LIBRO INCOMPIUTO
1. 1. Quando si tratta di spiegare i difficili problemi che presentano le realtà della natura, che noi crediamo fatte da Dio, creatore onnipotente, si deve procedere non per via di affermazioni ma per via d'indagini, soprattutto in quelli presentati dalla Bibbia che è garantita dall'autorità di Dio; riguardo ad essa difficilmente evita il peccato di sacrilegio chi afferma temerariamente un'opinione incerta e dubbia; l'incertezza propria del ricercatore non deve comunque oltrepassare i limiti della fede cattolica. Ora, poiché molti eretici sono soliti esporre le Sacre Scritture interpretandole alla stregua delle proprie opinioni contrarie alla fede insegnata dalla dottrina cattolica, prima d'interpretare questo libro è necessario esporre brevemente la fede cattolica.
1. 2. Eccola: Dio, Padre onnipotente, ha creato e ordinato tutte le creature per opera del proprio Figlio unigenito, cioè mediante la propria Sapienza e Potenza, della stessa sostanza sua ed eterna come lui, nell'unità dello Spirito Santo anch'esso della sua stessa sostanza ed eterno come lui. Con il termine di "Trinità" si denota l'unico Dio, e la fede cattolica ci obbliga a credere ch'è stato lui a fare e creare ogni cosa ch'esiste, in quanto esiste. Per conseguenza tutte le creature, sia quelle dotate d'intelligenza che quelle materiali, oppure - come si potrebbe dire più brevemente seguendo l'espressione delle Sacre Scritture - sia quelle invisibili che quelle visibili, sono state create da Dio a partire non dalla natura di Dio ma dal nulla; nelle creature inoltre non c'è nulla di comune con la Trinità, se non il fatto che a crearle è stata la Trinità, mentre esse sono state create. Per questo motivo non è lecito dire o credere che l'universo creato sia della stessa sostanza di Dio o eterno come lui.
1. 3. D'altra parte tutte le cose fatte da Dio sono molto buone; non esistono, al contrario, nature cattive, ma tutto ciò che noi chiamiamo "male" o è peccato o castigo del peccato. Il peccato poi non è altro che il libero consenso della volontà al male quando propendiamo verso ciò che è vietato dalla giustizia e da cui abbiamo la possibilità di astenerci. In altre parole: il peccato non sta nelle cose stesse ma nel loro uso illegittimo. L'uso delle cose poi è legittimo quando l'anima resta fedele alla legge di Dio e rimane soggetta all'unico Dio con amore perfetto, e governa tutte le altre cose a lei soggette senza cupidigia o sensualità, cioè secondo la legge di Dio. In tal modo l'anima riuscirà a governale senza difficoltà e senza timore affannoso, ma con somma facilità e felicità. È, al contrario, castigo del peccato quando l'anima si tormenta a causa delle creature che non le sono sottomesse dacché essa non rimane soggetta a Dio; le creature invece ubbidivano a lei quando essa ubbidiva a Dio. Il fuoco quindi non è un male poiché è una creatura di Dio, ma tuttavia la nostra debole natura viene bruciata da esso per causa del peccato. Si chiamano poi peccati naturali quelli che inevitabilmente commettiamo prima d'essere aiutati dalla misericordia di Dio, dopo essere caduti in questa vita per il peccato del libero arbitrio.
1. 4. L'uomo però viene rinnovato da nostro Signore Gesù Cristo quando l'ineffabile e immutabile Sapienza di Dio in persona s'è degnata di assumere la natura umana completa e intera e nascere dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, esser crocifisso, sepolto, risorgere e salire al cielo, avvenimenti già compiuti, e venire a giudicare i vivi e i morti alla fine del mondo e alla risurrezione dei morti nella loro carne, cosa che deve ancora avvenire come ci è insegnato. È stato concesso lo Spirito Santo a quanti credono in lui. Da lui è stata istituita la Chiesa, nostra madre, che si chiama cattolica per il fatto che nella sua totalità è perfetta e non cade in alcun errore, ed è diffusa su tutta la terra. A coloro che si pentono sono rimessi i peccati anteriori, viene promessa la vita eterna e il regno dei cieli.
2. 5. In conformità a questa fede si devono esaminare i problemi che si possono porre in questione e si possono discutere riguardo a questo libro che comincia con le parole: Nel principio Dio fece il cielo e la terra 1. Da alcuni commentatori delle Scritture vengono insegnati quattro modi con cui spiegare la Legge, i cui vocaboli possono essere enunciati in greco, ma in latino possono essere solo dichiarati e spiegati e cioè: secondo la storia, secondo l'allegoria, secondo l'analogia, secondo l'etiologia. Si ha la storia quando sono ricordati fatti, umani o divini, già avvenuti; l'allegoria quando le parole sono intese in senso figurato; l'analogia quando si mostra la concordanza dell'Antico col Nuovo Testamento; l'etiologia quando si espongono le cause delle espressioni o dei fatti.
3. 6. Per quanto dunque riguarda le parole della Scrittura: Nel principio Dio fece il cielo e la terra, ci si può chiedere se si debbono intendere solo nel senso propriamente storico-letterale oppure se hanno un senso figurato e in qual modo si accordano col Vangelo, e per qual motivo questo libro comincia così. Secondo il senso letterale, ci si chiede inoltre che cosa vuol dire nel principio, cioè o nel principio del tempo o nella stessa Sapienza di Dio, poiché lo stesso Figlio di Dio chiamò se stesso il "Principio" quando gli fu chiesto: Chi sei tu? e rispose: Il Principio che vi parla 2. C'è infatti un Principio senza principio e c'è un Principio con un altro Principio. Il Principio senza principio è solo il Padre e perciò crediamo che tutte le cose derivano da un solo Principio. Il Figlio invece è il Principio, sì, ma derivante dal Padre. Anche la stessa prima creatura intellettuale può chiamarsi principio rispetto alle creature fatte da Dio, rispetto alle quali essa è il capo. Poiché, sebbene si chiami giustamente principio il capo, tuttavia in una nota gradazione l'Apostolo non chiama la donna capo d'alcuno, in quanto dice che capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo è Cristo e capo di Cristo è Dio 3, cosicché la creatura è unita al Creatore.
3. 7. Forse la Scrittura dice: Nel principio perché da principio fu fatto il cielo e la terra? Oppure non potè essere creato da principio il cielo e la terra tra le creature, se gli angeli e tutte le Potestà intellettuali furono fatte al principio? Poiché necessariamente dobbiamo credere che gli angeli sono creature di Dio e furono fatti da lui. Il Profeta infatti enumera anche gli angeli nel Salmo 148 allorché dice: Egli ordinò e furono fatti, comandò e furono creati 4. Se nel principio furono fatti gli angeli, ci si può chiedere se siano stati fatti nel tempo o prima d'ogni tempo o all'inizio del tempo. Se furono fatti nel tempo, vuol dire che vi fu già un tempo prima che gli angeli fossero fatti; e poiché anche lo stesso tempo è una cosa creata, ne deriva che è necessario ritenere che qualcosa fu fatta prima degli angeli. Se invece affermiamo che furono fatti all'inizio del tempo e, per conseguenza, il tempo cominciò con essi, deve dirsi ch'è falso quanto sostengono alcuni, che cioè il tempo cominciò ad esistere col cielo e con la terra.
3. 8. Se invece gli angeli furono fatti prima del tempo, bisogna indagare in qual senso la Scrittura, nei versetti seguenti, dica: Dio inoltre ordinò: Vi siano luminari nel firmamento del cielo per far luce sulla terra, e distinguano la notte dal giorno e siano segnali per le stagioni, per i giorni e per gli anni 5. Secondo questo passo potrebbe infatti sembrare che la serie dei tempi cominciò quando il cielo e i luminari del cielo cominciarono a percorrere le loro orbite prestabilite. Se ciò è vero, in qual modo poterono esistere i giorni prima ch'esistesse il tempo, se il tempo ebbe origine dal moto dei luminari che la Scrittura afferma essere stati fatti il quarto giorno? Forse che questa ordinata disposizione dei giorni, conforme all'abitudine di parlare propria dell'umana debolezza, fu stabilita in base alla norma della narrazione biblica d'insegnare cioè in modo semplice verità sublimi anche ai semplici: norme per cui anche lo stesso modo d'esprimersi del narratore non può far altro se non usare alcune parole al principio, alcune nel mezzo e altre alla fine del discorso? Oppure la Scrittura dice forse che i luminari furono creati nel corso dei tempi che si misurano col movimento dei corpi in ragione della loro durata? Questi tempi infatti non esisterebbero, se non ci fosse il moto dei corpi, mentre così essi sono ben noti agli uomini. Se ammettiamo questa ipotesi dobbiamo porci il quesito se, oltre al moto dei corpi, ci possa essere il tempo nel moto delle creature incorporee, com'è l'anima e lo stesso spirito che si muove in rapporto ai propri pensieri e, a causa di questo moto, ha in sé prima un'idea e poi un'altra, e questo fatto non si può comprendere senza che ci sia un intervallo di tempo. Se ammettiamo ciò, può anche intendersi che il tempo esistesse prima del cielo e della terra nell'ipotesi che gli angeli furono fatti prima del cielo e della terra. In realtà c'erano già delle creature che, mediante moti incorporei, facevano trascorrere il tempo, e giustamente si pensa che insieme con quelle creature c'era anche il tempo, come nel caso dell'anima che è abituata ai moti corporei a causa dei sensi corporei. Potrebbe darsi però che ciò non si avveri quando si tratta delle creature più alte e sovreminenti. Ma comunque stia la cosa (la cosa è assai misteriosa e impenetrabile alle congetture umane) si deve certamente ammettere per fede - anche se supera la capacità della nostra intelligenza - che ogni creatura ha un inizio e che il tempo stesso è una creatura e perciò ha un inizio e non è coeterno al Creatore.
3. 9. Si potrebbe anche credere che la Scrittura parli di "cielo e terra" come di tutto il mondo creato, in modo che chiama "cielo" non solo questo nostro firmamento visibile ed etereo, ma anche quelle creature invisibili delle sovreminenti Potestà e, al contrario, chiama "terra" tutta la parte inferiore del mondo con gli animali dai quali è abitata. Oppure sono chiamate col nome di "cielo" le creature sublimi e invisibili, con quello di "terra", al contrario, ogni essere visibile, sicché le parole della Scrittura: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 6, potrebbero intendersi di tutto il mondo creato? E ciò forse per il fatto che non illogicamente ogni essere visibile, a paragone delle creature invisibili, si chiama "terra", in modo che le prime si chiamano col nome di "cielo". Anche l'anima, infatti, ch'è invisibile, quando si gonfia per amore delle realtà visibili e s'insuperbisce per il fatto di possederle, è chiamata "terra", come dice la Scrittura: Perché t'insuperbisci, o terra e cenere? 7
3. 10. Possiamo però chiederci se la Scrittura chiama "cielo e terra" tutte le cose già distinte e disposte nel loro ordine oppure se, col termine di "cielo e terra", chiama la stessa materia dell'universo dapprima informe, che per ineffabile comando di Dio è stata distinta e sistemata nelle nature formate e magnifiche da noi ora ammirate. Sebbene infatti noi leggiamo nella Scrittura: Tu che hai fatto il mondo traendolo dalla materia informe 8, non possiamo tuttavia dire che la stessa materia - di qualunque specie essa sia - non fosse fatta da Colui dal quale dichiariamo e professiamo per fede derivare ogni cosa; di conseguenza si chiama mondo anche la stessa ordinata disposizione di ciascuna delle cose formate e distinte quale ch'essa sia, mentre, al contrario, si chiama "cielo e terra" la stessa materia come se fosse il germe primordiale del cielo e della terra; "cielo e terra" ch'era come qualcosa di confuso e mescolato, adatto a ricevere le forme da Dio creatore. Facciamo qui punto all'indagine sulla frase: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 9, poiché non era conveniente affermare nulla di queste cose senza una ragione.
4. 11. Ora la terra era invisibile e caotica, e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio si portava al di sopra delle acque 10. Questo passo viene di solito criticato empiamente dagli eretici che sono contrari all'Antico Testamento allorché dicono: "In qual modo in principio Dio fece il cielo e la terra, se la terra già esisteva?", senza capire che questa frase è stata aggiunta per spiegare in quale stato si trovava la terra, di cui prima era stato detto: Dio fece il cielo e la terra. La frase, dunque, dev'essere intesa così: "In principio Dio fece il cielo e la terra ma questa terra, fatta da Dio, era invisibile e caotica, finché non fu distinta da Dio in un ordine determinato, traendola fuori dalla confusione". O piuttosto è preferibile intendere che in questo completamento della frase è ricordata di nuovo la medesima materia cosmica che precedentemente è stata chiamata col nome di "cielo e terra" di modo che il senso sarebbe il seguente: "In principio Dio fece il cielo e la terra; ora ciò che è stato chiamato "cielo e terra" era la terra invisibile e confusa e le tenebre coprivano l'abisso", vale a dire: "Ciò ch'è chiamato "cielo e terra" era una sorta di materia confusa, a partir dalla quale, una volta distintine gli elementi e ricevutane la forma, sarebbe stato fatto il mondo, che risulta composto di due grandissime parti, cioè il cielo e la terra?". Questo stato confuso della materia avrebbe potuto così essere fatto capire dall'intelligenza della gente comune, se la Scrittura avesse parlato di "terra invisibile e confusa" ovvero disordinata o non disposta secondo un ordine, e avesse parlato delle tenebre sopra l'abisso, cioè sopra una profondità vastissima; questa profondità, a sua volta, è stata chiamata così per il fatto che non può essere penetrata dall'intelligenza di nessuno a causa della sua stessa informità.
4. 12. E le tenebre erano sopra l'abisso 11. L'abisso era forse al di sotto e le tenebre al di sopra come se fossero già distinti i luoghi? O piuttosto viene ancora spiegata la confusione della materia, che in greco è chiamata anche
e la Scrittura dice: Le tenebre erano sopra l'abisso perché non c'era ancora la luce? Se ci fosse stata la luce, questa sarebbe stata certamente al di sopra, poiché sarebbe stata più in alto e avrebbe illuminato ciò che stava al di sotto di essa. In realtà, se uno considera attentamente che cosa sono le tenebre, scopre che non sono se non l'assenza della luce. Ecco perché la Scrittura dice: Le tenebre erano sopra l'abisso, come se dicesse: "Non c'era la luce sull'abisso". Perciò la materia, di cui trattiamo, che dalla susseguente opera di Dio viene distinta ed ordinata nelle diverse forme delle cose, è chiamata "terra invisibile e caotica", e "abisso" privo di luce, mentre più sopra è denotata col nome di "cielo e terra", che bisogna intendere nel senso indicato precedentemente da noi, cioè di germe del cielo e della terra, se pur è vero che dicendo "cielo e terra" non volle presentarci prima l'universo creato, sicché in seguito, dopo aver indicato la materia, passasse in rassegna le diverse parti del mondo.
4. 13. Lo Spirito di Dio inoltre si portava al di sopra delle acque 12. La Scrittura non aveva detto in nessun passo: "Dio fece l'acqua", eppure non si deve affatto credere che Dio non avesse fatto l'acqua e che questa esistesse già prima ch'egli creasse qualcosa. Egli infatti è Colui dal quale viene tutto, grazie al quale esiste tutto, verso il quale tende tutto 13, come dice l'Apostolo. Dio dunque fece l'acqua, e credere il contrario è un grande errore. Perché mai quindi la Scrittura non dice che Dio fece l'acqua? Forse perché ancora una volta volle chiamare "acqua" la medesima materia che aveva denotata coi termine di "cielo e terra", o di "terra invisibile e caotica", o di "abisso"? Perché mai, infatti, non si sarebbe potuta chiamare anche "acqua" se poté essere chiamata "terra", pur non essendo ancora né acqua distinta e formata né terra né alcun'altra cosa? Ma forse fu dapprima chiamata "cielo e terra", la seconda volta "terra caotica e abisso privo di luce", la terza volta, con termine appropriato, "acqua"; forse perché con la prima denominazione di "cielo e terra" fosse denotata la materia dell'universo creato per il quale era stata fatta assolutamente dal nulla; con la seconda denominazione di "terra confusa" e di "abisso" fosse indicato lo stato informe, poiché tra tutti gli elementi la terra è la più informe e la meno splendente; col terzo termine di "acqua" fosse indicata la materia soggetta all'opera del Creatore, poiché l'acqua è più mobile della terra e perciò, a causa della facilità di essere lavorata e perché si lascia trasformare più facilmente, la materia sotto le mani del Creatore doveva essere chiamata "acqua" piuttosto che "terra".
4. 14. Così pure l'aria è più mobile dell'acqua, ma non illogicamente si crede o si comprende che l'etere è più mobile della stessa aria; ma col termine di "aria" o di "etere" meno appropriatamente sarebbe stata denotata la materia. Si crede infatti che questi elementi posseggano maggiormente la potenza attiva, mentre al contrario la terra e l'acqua posseggono di più la potenza passiva. Se questa potenza è occulta, penso ch'è certamente un fatto evidente che l'acqua e alcune altre cose terrene sono mosse dal vento; il vento poi è l'aria mossa e - diciamo così -ondeggiante. Essendo dunque evidente che l'aria muove l'acqua ma occulta la forza da cui il vento è mosso, perché sia vento, chi potrebbe dubitare che la materia è denotata più appropriatamente col termine di "acqua" poiché viene mossa, anziché con quello di "aria" che la muove? Ora, l'esser mosso è subire un'azione, il muovere, invece, è esercitare un'azione. A ciò s'aggiunge il fatto che i prodotti del suolo vengono irrigati con l'acqua affinché possano nascere e svilupparsi completamente, sicché pare quasi che la medesima acqua si trasformi nei vegetali che nascono. Per questo motivo la materia sarebbe stata denotata col termine più appropriato di "acqua", essendo presentata come soggetta all'opera del Creatore a causa della sua adattabilità ad essere trasformata in qualsiasi specie di corpi nascenti, anziché col termine di "aria", a proposito della quale si può osservare solo la mobilità mentre le mancano tutte le altre qualità con cui si poteva indicare più appropriatamente la materia. In tal modo il senso completo della frase sarebbe: Nel principio Dio fece il cielo e la terra 14,cioè fece la materia che potesse prendere la forma del cielo e della terra; questa materia era terra invisibile e caotica 15 ossia informe e una profondità priva di luce; questa tuttavia, poiché sarebbe stata sottoposta all'azione del Creatore che la modellava, per il fatto stesso che ubbidisce a chi la lavora, è chiamata anche "acqua".
4. 15. A proposito dunque dei termini con cui fu denominata la materia, dapprima è stato indicato il fine di essa, cioè in vista di che cosa è stata fatta, in secondo luogo è stato indicato proprio il suo stato informe, in terzo luogo la dipendenza e la sottomissione al Creatore. Per questo motivo dapprima la materia è chiamata "cielo e terra" - poiché per questo era stata fatta - in secondo luogo "terra invisibile e caotica" e "tenebre sopra l'abisso", vale a dire il vero e proprio stato informe privo di luce - e perciò è detta "terra invisibile" -, in terzo luogo "acqua sottomessa allo Spirito" per ricevere una disposizione e le varie forme. Ecco perché lo Spirito di Dio si portava sull'acqua: per farci comprendere che era lo Spirito a operare, l'acqua invece era l'elemento con cui operava, era cioè la materia adatta ad essere lavorata. Quando infatti diciamo che questi tre termini, materia del mondo, materia informe, materia capace d'essere lavorata, sono denominazioni d'un'unica realtà: al primo termine corrisponde bene il cielo e la terra: al secondo l'oscurità, la confusione, la profondità, le tenebre, al terzo la facilità di lasciarsi trattare; sopra questa materia si porta ormai lo Spirito del Creatore per operare.
4. 16. Lo Spirito di Dio inoltre si portava al di sopra dell'acqua 16. Non si portava com'è portato l'olio al di sopra dell'acqua, com'è portata l'acqua al di sopra della terra, cioè come fosse contenuto in essa ma, se per comprendere questo fatto si devono prendere esempi dalle realtà visibili, si portava come questa luce del sole e della luna si porta al di sopra degli oggetti di quaggiù, ch'essa illumina sulla terra, poiché non è contenuta in essi ma, essendo contenuta nel cielo, si porta al di sopra di essi. Dobbiamo anche guardarci dal credere che lo Spirito di Dio si porti al di sopra della materia come attraverso lo spazio, ma in virtù d'una certa potenza attiva e creatrice, affinché ciò su cui si portava fosse fatto e creato, allo stesso modo che la volontà dell'artefice si porta al di sopra del legno o di qualsiasi altra materia sottoposta a lavorazione o anche sopra le stesse membra del proprio corpo che egli muove per operare. Ma anche questo paragone, pur essendo di certo più eccellente di qualsiasi altro oggetto, è tuttavia di scarso o di quasi nessun valore per comprendere l'azione con cui lo Spirito di Dio si portava sopra la materia del mondo sottomessa a lui per essere lavorata. Noi però, tra le cose che, bene o male, possono essere comprese dalla gente, non troviamo un paragone più evidente e più appropriato all'argomento di cui trattiamo. A proposito quindi di riflessioni di tal genere si deve tenere in grandissimo conto quanto dice la Scrittura; Voi che benedite il Signore, esaltatelo per quanto potrete, poiché egli è più grande di tutte le sue opere 17. Questo però si può dire solo se in questo passo s'intende di Dio lo Spirito Santo, da noi adorato nella stessa ineffabile e immutabile Trinità.
4. 17. Si potrebbe però intendere anche in un altro senso. Per Spirito di Dio potremmo cioè intendere una creatura dotata di una forza vitale che contiene tutto quanto questo mondo visibile e tutte le realtà materiali; creatura, alla quale Dio onnipotente ha dato un certo potere di servire a lui per operare riguardo a ciò che viene prodotto. Questo spirito, essendo più eccellente di qualsiasi corpo etereo, poiché qualsiasi creatura invisibile è superiore a qualsiasi creatura visibile, non illogicamente si chiama spirito di Dio. In realtà che cosa mai non appartiene a Dio, dal momento che, a proposito della terra, la Scrittura dice: Del Signore è la terra e quanto contiene 18? La stessa Scrittura inoltre, con un'espressione sintetica generale, dice: Poiché tutte le cose sono tue, o Signore, che ami la vita 19. Ma questo spirito si può intendere nel senso suddetto solo se la frase: Nel principio Dio fece il cielo e la terra 20, la intendiamo detta di una creatura visibile. In tal modo sopra la materia delle cose visibili al principio della loro creazione si portava lo spirito invisibile, che tuttavia era anch'esso una creatura, cioè non Dio, ma una natura fatta e formata da Dio. Se al contrario si crede che la materia di tutte le cose, vale a dire non solo di quelle intellettuali ma anche di quelle animali e materiali, è denotata col termine di "acqua", in questo passo per Spirito di Dio non si può assolutamente intendere se non lo Spirito immutabile e santo che si portava al di sopra della materia di tutte le cose fatte e create da Dio.
4. 18. A proposito di questo "spirito" può sorgere una terza opinione in base alla quale si crede che mediante il termine "spirito" s'indichi l'elemento dell'aria; in tal modo sarebbero indicati i quattro elementi di cui risulta composto il nostro mondo visibile, vale a dire: cielo, terra, acqua, aria; non perché fossero già distinti e disposti in ordine, ma perché in quella materia informe perché caotica erano tuttavia prefigurati come destinati ad avere origine; quella confusione informe era denotata col termine di "abisso tenebroso". Qualunque però di queste opinioni sia la vera, si deve credere che in tutte le cose che sono state originate, sia le visibili sia le invisibili, non per quanto riguarda i difetti che sono contro natura, ma per quanto riguarda le stesse nature, è autore e creatore Dio, e non v'è assolutamente alcuna creatura che non abbia da lui l'inizio e la perfezione della propria specie e sostanza.
5. 19. E Dio ordinò: Vi sia la luce. E la luce vi fu 21. Non dobbiamo pensare che Dio disse: Vi sia la luce con la voce emessa dai polmoni o con la lingua e i denti. Queste sono immaginazioni d'individui carnali; ora, pensare secondo la carne è morte 22. La frase: Vi sia la luce fu invece pronunciata in modo ineffabile. Possiamo però chiederci se quelle parole furono rivolte al Figlio unigenito, oppure se la parola che fu detta è il Figlio unigenito, poiché si chiama Verbo di Dio la parola mediante la quale fu fatta ogni cosa 23,purché tuttavia non commettiamo l'empietà di credere che il Verbo di Dio, il Figlio Unigenito, sia - per così dire - una parola pronunciata come facciamo noi. Al contrario, il Verbo di Dio, mediante il quale è stata fatta ogni cosa, non è né cominciato ad esistere né finirà mai di esistere ma, nato senza principio, è eterno come il Padre. La parola quindi: Vi sia la luce, se cominciò e cessò d'essere pronunciata, fu detta piuttosto al Figlio anziché essere essa stessa il Figlio. E tuttavia anche questa parola fu detta in modo ineffabile perché non s'insinui nell'anima un'immagine carnale e turbi l'intelligenza spirituale timorata di Dio; poiché intendere in senso proprio che nella natura di Dio cominci e finisca qualcosa è un'opinione temeraria e pericolosa, che tuttavia può essere scusata con un gran senso d'umanità nelle persone carnali e semplici, non perché persistano in essa, ma perché se ne allontanino. Qualunque cosa infatti si dice che Dio comincia e finisce, non la si deve intendere in alcun modo rispetto alla sua natura ma rispetto alla sua creatura che gli ubbidisce in modi meravigliosi.
5. 20. E Dio ordinò: Vi sia la luce 24. Si tratta forse della luce che appare ai nostri occhi carnali o forse d'una luce segreta che non ci è concesso di vedere mediante i sensi del nostro corpo? E se è segreta, è forse fisica e si spande nello spazio, forse nelle zone più alte del mondo? Oppure è forse incorporea come quella che si trova nell'anima, alla quale dai sensi del corpo viene riferito il giudizio su ciò che si deve evitare o desiderare: luce di cui non è priva neppure l'anima delle bestie? Oppure è forse la luce superiore che si manifesta nel ragionare e dalla quale ha origine tutto ciò che è stato creato? Quale che sia la luce qui indicata, dobbiamo tuttavia intendere la luce fatta e creata, non quella di cui risplende la stessa Sapienza di Dio, che non è creata ma generata. Non si deve pensare che Dio fosse senza luce prima di aver creato quella di cui si tratta adesso. A proposito di questa infatti, come dimostrano assai bene le stesse parole, è messo in risalto il fatto ch'essa è stata creata: E disse - dice la Scrittura - vi sia la luce, e la luce fu fatta 25. Una cosa è la luce nata da Dio, un'altra è la luce fatta da Dio; la luce nata da Dio è la stessa Sapienza di Dio; la luce fatta, al contrario, è qualunque luce mutevole, sia corporea che incorporea.
5. 21. Di solito però rimaniamo sorpresi come mai potesse esserci la luce fisica prima che esistesse il cielo e i luminari del cielo che la Scrittura ci fa conoscere dopo di questa; proprio come se fosse facile o assolutamente impossibile sapere se ci sia qualche altra luce fuori del cielo, che sia tuttavia distinta e diffusa nello spazio e abbracci il mondo. Ma poiché in questo passo si può intendere che si tratti anche d'una luce incorporea, se diciamo che in questo libro viene fatta conoscere non solo la creatura visibile ma ogni specie di creature, che bisogno c'è d'indugiare in questa discussione? E forse per quanto riguarda il quesito che ci si pone, quando cioè furono fatti gli angeli, questi sono indicati simbolicamente in questa luce in modo conciso - è vero - ma tuttavia assai appropriato e conveniente.
5. 22. E Dio vide che la luce è una cosa buona 26. Bisogna intendere che con questa frase è indicata non la gioia derivante da un bene, diciamo così, insolito, ma l'approvazione dell'opera. Che cosa infatti può dirsi di più appropriato a proposito di Dio, nella misura che può dirsi tra gli uomini, che usando le espressioni: "disse", "fu fatto", "lo approvò"? In tal modo dal fatto che "disse" si comprende il suo comando, con l'espressione "fu fatto" si comprende la sua potenza, dal fatto che "lo approvò" si comprende la sua bontà; proprio come queste realtà ineffabili dovevano essere espresse da un uomo ad altri uomini in modo che potessero essere di giovamento a tutti.
5. 23. E Dio separò la luce dalle tenebre 27. Da queste parole si può capire con quanta facilità dell'azione di Dio si dice che furono compiuti questi fatti. Poiché non c'è alcuno che pensi che quando la luce fu fatta fosse confusa con le tenebre e perciò fosse in seguito necessario separarla: la separazione della luce dalle tenebre avvenne invece per il fatto stesso che la luce fu creata. Può forse la luce essere unita alle tenebre 28? Dio dunque separò la luce dalle tenebre perché fece la luce, l'assenza della quale si chiama tenebra. Tra la luce e le tenebre c'è poi la differenza che c'è tra l'essere vestito e l'esser nudo, o tra ciò che è pieno e ciò che è vuoto, e altri esempi simili.
5. 24. Abbiamo già detto più sopra in quanti sensi si può intendere la luce, la cui assenza e il cui contrario si può chiamare la tenebra. Orbene, ci sono tre specie di luce: la prima è quella che si vede con gli occhi del nostro corpo, corporea anch'essa, come quella del sole, della luna delle stelle e di qualsiasi altro corpo di tal genere; contrarie a questa luce sono le tenebre quando un luogo è privo di luce. Un'altra specie di luce è parimenti la vita sensitiva e capace di distinguere le cose che dal corpo sono trasmesse al giudizio dell'anima, come le cose bianche e nere, le cose squillanti e roche, di odore grato e spiacevole, dolci o amare, calde o fredde, e così tutte le altre cose di tal genere. Una cosa infatti è la luce percepita dagli occhi, e un'altra cosa è quella con cui, mediante gli occhi, si possono giudicare le stesse sensazioni. Quella infatti risiede nel corpo, questa invece, sebbene per mezzo del corpo percepisca ciò che prova, risiede tuttavia nell'anima. Le tenebre contrarie a questa luce sono spie d'insensibilità o, per meglio dire, di mancanza della facoltà sensitiva, cioè il non aver sensazioni, sebbene vengano introdotte nei sensi cose che potrebbero essere percepite dai sensi, se nell'essere vivente ci fosse questa luce per mezzo della quale si hanno le sensazioni. E ciò non avviene quando mancano gli organi del corpo come nei ciechi e nei sordi - poiché nell'anima di questi tali risiede la luce di cui trattiamo, mentre mancano gli organi del corpo -; ciò inoltre non avviene neppure allo stesso modo in cui non si sente una voce nel silenzio, quando nell'anima si trova anche questa luce ed esistono gli organi del corpo ma non viene introdotto nulla che si possa percepire dai sensi. Non è dunque privo di questa luce chi non percepisce mediante i sensi, ma quando non esiste nell'anima una siffatta potenza che non si è soliti chiamare neppure anima, ma solo vita come quella che ha una vite o un altro albero o qualsiasi specie di piante, se pure è vero che ci si possa convincere in alcun modo che le piante hanno almeno una vita siffatta, mentre alcuni eretici commettono un grave errore credendo che le piante non solo hanno sensazioni attraverso il fusto, cioè vedono, odono, distinguono il calore e il fuoco, ma capiscono le ragioni e conoscono i nostri pensieri; ma questa è un'altra questione. Le tenebre di questa luce, in virtù della quale si ha qualunque sensazione, sono dunque l'insensibilità che si riscontra quando qualsiasi essere vivente non ha la stessa facoltà di percepire sensazioni. Ora, ammette che si chiama con un termine appropriato "luce" questa facoltà chiunque ammette che si chiama giustamente "luce" la facoltà con cui ci è palese qualsiasi cosa. Quando noi diciamo: "È chiaro che ciò è armonioso, che questo è dolce, che ciò è freddo" - e così altre cose corporee di tal genere che per caso percepiamo con i sensi del corpo - la luce per cui queste cose sono evidenti è certamente nell'intimo dell'anima, sebbene le cose di cui si ha la sensazione vi siano introdotte attraverso il corpo. La terza specie di luce esistente nelle creature può intendersi quella in virtù della quale noi ragioniamo. La tenebra contraria a questa luce è l'irrazionalità, come sono irrazionali le anime delle bestie.
5. 25. Sia dunque che questa frase della Genesi per luce primordiale fatta da Dio nella natura voglia fare intendere quella del cielo fisico, vale a dire quella sensibile di cui partecipano gli animi, sia che voglia s'intenda quella razionale che posseggono non solo gli angeli ma anche gli uomini, bisogna credere che Dio separò la luce dalle tenebre 29 per il fatto stesso che la luce fu creata; poiché una cosa è la luce, altra cosa è l'assenza della luce che Dio ordinò mediante le tenebre contrarie alla luce. La Scrittura infatti non dice che Dio fece le tenebre, poiché Dio fece la bellezza degli esseri e non la loro deficienza che rientra nel nulla, a partire dal quale Dio creatore fece ogni cosa. Noi tuttavia comprendiamo che da Dio furono disposte nel loro ordine le deficienze quando la Scrittura dice: E Dio separò la luce dalle tenebre, affinché nemmeno le stesse deficienze fossero prive del loro ordine, dal momento che Dio regola e amministra tutte le cose. Così accade anche quando si canta: le pause di silenzio a intervalli determinati e misurati, sebbene siano assenza di voci, sono tuttavia bene ordinate da chi è esperto nel canto e contribuiscono in qualche modo alla dolcezza dell'intera armonia. Così anche in pittura le ombre servono a far risaltare le parti in rilievo e piacciono non già per la bellezza ma per l'ordine in cui sono disposte. Dio infatti non è autore neppure dei nostri peccati e tuttavia ne è il regolatore quando dispone i peccatori in quello stato e li costringe a soffrire le pene meritate. Questo significa il fatto che le pecore sono poste a destra, i capri invece a sinistra 30. Alcune cose dunque Dio non solo le fa ma le regola pure, altre invece le regola soltanto. I giusti non solo li fa ma li regola anche, i peccatori invece, in quanto sono peccatori, non li fa ma li regola soltanto. Quando infatti pone i primi alla destra e i secondi alla sinistra, il fatto che ordina che vadano al fuoco eterno si riferisce all'ordine dei meriti. Così la bellezza degli esseri e le stesse nature non solo le crea ma le regola anche; ma le deficienze relative alla bellezza degli esseri e i difetti delle nature Dio non li fa ma li regola soltanto. Egli dunque disse: Vi sia la luce, e la luce fu fatta 31, ma non disse: "Vi siano le tenebre, e le tenebre furono fatte". Di queste due cose dunque l'una la fece, l'altra invece Dio non la fece, ma tuttavia le regolò entrambe quando separò la luce dalle tenebre. In tal modo, per il fatto che le cose le fa lui, ciascuna di esse è bella, e poiché le regola lui, sono tutte belle.
6. 26. Dio inoltre chiamò giorno la luce e notte le tenebre 32. Siccome è nome d'una cosa non solo "la luce" ma anche "il giorno", e a loro volta "tenebre" e "notte" sono entrambi nomi di cose diverse, era forse necessario dire che furono posti nomi alle cose in modo che una cosa cui fu posto un nome fosse appunto denominata con un altro nome - infatti non si poteva fare diversamente - e perciò la Scrittura dice: Dio chiamò giorno la luce, in modo che si potesse dire indifferentemente anche a rovescio: "Dio chiamò luce il giorno e chiamò tenebre la notte"? Che cosa gli potremmo rispondere, se uno ci domandasse: "Fu imposto il nome di giorno alla luce o al giorno il nome di luce"? Poiché queste due parole, in quanto vengono pronunciate con voce articolata per indicare delle realtà, sono certamente dei nomi. Così anche riguardo alle altre due cose si può porre il quesito: "Fu imposto il nome di notte alle tenebre o il nome di tenebre alla notte?". In verità, come determina la Scrittura, è evidente che alla luce fu dato il nome di "giorno" e alle tenebre il nome di "notte", poiché dicendo: Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre, non si trattava ancora di nomi; i termini "giorno" e "notte" furono usati in seguito, pur essendo "luce" e "tenebre" certamente dei nomi anch'essi, indicanti certe realtà come "giorno" e "notte". Questa frase dunque deve interpretarsi in questo modo ' poiché non si sarebbe potuto enunciare diversamente una realtà che ricevette il nome, se non con un nome, o piuttosto questa denominazione si deve interpretare come l'atto stesso di distinguere realtà diverse? In effetti non ogni specie di luce è "giorno" né ogni specie di tenebre è "notte", ma con il termine di "giorno" e di "notte" vengono chiamate la luce e le tenebre regolate e distinte dal loro vicendevole alternarsi. Ogni vocabolo infatti serve per distinguere le cose. Ecco perché è anche stato chiamato "nome" ciò che serve a "denotare", un mezzo - diciamo così - per "distinguere", poiché deve servire a "denotare", cioè a distinguere e aiutare chi fa la professione d'insegnante. Lo stesso separare la luce dalle tenebre è forse dunque la stessa cosa che il chiamare "giorno" la luce e "notte" le tenebre, di modo che il regolare queste due cose equivale e dar loro un nome. O piuttosto questi vocaboli ci vogliono indicare che cosa Dio chiamò "luce" e che cosa "tenebre", come se la Scrittura dicesse: "Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre; chiamò poi giorno la luce e notte le tenebre, affinché non s'intenda qualche altra luce che non sia il giorno e qualche altra tenebra che non sia la notte"? Poiché, se ogni specie di luce potesse intendersi per "giorno" e se ogni specie di tenebra si denotasse col termine di "notte", forse non sarebbe stato necessario dire: E Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre.
6. 27. Si potrebbe ugualmente porre il quesito di qual giorno e di qual notte parli la Scrittura. Se vuole che s'intenda il nostro giorno, che s'inizia al sorgere del sole e termina al tramonto, e la notte di quaggiù che s'intenda dal tramonto al sorgere del sole, non so come potessero esistere prima che fossero fatti i luminari del cielo. O forse la stessa durata delle ore e del tempo poteva esser già chiamata così anche senza una linea di separazione tra la luce e le tenebre? Inoltre in qual modo questo avvicendarsi, indicato col nome di "giorno" e di "notte", può applicarsi alla luce razionale, se è questa ch'è indicata qui, o alla luce sensibile? O piuttosto queste cose sono indicate non già in base a un reale avvenimento, ma a una possibile eventualità, dato che alla ragione può subentrare l'errore e all'intelligenza una certa stoltezza?
7. 28. E fu sera e fu mattina: primo giorno 33. Il giorno, adesso, non è chiamato nello stesso senso di quanto era detto: E Dio chiamò giorno la luce, ma nel senso in cui, per esempio, noi diciamo che il mese ha trenta giorni, poiché con questo termine indichiamo anche la notte, mentre in precedenza si parla del giorno separato dalla notte. Pertanto, quell'opera di Dio è indicata come compiuta durante una giornata e per conseguenza la Scrittura dice che fu sera e fu mattina, cioè il primo giorno, in modo cioè che sia un solo giorno che si svolge dall'inizio di un giorno all'inizio di un altro giorno, cioè da un mattino ad un altro mattino, come noi chiamiamo i giorni aggiungendovi, come ho detto, la notte. Ma in qual modo fu fatta la sera e il mattino? Forse che Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre nel medesimo lasso di tempo uguale a quello per cui si estende la luce del giorno, senza contare la notte? Come mai però sta scritto: È nelle tue mani il potere quando tu vuoi 34, se Dio ha bisogno d'uno spazio prolungato di tempo per compiere qualche opera? O piuttosto sono bensì compiute da Dio tutte le cose - diciamo così - con l'abilità e con la ragione e non con uno spazio prolungato del tempo, ma per mezzo della potenza che compie durevolmente anche le cose che vediamo non essere durevoli ma passeggere? Non si può infatti credere che, allo stesso modo che succede nel nostro discorso in cui alcune parole passano e ne subentrano altre, così avvenga nella stessa abilità d'un artista grazie all'opera della quale gli si presenta alla mente un'espressione oratoria durevolmente artistica. Sebbene dunque Dio, che esercita il potere quando vuole, compia le sue opere senza durata di tempo, tuttavia le stesse nature temporali compiono i loro movimenti nell'ambito del tempo. La Scrittura dunque forse dice: Fu sera e fu mattina: primo giorno, allo stesso modo che mediante la ragione si prevede che così debba o possa avvenire e non come avviene in periodi di tempo. Poiché contemplò nella propria ragione, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, l'opera di Dio lo scrittore sacro che disse: Colui che perdura eternamente ha creato ogni cosa simultaneamente 35, ma nella Genesi molto opportunamente la narrazione delle cose create da Dio è esposta ordinatamente come fatte a intervalli di tempo, affinché la stessa disposizione narrativa che non poteva esser compresa con una immutabile contemplazione dagli spiriti piuttosto deboli, fosse compresa - diciamo così - da questi occhi in quanto esposta secondo un ordine siffatto nel libro [della Genesi].
8. 29. Dio inoltre disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e serva a separare le acque dalle acque. E così fu. Dio fece il firmamento e separò le acque ch'erano sotto il firmamento dalle acque ch'erano sopra il firmamento 36. Forse che le acque al di sopra del firmamento erano tali, quali erano quelle che noi vediamo sotto il firmamento? O piuttosto, poiché sembra che questa frase indichi l'acqua al di sopra della quale si portava lo Spirito, e la intendevamo come la materia stessa del mondo, si deve credere che in questo passo sia la medesima, separata solo dal firmamento interposto in modo che quella al di sotto sarebbe la materia fisica, quella al di sopra invece la materia animale? La Scrittura in effetti chiama "firmamento" ciò che poi chiama "cielo". Tra i corpi poi non v'è alcuno più eccellente dei corpi celesti. Alcuni corpi infatti sono celesti, altri invece terrestri; i celesti inoltre sono certamente più nobili, e tutto ciò che oltrepassa la natura dei corpi celesti non so in qual modo possa chiamarsi "corpo", ma è forse una potenza soggetta alla ragione con cui si conosce Dio e la verità; questa materia, poiché è suscettibile d'una forma per mezzo della virtù e della prudenza, con cui il vigore si raffrena e si reprime la sua instabilità e perciò appare, in un certo senso, materiale, da Dio è giustamente chiamata "acqua" e sorpassa tutto ciò che abbraccia il cielo fisico non già in virtù d'uno spazio locale ma della sua natura incorporea. E poiché Dio chiamò "cielo" il firmamento, non è illogico pensare che tutto ciò ch'è al di sotto del cielo etereo, in cui tutte le cose stanno tranquille e stabili, è più mutevole e dissolubile. Ci sono stati alcuni che, riguardo a questa materia corporea plasmata prima di ricevere la forma specifica e la distinzione delle forme, per cui fu chiamata "sotto il firmamento", credevano che la superficie del cielo comprendesse queste acque visibili e fredde. E come prova di questa tesi si sono sforzati d'addurre la lentezza d'uno dei sette pianeti ch'è superiore a tutti gli altri, chiamato dai greci
, e compie l'orbita zodiacale in trenta anni, ed è lento perché più vicino alle acque fredde che si trovano al di sopra del cielo. Non riesco a capire come una tale opinione possa essere sostenuta da coloro che indagano questi fenomeni astronomici con grande acume d'ingegno. Ora, nessuna di queste cose dev'essere affermata con leggerezza ma devono essere discusse tutte con cautela e discrezione.
8. 30. E Dio disse: In mezzo alle acque sia il firmamento e separi le acque dalle acque. E così fu 37. Dopo aver detto: Così fu, che bisogno c'era di aggiungere: E Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento 38? Avendo infatti detto precedentemente: E Dio disse: Sia fatta la luce. E la luce fu fatta 39, l'agiografo non soggiunse di nuovo: "E Dio fece la luce"; qui invece, dopo che Dio disse: Sia fatto. E così fu fatto, si soggiunse: E Dio fece. Forse di qui appare chiaro che non si deve intendere come materiale la luce affinché non sembri che Dio - dicendo Dio intendo la Trinità - la facesse mediante qualche altra creatura e, al contrario, si creda che questo firmamento del cielo, essendo materiale, ricevesse la forma specifica mediante un'altra creatura spirituale, di modo che alla natura spirituale fosse impressa prima in maniera razionale dalla Verità l'impronta che potesse essere impressa materialmente perché fosse il firmamento del cielo? R forse per questo motivo che la Scrittura dice: E Dio disse: Sia fatto. E così fu fatto? Forse rispetto alla stessa natura razionale fu fatto prima ciò con cui s'imprimesse all'oggetto materiale la forma specifica?
9. 30. Con l'aggiunta: E Dio fece il firmamento e separò le acque, ch'erano sotto il firmamento, da quelle ch'erano sopra il firmamento 40, s'indica forse anche la cooperazione di quella materia, perché fosse fatta la sostanza del cielo? O forse non viene espresso prima ciò che è espresso dopo a scopo di varietà, affinché cioè il contesto del discorso non venisse a noia e non è necessario citare ogni cosa minuziosamente? Ciascuno preferisca ciò che può; soltanto si guardi bene dall'affermare alcunché a vanvera e qualche cosa ignota come se fosse nota; si ricordi inoltre, poiché è un uomo, d'indagare riguardo alle opere di Dio solo nella misura che gli è permessa.
9. 31. E Dio chiamò cielo il firmamento 41. La spiegazione esposta più sopra riguardo alla denominazione delle cose può considerarsi anche a proposito di questa frase, poiché non ogni firmamento è "cielo". E Dio vide ch'è una cosa buona 42. La spiegazione che ho data più sopra a proposito di questa affermazione, la ripeterei di nuovo, se non che vedo che la narrazione non segue il medesimo ordine. Più sopra infatti è detto: E Dio vide che la luce è una cosa buona 43, e subito dopo si soggiunge: Dio separò la luce dalle tenebre e chiamò giorno la luce e notte le tenebre 44; qui invece, dopo essere stato narrato affatto, che si diceva già compiuto, e dopo essere stato chiamato "cielo" il firmamento, infine si dice: E Dio vide ch'è una cosa buona. Se l'espressione è stata cambiata senza lo scopo di evitare la noia, siamo costretti senz'altro ad intenderla nel senso che Dio fece ogni cosa simultaneamente. Per qual motivo, infatti, Dio vide prima ch'è una cosa buona e poi impose il nome, adesso invece prima impone il nome e poi vede ch'è una cosa buona? Perché ciò, se non perché questa assenza di distinzione cronologica ci fa capire che nell'opera di Dio non ci sono intervalli di tempo, sebbene si trovino nelle stesse opere? Quanto però riguarda gli intervalli di tempo, nel compiersi di un'opera c'è un prima e un dopo e non può esserci narrazione di fatti che prescinda da essi, anche se Dio ha potuto compierli senza di essi. E fu sera e fu mattina: secondo giorno 45. Di questo si è trattato già più sopra e credo che anche in questo caso valgano le stesse ragioni.
10. 32. Dio inoltre disse: L'acqua che è sotto il cielo si raccolga in un sol luogo e appaia l'asciutto. E così fu 46. Per conseguenza di ciò si può credere piuttosto ragionevolmente, come pensavamo, che l'acqua, di cui parla in precedenza, fosse proprio la materia del mondo. E certo, se tutto il mondo era interamente ricoperto dall'acqua, da dove o dove si sarebbe potuta raccogliere? Se infatti l'agiografo aveva denotato con il nome di "acqua" la massa caotica della materia, questo ammassamento deve intendersi come fosse la vera e propria formazione, di modo che la forma specifica dell'acqua fosse tale quale noi vediamo ch'è adesso. Anche la stessa espressione: appaia l'asciutto può essere intesa come la formazione della terra al fine che la terra avesse la forma specifica che noi vediamo adesso. Poiché essa era detta invisibile e caotica quando ancora mancava la forma specifica della materia. Disse dunque Dio: Si raccolga l'acqua ch'è sotto il cielo, vale a dire: la massa di materia corporale sia ridotta nella sua forma affinché sia quest'acqua che noi percepiamo con i sensi. Si raccolga in un solo ammasso: con la denotazione di "unità" si sottolinea la natura intima della forma. L'essere formato infatti significa esattamente che una cosa è ridotta in un sol tutto, poiché il principio d'ogni forma è l'unità nel suo grado più alto. E appaia l'asciutto, vale a dire: riceva la forma visibile e distinta dalla massa confusa. A ragione l'acqua viene riunita perché appaia la terra ferma, vale a dire: viene trattenuta la fluidezza della materia, perché venga alla luce ciò ch'è nascosto. E così avvenne, forse anche ciò avvenne prima rispetto alle ragioni della natura intellettuale, affinché la frase che segue: E l'acqua si raccolse in un solo ammasso ed apparve l'asciutto non sembrasse un'aggiunta superflua, avendo la Scrittura già detto: E così avvenne, ma comprendessimo che, dopo la creazione degli esseri razionali e spirituali, segui anche quella degli esseri materiali.
10. 33. E Dio chiamò terra l'asciutto e mare la massa dell'acqua 47. Anche adesso la Scrittura si esprime in questo modo per facilitare la nostra comprensione, poiché non ogni acqua è un mare né ogni cosa asciutta è una terra. Quale dunque fosse l'acqua e quale l'asciutto si doveva distinguere con dei nomi. Si può anche pensare non illogicamente che la denominazione data da Dio fosse proprio la distinzione e la formazione di quelle realtà. E Dio vide ch'è una cosa buona 48. Anche qui è conservato lo stesso ordine narrativo; si applichino perciò a questa frase le spiegazioni date per le altre frasi consimili a questa.
11. 34. E Dio disse: la terra produca erbe per nutrimento, che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, e alberi da frutto che portino frutti aventi in se stessi il seme secondo la propria somiglianza 49. Dopo che furono fatti la terra e il mare e dopo che Dio impose loro il nome e ne riconobbe la bontà - cosa che abbiamo detto spesso non doversi intendere compiuta ad intervalli di tempo, perché all'ineffabile facoltà di Dio nell'agire non s'accompagni alcuna lentezza - l'agiografo non soggiunse immediatamente come nei due giorni precedenti: E fu sera e fu mattina: terzo giorno 50, ma fa seguire un'altra opera: La terra produca erbe per alimento che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, e alberi da frutto che facciano frutti aventi in se stessi il seme secondo la propria somiglianza. Non è detto così della luce, del firmamento, delle acque, della terraferma, poiché la luce non ha una discendenza che le succeda, né il cielo nasce da un altro cielo, né la terra o il mare generano altri mari o altre terre che succedano loro. in questo caso dunque in cui la somiglianza degli esseri che nascono conservano la somiglianza con quelli che passano, fu necessario dire: Che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, il cui seme è in essi secondo la propria somiglianza.
11. 35. Tutti questi vegetali però sono sulla terra in modo da rimanere uniti alla stessa terra mediante le radici e attaccati ad essa, ma d'altra parte in modo da esserne per un certo verso separati. Per questo motivo io penso che in questa narrazione si conserva l'indicazione di questa natura, poiché da una parte i vegetali furono creati nel giorno in cui apparve la terra, ma tuttavia d'altra parte Dio disse di nuovo che la terra producesse germogli, e di nuovo è detto: E così fu e quindi, secondo la norma esposta più sopra, dopo aver detto: E così fu, parla subito dopo dell'esecuzione vera e propria dell'opera: E la terra produsse erbe per alimento che portano ciascuna seme secondo la propria specie, e alberi fruttiferi aventi il seme in loro stessi, ciascuno secondo la propria specie. E di nuovo dice: Dio vide ch'è una cosa buona 51. Così queste due azioni da un lato sono unite in un sol giorno e dall'altro vengono separate tra di loro dalle parole di Dio ripetute. Io credo che ciò sia avvenuto riguardo alla terra e al mare, poiché si doveva distinguere maggiormente la natura di questi vegetali che, in quanto nascono e muoiono, si propagano mediante il seme che li sostituisce. Si deve forse pensare che la terra e il mare potevano essere creati nello stesso istante non solo quanto alle ragioni della creatura spirituale, nel qual caso tutto fu creato simultaneamente, ma anche quanto alla stessa attività motoria materiale, mentre al contrario gli alberi e qualsiasi altra specie di piante non sarebbero potuti nascere se non fosse già esistita la terra in cui germogliare? Per questo forse doveva essere ripetuto il comandato di Dio, per indicare che gli alberi erano stati creati differenti eppure non dovevano essere creati in un giorno diverso per il fatto che sono fissi e attaccati alla terra? Ma può sollevarsi la questione perché mai Dio non pose un nome alle piante; questa omissione è dovuta al fatto che la loro moltitudine non lo permetteva? Detta questione però sarà esaminata meglio in seguito, quando noteremo altre cose alle quali Dio non pose un nome, come invece lo pose alla luce, al cielo, alla terra e al mare. E fu sera e fu mattina: terzo giorno 52.
12. 36. Dio inoltre ordinò: Ci siamo luminari nel firmamento del cielo, e risplendano sulla terra per distinguere il giorno dalla notte e servano di segni anche per i tempi, per i giorni e per gli anni e servano da lampade nel firmamento del cielo per illuminare la terra 53. I luminari furono fatti il quarto giorno e di essi è detto: servano anche per segnare i giorni. Che significano dunque i tre giorni trascorsi senza i luminari? Oppure, perché mai serviranno per segnare i giorni, se anche senza di essi poterono esistere i giorni? Forse perché mediante il moto di questi luminari si può distinguere più chiaramente la durata del tempo e l'intervallo tra i vari periodi di tempo? O forse queste enumerazioni di giorni e di notti serve ad indicare la distinzione tra la natura non ancora fatta e quelle già fatte? Sicché venne chiamata mattina per la forma specifica delle nature fatte, sera invece per la mancanza della forma? Poiché, per quanto riguarda il loro Creatore le nature sono belle nell'aspetto e nelle forme, per quanto invece dipende da esse possono invece venire meno per il fatto d'essere state create dal nulla e, in quanto non vengono meno, non dipende dalla loro materia, che deriva dal nulla, ma da Colui che è l'Essere supremo e fa esistere cose di diversa natura nel loro genere e ordine.
12. 37. Dio inoltre ordinò: Ci siano dei luminari nel firmamento del cielo, perché risplendano sulla terra 54; questo è forse detto delle stelle fisse o anche dei pianeti? Ma i due luminari, il maggiore e il minore, sono annoverati tra i pianeti. In qual maniera dunque tutti gli astri furono creati nel firmamento, dal momento che ciascun pianeta ha la propria orbita o rivoluzione circolare? O, forse, poiché nelle Scritture da una parte leggiamo che vi sono molti cieli e da un'altra che vi è il cielo, come ad esempio in questo passo ove anche il firmamento è chiamato "cielo", dobbiamo pensare che si parli di tutta questa compagine del cielo fisico, la quale contiene tutti gli astri, sotto la quale regna la serenità dell'atmosfera pura e tranquilla, al di sotto della quale si agita parimenti l'aria turbolenta e tempestosa del nostro mondo? Perché risplendano sulla terra e separino il giorno dalla notte 55. Non aveva forse Dio già separato la luce dalle tenebre e aveva chiamato "giorno" la luce e "notte" le tenebre? Da ciò risulta chiaro che aveva separato il giorno dalla notte. Che significa ora quanto è detto dei luminari: E separino il giorno dalla notte? Questa distinzione è forse fatta ora per mezzo dei luminari in modo da essere conosciuta anche da coloro che usano solo gli occhi carnali per contemplare queste realtà. Dio al contrario fece fare questa separazione prima ancora che i luminari si muovessero nel loro giro di rivoluzione, in modo da potersi comprendere da poche persone guidate dallo Spirito Santo una ragione perspicua? 0 forse si deve pensare che Dio separò un altro giorno da un'altra notte, cioè tra la forma specifica che veniva impressa a quello stato informe e lo stato informe che restava ancora da formare mentre, al contrario, diverso è il giorno di quaggiù e diversa è la notte, l'alternarsi dei quali si osserva nel moto circolare del cielo, e non può avvenire se non col sorgere e tramontare del sole?
13. 38. E servano da segni per i tempi, per i giorni, per gli anni 56. A me pare che le parole: servano da segni rendano chiara l'espressione seguente: e per i tempi, perché non s'intenda una cosa per segni e un'altra per tempi. Adesso infatti parla dei tempi di quaggiù, i quali mediante la distinzione degli intervalli fanno capire che al di sopra di loro c'è l'eternità immutabile, affinché il tempo appaia un segno, ossia un'orma - per così dire - dell'eternità. Così pure, quando soggiunge: per i giorni e per gli anni, mostra di quali tempi parla, risultando i giorni della rivoluzione delle stelle fisse, gli anni al contrario risultando evidenti quando il sole compie l'orbita dello zodiaco, meno evidenti invece quando ciascuno dei pianeti compie la rivoluzione nella propria orbita. La Scrittura infatti non dice: "e per i mesi", forse perché l'anno della luna è un mese, come i dodici anni della luna sono un anno della stessa, chiamata Fetonte dai greci, e trent'anni del sole sono un anno della stella detta Fenonte. E forse così, quando tutte le stelle saranno tornate al punto iniziale, si compierà il "grande anno", di cui molti hanno detto molte cose. O forse dice: perché servano da segni, con cui s'indica un corso sicuro per le navi; per i tempi, invece, siccome c'è la stagione della primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno, poiché anche queste stagioni variano secondo la rotazione degli astri e conservano il loro avvicendarsi e il loro ordine; per i giorni e per gli anni, invece, deve intendersi forse come è stato già esposto?
13. 39. E servano da luci nel firmamento del cielo e per illuminare la terra 57. Già in precedenza era stato detto: Nel firmamento del cielo siano lampade per illuminare la terra; perché crediamo che la frase sia stata ripetuta? Forse allo stesso modo che delle piante era stato detto che portassero seme contenuto in loro stesse secondo la propria specie e somiglianza, così qui, al contrario, dei luminari si dice: siano fatti, e: siano; cioè "siano fatti e non "generino", ma siano essi da soli. E così fu. È conservato l'ordine espositivo consueto.
13. 40. E Dio fece i due luminari: il luminare maggiore quale inizio del giorno, e il luminare minore quale inizio della notte, e le stelle 58. Per qual motivo parli d'inizio del giorno e d'inizio della notte, sarà chiaro di qui a poco. E, al contrario, incerto se le stelle, di cui si parla subito dopo, appartengano o no all'inizio della notte. Alcuni però sostengono che qui si fa intendere che la luna fu creata piena fin da principio, poiché la luna piena sorge all'inizio della notte, cioè subito dopo il tramonto del sole. È però illogico cominciare il computo non dal primo giorno della luna, bensì dal sedicesimo o dal quindicesimo. Ma non dobbiamo neppure lasciarci impressionare dalla considerazione che il luminare che fu fatto avrebbe dovuto essere creato completo. La luna infatti è completa ogni giorno, ma la sua forma intera non può esser vista dagli uomini se non quando la luna si trovi in opposizione al sole dalla parte contraria; d'altronde anche quando si trova in congiunzione con il sole, dato che si trova al di sotto di esso, sembra essere sparita, ma anche allora è piena, per il fatto ch'è illuminata dalla parte opposta e non può essere vista da coloro che si trovano al di sotto, vale a dire dagli abitanti della terra. Questi fenomeni non possono essere insegnati con poche parole, ma con sottili argomentazioni e con la dimostrazione fatta con figure geometriche visibili.
13. 41. E Dio li pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 59. Come mai è detto: Siano nel firmamento, ed ora come mai è detto: Dio fece i luminari e li pose nel firmamento, come se fossero stati fatti fuori del firmamento e di poi collocati lì, pur essendo stato già detto che fossero lì? Si vuole forse far intendere con ciò ripetutamente che Dio non agisce come di solito agiscono gli uomini, ma il suo operare è narrato come può essere narrato a uomini, vale a dire che da parte degli uomini una cosa è fare e un'altra è collocare, da parte di Dio invece l'una e l'altra azione è identica perché egli colloca facendo e fa collocando?
13. 42. E siano preposti al giorno e alla notte e separino il giorno dalla notte 60. Ciò che qui spiega dicendo: Siano preposti al giorno ed alla notte è ciò che prima aveva detto: Separino il principio del giorno e il principio della notte. Quel "principio" dobbiamo dunque intenderlo nel senso di superiorità, poiché durante il giorno tra le cose che si vedono non c'è nulla di più eccellente della luna e delle stelle. Per conseguenza non ci deve più mettere in imbarazzo quell'ambiguità, e dobbiamo credere che le stelle sono state poste in questo passo dalla Scrittura in modo da appartenere al "principio", avessero cioè il primato sulla notte. E Dio vide ch'è una cosa buona 61. È conservato lo stesso ordine narrativo. Dobbiamo però ricordarci che Dio non pose il nome a questi esseri, anche se l'agiografo avrebbe potuto dire: " E Dio chiamò stelle i luminari ", poiché non ogni luminare è una stella.
13. 43. E fu sera e fu mattina: quarto giorno 62. Se uno considera questi giorni contrassegnati dal sorgere e dal tramontare del sole, questo giorno non è il quarto, ma forse il primo, pensando che il sole sorse nello stesso momento che fu fatto e tramontò finché venissero creati tutti gli altri astri. Ma chi comprende che per un verso il sole si trova altrove quando da noi è notte, e per un altro verso altrove è notte quando il sole si trova da noi, indagherà in un senso più elevato l'enumerazione di questi giorni.
14. 44. Dio inoltre ordinò: Le acque producano rettili di anime viventi e alati, che volino sulla terra nel firmamento del cielo. E così fu 63. Gli animali che nuotano sono chiamati rettili perché non camminano con i piedi. O sono forse chiamati così perché ve ne sono altri che sulla terra strisciano sott'acqua? Ci sono infatti nelle acque altri animali forniti di penne, come i pesci che sono coperti di squame, o come altri pesci che ne sono privi ma tuttavia si sorreggono con le penne. Può essere messo in dubbio se questi devono essere annoverati tra gli uccelli in questo passo. Ma perché l'agiografo assegna alle acque e non all'aria proprio gli uccelli? t una questione non indifferente, poiché non possiamo intendere che in questo passo si tratti solo degli uccelli ai quali sono familiari le acque, come gli smerghi, le anitre e tutti gli altri animali di tal genere. Se infatti avesse parlato solo di questi, in un altro passo non avrebbe tralasciato di parlare degli altri uccelli, dei quali alcuni sono tanto lontani dalle acque che non bevono neppure. Salvo che qui la Scrittura chiami " acqua " l'aria dell'atmosfera vicina alla terra poiché, per via della rugiada che si forma nelle notti serene, quest'aria dimostra anche di essere umida, poiché si condensa anche in nubi. Ora una nube è acqua, come costatano tutti coloro ai quali è capitato di camminare sui monti in mezzo alle nubi oppure nei campi tra le nebbie. Si dice infatti che gli uccelli nella nostra atmosfera, non possono volare nell'atmosfera più alta e più pura, che da tutti è chiamata "aria", per il fatto che non sostiene il loro peso a causa della sua leggerezza. Si asserisce inoltre che in quell'aria non possono condensarsi le nubi né scatenarsi tempeste di alcun genere, poiché non c'è assolutamente il vento fino al punto che si narra che sulla vetta monte Olimpo, che si dice elevarsi sopra la zona di quest'aria umida, si è soliti tracciare delle lettere nella polvere e l'anno seguente le si trovavano integre e intatte da coloro che regolarmente ogni anno salivano sul monte summenzionato.
14. 45. Per questo motivo si può non illogicamente pensare che nelle Sacre Scritture viene chiamato "firmamento" del cielo lo spazio che si estende fino a questa zona più alta, per cui si crede che anche l'atmosfera superiore assolutamente tranquilla e serena rientra nel "firmamento". Con questo termine di "firmamento" può infatti essere simboleggiata la stessa tranquillità e una gran parte della realtà. Per conseguenza io penso che in più di un passo dei Salmi si afferma anche: La tua verità giunge fino alle nubi 64, poiché non c'è nulla di più stabile e sereno della verità. Le nubi inoltre si condensano al di sotto di questa zona dell'atmosfera assolutamente serena. Anche se questo lo si intende in senso figurato, è stato tuttavia preso da realtà aventi una certa somiglianza con queste cose; in tal modo sembra che la creatura materiale più inalterabile e più pura che si estende dalla sommità del cielo fino alle nubi, cioè fino all'atmosfera caliginosa, turbolenta e umida, raffigura giustamente la verità. Sono dunque assegnati - a buon diritto - alle acque gli uccelli che volano sulla terra sotto il firmamento del cielo, poiché non impropriamente questa atmosfera è chiamata acqua. Da ciò si può anche capire che la Scrittura non dice nulla dell'atmosfera, in che modo cioè e quando fosse creata, in quanto l'atmosfera inferiore è compresa sotto la denominazione di "acqua", quella superiore invece sotto il termine di "firmamento", e in tal modo non è stato tralasciato alcun elemento.
Come interpretare: Si raccolgano le acque, ecc.
14. 46. Forse però uno potrebbe fare questa obiezione: "Se con l'espressione: l'acqua si raccolga 65, intendiamo che l'acqua fu fatta a partire dalla confusione della materia e questo riunirsi insieme delle acque fu chiamato da Dio "mare", in qual modo possiamo dire che questa atmosfera fu fatta allora, dal momento che non viene chiamata "mare", anche se può essere chiamata "acqua"? Ecco perché a me pare che mediante l'espressione: appaia l'asciutto venga indicata la forma specifica non solo della terra ma anche della nostra atmosfera più densa, poiché per mezzo di essa viene illuminata la terra affinché possa essere vista chiaramente da noi. Con l'unico verbo: appaia, ci vengono fatte conoscere tutte le operazioni senza le quali la terra non potrebbe manifestarsi ai nostri sensi e cioè: la sua formazione, l'azione con cui fu liberata dalle acque, su di essa fu distesa l'atmosfera, attraverso la quale dalla parte superiore del mondo su di essa si trasmette la luce. O piuttosto si deve pensare che mediante l'espressione della Scrittura: l'acqua si raccolga, si vuol mettere in evidenza la forma di questa atmosfera poiché sembra che l'aria che respiriamo, condensandosi, produca l'acqua? La Scrittura ha forse chiamato così il raccogliersi dell'acqua in una massa perché si formasse il mare, sicché ciò che non è ammassato, ossia ciò che non è condensato viene portato in alto, sia " acqua " capace di sostenere gli uccelli che volano e le siano appropriati entrambi i nomi, cioè tanto quello di "acqua", più leggera, quanto quello di "aria", più densa. Ma per qual motivo non è detto quando fu fatta quest'aria? È forse vero quanto sostengono alcuni, che cioè l'aria che noi respiriamo, a causa dell'evaporazione del mare e della terra, è resa tanto più densa dell'aria più elevata e più pura, da essere adatta a sostenere il volo degli uccelli e d'altra parte tanto più leggera delle acque, con cui si lava il corpo, che quella, a paragone di essa, la percepiamo come secca e aerea? E siccome la Scrittura aveva già parlato della terra e del mare, che bisogno c'era che parlasse delle loro esalazioni, ossia delle acque in cui volano gli uccelli, dal momento che uno ha capito che quell'aria assolutamente pura e serena è assegnata al firmamento?
14. 47. D'altra parte la Scrittura, parlando delle sorgenti e dei fiumi, non dice neppure come sono stati creati. Ora, coloro che indagano e discutono questi fenomeni, affermano che, per via del movimento superficiale dell'aria, dal mare si solleva invisibilmente il vapore d'acqua dolce evidentemente per via di queste esalazioni che noi non possiamo osservare in alcun modo: queste esalazioni si condensano in nubi, e in tal modo la terra bagnata dalle piogge emette a goccia a goccia l'acqua in caverne assai occulte e ve la trasuda nella misura in cui, dopo essersi raccolta e penetrata per diversi meati, scaturisce in sorgenti sia piccole sia capaci di formare dei fiumi. Gli scienziati sostengono che di questo fenomeno è prova il fatto che l'evaporazione dell'acqua marina fatta bollire e raccolta in una serpentina presenta, a chi l'assaggia, acqua dolce. A tutti inoltre appare evidente che le sorgenti diminuiscono di portata poiché risentono l'effetto della scarsezza delle piogge. Ciò è attestato anche dalla Storia sacra: nel tempo della siccità Elia pregò per chiedere la pioggia; mentre pregava ordinò ad Eliseo di guardare verso il mare; vedendo salire di lì una nuvoletta piccola piccola, al re che stava in ansia fece annunciare ch'era imminente la pioggia, dalla quale fu bagnato mentre ancora fuggiva. Anche Davide dice: O Signore, che chiami l'acqua del mare e la riversi sulla faccia della terra 66. Per questo motivo, essendo stato nominato il mare, sarebbe stato superfluo parlare delle altre acque, sia di quelle che apportano la rugiada e con la loro leggerezza procurano l'aria agli uccelli che volano, sia di quelle delle sorgenti e dei fiumi, se le prime sono prodotte dalle evaporazioni, e le seconde hanno origine dalle piogge che, dopo essere state assorbite dalla terra, tornano al punto di prima.
15. 48. Le acque producano rettili di anime viventi 67. Perché mai è stato aggiunto viventi? Potrebbero esistere anime se non viventi? 0 forse si è voluto mettere in risalto questa vita più evidente che hanno gli animali dotati di sensi, dato che le piante ne sono prive? E producano alati che volino sulla terra al di sotto del firmamento del cielo 68. Se gli alati non volano nell'atmosfera purissima ove non si formano le nubi, è evidente ch'essa non fa parte di quel firmamento, poiché si dice che gli alati volano sulla terra sotto il firmamento del cielo. E così avvenne 69. È conservata la medesima disposizione narrativa. Ecco perché si trova quest'aggiunta come per tutte le altre opere di Dio, a eccezione di quella della luce che fu creata per prima.
15. 49. E Dio creò i grandi cetacei e ogni specie di anima di rettili che furono prodotti secondo la propria specie dalle acque e ogni specie di volatili alati secondo la propria specie 70. Dovremo certamente ricordarci che l'espressione "secondo la propria specie" è usata dalla Scrittura a proposito delle creature che si riproducono mediante la propagazione seminale, come già è stato detto delle erbe e degli alberi. E ogni specie di volatili alati. Perché qui c'è l'aggettivo alato? Può esserci forse un volatile privo di ali? Ma se può esserci un tale volatile, forse che Dio non fece una tale specie, dal momento che non si riesce ad immaginare come sia stato fatto? Può forse volare un animale se è privo assolutamente di ali? Poiché i pipistrelli, le locuste o cavallette, le mosche e ogni altro animale di tal genere ch'è privo di penne, non è privo di ali. Alati dunque è stato aggiunto perché intendessimo che non si parla dei soli uccelli, poiché i pesci sono alati e volano sulla terra sotto le acque; ecco perché non si dice: " uccelli ", ma: e volatili alati, cioè volatili in generale. E Dio vide che sono cose buone 71. Anche a proposito di questa formula, dev'essere intesa nel senso spiegato per tutte le altre formule simili a questa.
15. 50. E Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra 72. Volle che la benedizione fosse efficace per la fecondità che appare nella successione della prole, affinché mediante la benedizione le cose create deboli e soggette alla morte, conservino la propria specie attraverso nuove nascite. Ma poiché anche le piante conservano, mediante nuove nascite, la somiglianza con quelle che muoiono, per qual motivo Dio non le benedisse? Forse perché sono prive della conoscenza sensibile ch'è simile alla ragione? Non è forse senza motivo che Dio usi la seconda persona per esprimere la benedizione, rivolgendo - per così dire - la parola a questi esseri viventi, come se lo ascoltassero: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e tuttavia non si arriva sino alla fine della benedizione con la medesima seconda persona, poiché la frase prosegue così: E i volatili si moltiplichino sulla terra. Non si dice: "Moltiplicatevi sulla terra". Salvo che mediante questa stessa espressione si voglia far capire che la sensibilità degli animali non è tanto affine alla ragione da essere in grado d'intendere perfettamente le parole che Dio rivolgeva loro, come invece possono intenderle gli animali dotati d'intelligenza e capaci di servirsi della ragione.
15. 51. E così avvenne 73. A questo punto chi è tardo d'ingegno deve ormai svegliarsi totalmente per capire quale specie di giorni sono quelli di cui si tratta. Dio ha dato agli esseri viventi determinati ritmi di sviluppo dei loro semi, ritmi che conservano una meravigliosa invariabilità in forza d'una determinata disposizione, in modo che un determinato numero di giorni conforme alla propria specie di ciascuno, portino nel ventre le creature concepite e covino le uova deposte - la legge che regola questa natura è mantenuta dalla sapienza di Dio, che si estende da un confine all'altro e regola ogni cosa con dolcezza 74 -; come mai quindi in un sol giorno poterono non solo concepire ma anche diventare gravidi, riscaldare e alimentare i nati, riempire le acque del mare e moltiplicarsi sulla terra? Così infatti la Scrittura soggiunge: E così avvenne 75, prima che arrivasse la sera. Ma senza dubbio, quando dice: Fu fatta la sera, l'agiografo menziona la materia informe; quando dice: Fu fatto il mattino, indica la forma impressa alla materia dalla stessa azione creatrice, poiché così conclude il giorno dopo l'azione del Creatore. Iddio tuttavia non disse: Sia fatta la sera, oppure: Sia fatto il mattino, poiché l'espressione della Scrittura è una menzione assai concisa delle cose fatte con la materia e la forma specifica, simbolizzate rispettivamente con i termini " sera " e " mattino ". Quelle cose la Scrittura aveva comunque già detto essere state fatte da Dio, pur non avendo detto però che la deficienza - cioè la tendenza [delle cose] ad avviarsi dalla forma specifica verso la materia e il nulla, se con ragione pensiamo che ciò fosse indicato con il termine " notte " - fu fatta da Dio, ma solo disposta nel suo ordine, allorché più sopra aveva detto: Dio separò la luce dalle tenebre venendo in tal modo simboleggiata la materia informe che, sebbene fatta dal nulla, non è inesistente ma possiede la capacità di assumere varie forme specifiche. Con il termine "tenebre" può intendersi anche il nulla assoluto, non creato da Dio ma a partire dal quale Dio fece tutte quante le cose che si degnò di fare per la sua ineffabile bontà, essendo onnipotente e perciò dal nulla creò tante cose.
15. 52. E fu sera e fu mattina: il quinto giorno 76. A questo punto, dopo aver detto: E così avvenne, l'agiografo non aggiunse, come al solito, l'esecuzione delle opere come se venissero fatte una seconda volta, poiché era stato detto già prima. Inoltre con la benedizione riguardante la generazione della prole non veniva creata alcuna natura ma venivano conservati, attraverso i successivi discendenti, gli esseri già creati. Ecco perché non dice neppure: E Dio vide che è una cosa buona, poiché a Dio era già piaciuta la natura stessa che doveva solo essere mantenuta con il parto di altri figli. In questo passo pertanto non è ripetuta se non la frase: E così avvenne, e immediatamente si parla della " sera " e della " mattina ", termini con cui - l'abbiamo già detto - l'opera compiuta viene indicata riguardo alla materia informe e alla forma specifica impressale, salvo che agli studiosi venga in mente un'idea migliore e più elevata.
15. 53. E Dio disse: La terra produca anime vive, secondo la propria specie, di quadrupedi, serpenti, bestie della terra secondo la propria specie e di bestiame minuto secondo la propria specie. E così avvenne 77. Perché mai dopo la parola anime viene aggiunto vive, e che cosa vuol dire: secondo la propria specie, e la solita conclusione espressa con le parole: E così avvenne, sono questioni da esaminare e intendersi come è stato spiegato più sopra. Sebbene in latino con il termine "bestie" s'indichi in genere ogni animale privo di ragione, tuttavia nel nostro passo devono distinguersi le specie in modo che per quadrupedi s'intendano le bestie da soma, per serpenti tutti i rettili, per bestie e fiere tutti i quadrupedi che non aiutano l'uomo nel lavoro, ma danno qualche provento a coloro che li pascolano.
16. 54. E Dio fece le bestie della terra secondo la loro specie e il bestiame minuto secondo la propria specie e tutti i rettili secondo la loro specie 78. La ripetizione della frase: E Dio fece, dal momento che già era stato detto: E così avvenne 79, dev'essere esaminata alla stregua della norma esposta in precedenza. Io credo che in questo passo con il termine "bestiame" sono indicati i quadrupedi d'ogni specie che vivono allevati dagli uomini. L'espressione: E Dio vide ch'è una cosa buona 80, deve intendersi come al solito.
16. 55. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 81. Anche a proposito di questo passo deve notarsi da un lato una certa unione e da un altro una certa separazione degli esseri viventi, poiché la Scrittura dice che l'uomo fu fatto lo stesso giorno che furono fatte le bestie; essi infatti sono insieme tutti esseri viventi della terra. Ciononostante a causa della superiorità della ragione, conforme alla quale l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, si parla separatamente di lui dopo che a proposito di tutti gli altri la Scrittura conclude come al solito dicendo: E Dio vide ch'è una cosa buona 82.
16. 56. Si deve anche notare il fatto che, a proposito degli altri animali, Dio disse: Sia fatto. E così fu; qui invece Dio disse: Facciamo, volendo lo Spirito Santo indicare anche in questo modo la superiorità della natura umana. Ora a chi si è rivolta adesso la parola: Facciamo, se non a chi era la Parola: Sia fatto, trattandosi delle altre creature? Poiché tutto è stato fatto per mezzo di Lui e nulla è stato fatto senza di Lui 83. Ma perché pensiamo che in altri casi è stato detto: Sia fatto, se non fosse egli in persona a creare per ordine del Padre, mentre in questo caso è detto: Facciamo, solo perché entrambi facessero insieme e nello stesso tempo? O forse, perché tutto ciò che fa il Padre lo fa per mezzo del Figlio, in questo caso è detto: Facciamo affinché in tal modo all'uomo, per il quale è stata fatta la stessa Scrittura, fosse mostrato, proprio nel caso riguardante lui stesso, che quando parla il Padre, lo stesso Padre fa ciò che fa il Figlio? In tal modo, per quanto riguarda l'espressione: Sia fatto. E fu fatto usata negli altri casi, qui verrebbe spiegato che la parola creatrice non fu distinta dall'atto creatore ma furono entrambi simultanei, dal momento che qui è detto: Facciamo.
16. 57. Dio poi disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 84. Ogni immagine è simile a colui del quale è immagine, ma non tutto ciò che è simile a un qualcuno è anche immagine di lui. Così quando si tratta d'immagini riflesse in uno specchio o riprodotte in una pittura, in quanto esse sono immagini sono necessariamente anche simili a colui del quale sono immagini; ma due persone, anche se sono simili tra loro, tuttavia se una non è nata dall'altra, nessuna delle due può dirsi immagine dell'altra. In effetti si ha un'immagine quando essa è la riproduzione di qualcuno. Perché dunque la Scrittura, dopo aver detto: a immagine, aggiunse: a somiglianza, come se ci potesse essere un'immagine dissimile? Sarebbe quindi bastato dire: a immagine. O forse una cosa è ciò che è simile ' e una cosa diversa è la somiglianza, come una cosa è una persona casta e una cosa diversa è la castità, una cosa è una persona forte, un'altra cosa è la fortezza e perciò, allo stesso modo che tutto ciò ch'è forte lo è per effetto della fortezza e tutto ciò che è casto lo è per effetto della castità, così tutto ciò che è simile lo è per effetto della somiglianza? Tuttavia non si può dire, in senso del tutto appropriato, che la nostra immagine sia la nostra somiglianza pur potendosi dire, ciononostante, in senso proprio ch'essa è simile a noi; per conseguenza vi è la somiglianza, in virtù della quale è simile tutto ciò che è casto. La castità invece è casta senza che sia partecipe di null'altro, mentre tutto ciò che è casto lo è in quanto partecipe di essa. La castità risiede certamente in Dio in cui è anche la Sapienza, la quale è la Sapienza ma non a causa d'una partecipazione, mentre, in quanto è partecipe di essa, è sapiente l'anima di chiunque. Anche la Sapienza di Dio, per mezzo della quale tutto è stato fatto, si chiama quindi "Somiglianza" in senso proprio, essendo simile non perché è partecipe di qualche altra somiglianza, ma perché è essa stessa la somma Somiglianza; essendo partecipi della quale sono simili tutte le cose fatte da Dio per mezzo di essa.
16. 58. L'aggiunta dell'espressione: a somiglianza, a quella precedente, cioè: a immagine, è forse una spiegazione al fine di mostrare che quella ch'è denotata col termine di immagine non è tanto simile a Dio come se fosse partecipe di qualche altra somiglianza, ma che questa è la stessa somiglianza, di cui sono partecipi tutte le creature che sono chiamate simili. Allo stesso modo esiste in Dio anche la stessa castità, essendo partecipi della quale sono caste le anime, e così vi è pure la sapienza, essendo partecipi della quale sono sapienti le anime, come vi è la bellezza, essendo partecipi della quale sono belle tutte le cose che sono belle. Ora, se Dio avesse parlato solo di somiglianza, non avrebbe fatto capire ch'essa è stata generata da lui; se invece avesse parlato solo d'immagine, avrebbe certo fatto capire ch'essa è stata generata da lui; se invece avesse parlato solo d'immagine, avrebbe certo fatto capire ch'essa è talmente simile, da essere non solo simile, ma la stessa Somiglianza. Come inoltre nulla è più casto della stessa castità, nulla più sapiente della stessa sapienza e nulla più bello della stessa bellezza, così non può chiamarsi o pensarsi o esserci assolutamente nulla di più simile alla stessa somiglianza. Si comprende perciò che al Padre è talmente simile la propria Somiglianza, da corrispondere nella misura più completa e perfetta alla natura di lui.
16. 59. Ma quanta potenza abbia per imprimere la forza specifica alle realtà create la Somiglianza di Dio, per mezzo della quale tutte le cose sono state fatte - sebbene ciò superi immensamente i pensieri dell'uomo - lo possiamo giudicare in certo qual modo se consideriamo che ogni natura, non solo quella che si mostra agli esseri che percepiscono le cose unicamente con i sensi, ma anche quella che si mostra a coloro che ragionano, conserva la forma specifica della totalità risultante delle parti simili tra loro. Conforme appunto alla Sapienza di Dio, si chiamano sapienti le anime razionali, ma questo appellativo non si estende ad altri esseri che non siano razionali, poiché non possiamo chiamare sapiente nessuna bestia e molto meno gli alberi o il fuoco o l'aria o l'acqua o la terra, sebbene anche tutte queste cose, in quanto esistono, esistono proprio per mezzo della Sapienza di Dio. Noi però diciamo simili tra loro non solo le pietre ma anche gli animali, gli uomini, gli angeli. Orbene, parlando di ciascuna cosa diciamo che la terra è la terra per il fatto di avere i propri elementi simili tra loro, come pure l'acqua non potrebbe essere acqua, se in qualsiasi di tutti i suoi elementi non fosse simile a tutti gli altri suoi elementi, e qualsiasi - per quanto piccola - parte d'aria non potrebbe essere aria, se fosse dissimile da tutta la restante massa e così pure una particella di fuoco o di luce è quel che è per il fatto che non è dissimile dalle altre parti. Così, a proposito d'ogni pietra, d'ogni albero o del corpo di qualunque animale, si può riconoscere o comprendere che non esisterebbe con gli altri esseri della propria specie, ma neppure ciascuno di essi in se stesso, qualora non avesse le parti simili tra loro. Inoltre tanto più bello è un corpo, quanto più simili sono le parti di cui risulta. D'altronde non solo l'amicizia delle anime con altre anime, risultante da costumi somiglianti, ma anche in ciascun'anima le azioni e le virtù somiglianti - senza le quali non può esserci la stabilità del carattere - sono la dimostrazione della felicità. Tutte queste cose possiamo chiamarle certamente somiglianti, ma non la " somiglianza " vera e propria. Ecco perché, se l'universo risulta di cose simili tra loro in modo che, pur essendo ciascuna di esse quel che è, costituiscano tutte lo stesso universo non solo creato ma anche governato da Dio, certamente per mezzo della suprema, immutabile e incontaminabile Somiglianza di lui che creò tutte le cose, furono fatte di tal natura da essere belle a causa delle parti simili tra loro; non tutte però sono fatte a somiglianza di lui, ma solo la sostanza razionale: tutto perciò è stato fatto per mezzo di essa, ma non tutto a somiglianza di essa.
16. 60. La sostanza razionale fu quindi fatta non solo per mezzo della Somiglianza di Dio ma anche a somiglianza d'essa, poiché non fu interposta alcun'altra natura, dal momento che l'anima intellettiva dell'uomo - cosa questa che non comprende se non quando è purissima e beatissima - non si unisce con nessun'altra cosa se non con la Verità in persona, che si chiama Somiglianza, Immagine e Sapienza del Padre. Per conseguenza la frase: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 85, la s'intende nel giusto senso solo relativamente a ciò che nell'uomo è intimo ed essenziale, ossia in relazione all'anima razionale. Tutto l'uomo infatti dev'essere valutato in base a ciò che in lui ha la preminenza e lo distingue dalle bestie: tutto il resto ch'è nell'uomo, invece, benché sia bello nel suo genere, è tuttavia comune alle bestie e perciò nell'uomo deve stimarsi poco; salvo che il fatto per cui la figura del corpo umano è eretta, rivolta a guardare verso il cielo, non contribuisca, in qualche misura, a farci credere che anche lo stesso corpo fu fatto a somiglianza di Dio, nel senso cioè che, allo stesso modo che la Somiglianza di Dio non è opposta al Padre, così il corpo umano non è opposto al cielo come è il corpo degli altri animali: questi infatti, proni come sono verso terra, si sdraiano sul ventre. Questo fatto però non dev'essere inteso in senso assoluto, poiché il nostro corpo è di gran lunga differente dal cielo; quanto invece alla Somiglianza, ch'è il Figlio, non può avere nulla di dissimile da Colui al quale egli è simile. Tutte le altre cose infatti, simili tra loro, sono tra loro anche dissimili in parte; al contrario la Somiglianza vera e propria di Dio non è a lui dissimile sotto alcun riguardo. Il Padre però è solo il Padre e il Figlio non è altro che il Figlio, poiché anche quando si chiama " la Somiglianza " del Padre, sebbene ciò provi che non c'è tra loro alcuna differenza, il Padre tuttavia non è solo, dal momento ch'egli ha la propria Somiglianza.
16. 61. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 86. Quanto abbiamo detto più sopra spiega molto bene queste parole della Scrittura, in cui leggiamo che Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, nel senso che per "Somiglianza" di Dio, conforme alla quale fu fatto l'uomo, si può intendere lo stesso Verbo di Dio, ossia il Figlio unigenito, non certo nel senso che l'uomo è la medesima Immagine e Somiglianza uguale al Padre. Anche l'uomo tuttavia è immagine di Dio come assai chiaramente ci mostra l'Apostolo che dice: L'uomo, veramente, non deve coprirsi il capo essendo immagine e gloria di Dio 87. Questa immagine però, fatta ad immagine di Dio, non è uguale e coeterna a Colui del quale è immagine, anche se non avesse peccato assolutamente mai. Ora, il senso preferibile da dare a queste parole di Dio è quello d'intendere che la frase è espressa al plurale e non al singolare: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, per la ragione che l'uomo è fatto a immagine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo Spirito Santo, ma della stessa Trinità. Questa Trinità è Trinità in modo da essere l'unico Dio, allo stesso modo che Dio è unico in modo da essere Trinità. Dio infatti non disse, rivolgendosi al Figlio: "Facciamo l'uomo a tua immagine ", oppure: " a immagine mia", ma disse: a immagine e somiglianza nostra; da questa pluralità chi oserebbe separare lo Spirito Santo? Ma poiché questa pluralità non costituisce tre dèi ma un solo Dio, per questo dobbiamo comprendere che la Scrittura subito dopo soggiunse la frase al singolare e disse: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, affinché non s'intendesse come se Dio Padre facesse l'uomo a immagine di Dio, cioè di suo Figlio; altrimenti in qual modo sarebbero vere le parole a immagine nostra, se l'uomo fu fatto a immagine del solo Figlio? Per conseguenza, perché è vero ciò che disse Dio: a immagine nostra, la Scrittura dice così: Dio fece l'uomo a immagine di Dio, come se dicesse: "a immagine sua", cioè a immagine della stessa Trinità.
16. 62. Alcuni però pensano che non è ripetuta la parola " somiglianza" e non è detto: " E Dio fece l'uomo a immagine e a somiglianza di Dio", poiché solo in quel momento fu fatto a immagine, mentre la somiglianza gli era riservata alla risurrezione dei morti, come se ci fosse un'immagine in cui non c'è somiglianza. Ora, se non è del tutto simile, senza dubbio non è neppure un'immagine. Tuttavia, perché non sembri che trattiamo questo argomento solo alla luce della ragione, dobbiamo avvalerci anche dell'autorità dell'apostolo Giacomo che, parlando della lingua dell'uomo, dice: Con essa benediciamo Dio e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio 88.