dèi mediante la conoscenza del bene e del male? Come se il Creatore avesse voluto rifiutare per gelosia un sì gran bene alla sua creatura! Sarebbe strano se un uomo, dotato d'intelligenza spirituale, avesse potuto prestar fede a una siffatta insinuazione! O bisognerebbe forse dire che precisamente Adamo non avrebbe prestato fede [al serpente] e perciò gli fu avvicinata [dal serpente] la donna ch'era meno intelligente e forse viveva ancora secondo il senso della carne e non secondo l'inclinazione dello spirito, e questo sarebbe il motivo per cui l'Apostolo non le attribuisce d'essere immagine di Dio? Dice infatti: L'uomo non ha bisogno di coprirsi il capo, perché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è [solo] gloria dell'uomo 96, non nel senso che lo spirito della donna non possa ricevere la stessa immagine, poiché l'Apostolo, riguardo a questa grazia, dice che noi non siamo né maschi né femmine 97, ma forse nel senso che la donna non aveva ricevuto ancora questa prerogativa che si ottiene con la conoscenza di Dio e che avrebbe ricevuta un po' alla volta sotto la guida e l'insegnamento dell'uomo. Non senza ragione infatti l'Apostolo dice: Poiché prima è stato creato Adamo e poi Eva; inoltre non fu Adamo a lasciarsi ingannare, ma fu la donna che si lasciò ingannare e disubbidì all'ordine di Dio 98; in altre parole fu per mezzo della donna che si rese trasgressore [del precetto divino] anche l'uomo. D'altra parte l'Apostolo chiama trasgressore anche l'uomo, quando dice: Con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di Colui che doveva venire 99, tuttavia non dice che fu ingannato. Infatti, interrogato da Dio, Adamo non rispose: "La donna che mi hai dato per compagna mi ha ingannato ed io ho mangiato", ma: Essa mi ha dato del frutto dell'albero e io ho mangiato; la donna al contrario dice: Il serpente mi ha ingannata 100.
42. 59. Allo stesso modo si può forse pensare che Salomone, un personaggio di sì straordinaria sapienza, credesse che ci fosse un qualche vantaggio nell'adorare gli idoli? Ma egli non ebbe la forza di resistere all'amore delle donne che lo trascinavano a questa empietà e fece quel che sapeva non doversi fare per non contristare quelle ch'erano l'oggetto del suo amore mortifero, per le quali si struggeva e si pervertiva 101. Così pure fu il caso di Adamo. Dopo che sua moglie, essendo stata ingannata, ebbe mangiato del frutto e ne ebbe dato a lui perché ne mangiassero insieme, egli non volle contristarla, poiché pensava che senza il suo conforto ella potesse struggersi di dolore se si fosse sentita estraniata dal suo cuore e finisse per morire a causa di quella discordanza. Per la verità egli non fu sopraffatto dalla concupiscenza carnale che non aveva ancora provata, dato che la legge delle membra non si opponeva alla legge dello spirito, ma fu vittima d'una specie di benevolenza che è propria dell'amicizia, a causa della quale molto spesso accade che si offende Dio per evitare di rendersi nemico un amico. Che non avrebbe dovuto agire in quel modo lo dimostra il risultato che fu la giusta sentenza pronunciata da Dio [contro di lui].
42. 60. Anch'egli dunque fu ingannato sebbene in un altro modo. Ma io penso che non potesse affatto essere ingannato con l'astuzia del serpente con cui fu ingannata la donna. L'Apostolo chiama in senso proprio "inganno" quello per cui fu creduto vero, pur essendo falso, ciò che veniva consigliato, come [l'insinuazione] che Dio avrebbe proibito di toccare quell'albero perché sapeva che, se lo avessero toccato, sarebbero divenuti simili a dèi, come se rifiutasse per gelosia la divinità a coloro ch'egli aveva creati come uomini. Ma, anche se per orgoglio dello spirito - che non sarebbe potuto sfuggire a Dio che scruta i cuori - l'uomo, vedendo che la donna non era morta per aver mangiato il frutto, si lasciò indurre da un desiderio disordinato a farne l'esperienza, come abbiamo spiegato più sopra. Io tuttavia penso che Adamo, se già era dotato d'intelligenza spirituale, non poteva credere affatto che Dio avesse proibito loro per gelosia di mangiare il frutto di quell'albero. Ma perché dilungarci su questo argomento? I nostri progenitori furono indotti a commettere quel peccato nel modo che potevano commetterlo persone dotate delle caratteristiche loro proprie. Il fatto ci è stato tramandato dalla Scrittura come era opportuno che fosse letto da tutti, sebbene fosse inteso solo da pochi nel senso che sarebbe necessario.