Scritta dopo l'aprile del 397.
A. scrivendo al prete Casulano, confuta la poco seria dissertazione di un certo romano intorno al digiuno in giorno di sabato (n. 1-9). Mostra poi l'assurdità della posizione del suddetto romano a proposito del digiuno e dei cibi da usarsi in giorno di domenica (n. 10-15). Passati poi a trattare del digiuno di Elia e Daniele, della dottrina di Paolo, dei vari modi di digiunare e della carità (n. 16-26), passati in rassegna gli errori dei Manichei e dei Priscillianisti, espone il pensiero del Vescovo di Milano, Ambrogio, intorno ai vari costumi di digiunare (n. 30-32).
AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE CASULANO, FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO, DILETTISSIMO E DEGNISSIMO DI AFFETTO
1. 1. Non so come sia accaduto che non ho risposto alla tua prima lettera; sono sicuro però che non l'ho fatto per disprezzo verso di te, poiché godo dei tuoi studi e della tua conversazione, come pure desidero e t'esorto a progredire mentre sei ancora giovane, nella parola di Dio per l'edificazione spirituale della Chiesa. Ora, però, ho ricevuto una seconda tua lettera, nella quale mi preghi, in forza del fraterno e giustissimo diritto della carità, per cui siamo una sola cosa, di risponderti una buona volta; ho ritenuto perciò doveroso non differire oltre di appagare il tuo desiderio, e, nonostante le mie pressantissime occupazioni, mi sono deciso di liberarmi da quest'obbligo contratto verso di te.
1. 2. Quanto alla domanda se sia lecito digiunare il sabato, ti rispondo: "Se ciò non fosse assolutamente lecito, certamente non avrebbero digiunato per quaranta giorni continui né Mosè, né Elia, né lo stesso Signore". Veramente in forza di questa ragione si conclude che non sarebbe illecito il digiuno neppure la domenica. Eppure, chi pensasse di consacrare questo giorno al digiuno come alcuni che, pur praticando il digiuno, se ne astengono il sabato, arrecherebbe - giustamente - non lieve scandalo alla Chiesa. Riguardo a cose intorno alle quali la Sacra Scrittura non fissa alcuna regola certa, sono da osservarsi come leggi l'usanza del popolo di Dio o le consuetudini degli avi. Se volessimo discutere le usanze in modo da condannare gli uni in base alle consuetudini degli altri, ne nascerebbe una diatriba interminabile e piena di chiacchiere, mancando alla verità ogni argomento apodittico, e si dovrebbe quindi badare che la foga della polemica non offuschi la serena atmosfera della carità. Non s'è curato d'evitare un simile pericolo quel tale, di cui hai creduto bene inviarmi una prolissa dissertazione nella tua prima lettera, perché io gli rispondessi.
2. 3. Io però, per confutare tutte le sue opinioni, non dispongo di tanti ritagli di tempo, essendomi essi necessari a sbrigare altre faccende più urgenti. Tu, comunque, coll'ingegno che mostri nelle tue lettere, che io amo in te come dono di Dio, considera un po' attentamente la medesima dissertazione di quel tale urbico - come tu scrivi - ossia oriundo di Roma, e ti accorgerai ch'egli non ha esitato a denigrare coi termini più ingiuriosi quasi tutta la Chiesa di Cristo dall'Oriente all'Occidente. Che dico: "quasi tutta"? "Addirittura tutta quanta la Chiesa", dovrei dire! Poiché si può constatare che non ha risparmiato neppure i Romani, di cui crede difendere le usanze, mentre non sa (poiché non s'accorge) che la foga delle sue insolenze dilaga fino a colpire anch'essi. Così, quando si trova a corto di argomenti per dimostrare l'obbligo del digiuno il sabato, inveisce insolentemente contro il lusso dei pranzi, contro i banchetti di gente avvinazzata, contro le dissolutezza degli ubriaconi, come se non digiunare equivalesse a ubriacarsi. Se è così, cosa giova ai Romani digiunare il sabato, dal momento che negli altri giorni, in cui non digiunano, necessariamente devono essere giudicati - secondo il ragionamento di costui - ubriaconi e adoratori del ventre? Inoltre, se una cosa è appesantire il cuore nella crapula e nell'ubriachezza 1, il che è sempre illecito, altra cosa è mitigare il digiuno conservando la moderazione e la temperanza; e se ciò si fa la domenica, senza poter essere criticato da un Cristiano, costui distingua anzitutto fra il pasto dei santi e l'abuso nel mangiare e nel bere proprio degli adoratori del ventre, per non mettere tra gli adoratori del ventre gli stessi Romani quando non digiunano. Solo allora potrà indagare non già se è lecito ubriacarsi il sabato (cosa illecita pure la domenica) ma se non ci sia l'obbligo di digiunare neppure il sabato, come non si è soliti digiunare la domenica.
2. 4. Dio volesse che indagasse e proclamasse le sue condizioni in modo da non bestemmiare così apertamente la Chiesa diffusa in tutto il mondo, tranne i Romani e, almeno finora, un esiguo numero di popoli occidentali. Orbene, chi potrebbe sopportare che di tanti servi e serve di Cristo viventi tra tutti i popoli cristiani d'oriente e tra molti pure d'occidente, si dica ciò che afferma costui per il fatto che il sabato consumano un pranzo sobrio e moderato, si dica cioè che vivono nella carne e non possono piacere a Dio 2; che di essi sta scritto: Lontani da me gli iniqui; non voglio conoscere la loro via 3, che sono adoratori del ventre, che antepongono la Giudea e i figli della schiava alla Chiesa; che seguono non la legge della giustizia, ma del piacere 4, preoccupati solo del ventre, non volendo essere assoggettati alla disciplina; che sono carne e hanno il gusto per ciò che dà la morte 5 e altre simili espressioni? Anche se dicesse ciò di un solo servo di Dio, chi mai dovrebbe ascoltarlo? Chi non dovrebbe evitarlo? ma poiché ingiuria e insulta la Chiesa che porta frutti e cresce in tutto il mondo 6 e che ha l'usanza quasi universale di non digiunare il sabato, lo esorto, chiunque egli sia, a reprimere il suo zelo. Dato però che non hai voluto che io conoscessi il suo nome, certamente non hai voluto che pronunciassi un giudizio sul suo conto.
3. 5. Il Figlio dell'uomo, dice costui, è padrone del sabato, in cui è lecito fare quanto più possibile del bene 7 anziché il male. Se dunque si fa male a mangiare in quel giorno, non c'è nessuna domenica in cui si vive bene. Costui sostiene poi che gli Apostoli il sabato mangiarono, perché - dice - allora non era tempo in cui si doveva digiunare, secondo l'espressione del Signore: Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo Sposo e allora i figli dello Sposo digiuneranno 8, poiché v'è il tempo di godere e il tempo di piangere 9. Costui però avrebbe dovuto prima considerare che il Signore in quella circostanza parlava non già del digiuno del sabato, ma solo del digiuno in genere. In secondo luogo, quando egli vuol dare a intendere che il digiuno deve essere considerato come pianto e il mangiare come godimento, perché mai non pensa (qualunque cosa volesse Dio significare con esso) al passo della Sacra Scrittura, ove è scritto che il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere 10? Certo in queste parole non è indicato il pianto, ma la gioia! Salvo che costui voglia farci intendere che nel fatto che Dio si riposò e consacrò il sabato, si sia voluto indicare gioia per i Giudei e pianto per i Cristiani. Tuttavia neppure quando Dio dichiarò santo il settimo giorno perché in esso si era riposato da tutte le sue opere, fece alcun cenno al digiuno o al pasto del sabato; neppure in seguito, quando diede al popolo ebraico le disposizioni sul modo di rispettare quel medesimo giorno 11, non parlò affatto dei cibi che in esso fosse lecito o illecito mangiare; fu solo comandato a tutti di astenersi dal lavorare in proprio e dalle opere servili. Il popolo ebraico, accettando questo precetto in quanto ombra delle cose future 12, si astenne dal lavoro nella stessa guisa che vediamo astenersi anche oggi i Giudei, non però con la mentalità dei Giudei carnali che non capiscono bene ciò che invece intendono bene i Cristiani. In realtà però noi non comprendiamo queste cose meglio dei Profeti i quali, ciò nonostante, nel tempo in cui quel riposo era obbligatorio, osservarono l'astensione dal lavoro il sabato, che i Giudei considerano obbligatoria anche oggi. Ecco perché Dio comandò di lapidare quel tale che aveva raccolto legna nel giorno di sabato 13, ma in nessun luogo della Sacra Scrittura leggiamo che alcuno sia stato lapidato o giudicato degno di qualsiasi altro supplizio per il fatto che avesse digiunato o mangiato il sabato. Quale poi di queste due azioni si addica al riposo e quale al lavoro, se la veda costui, che ha attribuito la gioia a quelli che mangiano e il pianto a quelli che digiunano o ha creduto di capire ch'è attribuito dal Signore nel passo ove, rispondendo a proposito del digiuno, dice: Non possono piangere i figli dello Sposo finché lo Sposo si trova in mezzo a loro 14.
3. 6. Gli Apostoli - dice ancora costui - mangiarono il sabato, poiché non era ancora il tempo che il sabato si dovesse digiunare, cosa che appunto la tradizione degli antenati proibiva; ma io mi domando: era forse già arrivato il tempo di non astenersi dal lavorare il sabato? Non era forse anche ciò proibito dalla tradizione degli antenati, la quale invece costringeva ad astenersi dal lavoro? Eppure proprio quel giorno di sabato, in cui si legge che i discepoli di Cristo mangiarono, non colsero forse delle spighe 15, cosa illecita il sabato perché proibita dalla tradizione degli antenati? Veda dunque costui se non sia più ragionevole della sua la risposta che gli diamo noi, che cioè fu proprio il Signore a volere che fossero compiute dai discepoli quelle due azioni, di cogliere le spighe e di mangiare, per confutare con la prima coloro che pretendono che il sabato non si debba lavorare, e con la seconda coloro che quel giorno obbligano a digiunare. Così il Signore ha voluto far capire come col mutare dei tempi la prima pratica era ormai superstiziosa, mentre ha voluto che l'altra, prima e dopo la sua venuta, fosse libera. Non dico ciò come una cosa che io osi determinare con certezza, ma per mostrare cosa possa rispondersi a costui di molto più ragionevole che non quel che ci racconta lui.
4. 7. Costui però obietta: "In che modo non saremo condannati col fariseo, se digiuneremo solo due volte la settimana?". Come se il fariseo sia condannato perché digiunasse solo due volte la settimana e non, invece, perché si esaltava, tronfio di orgoglio, sul pubblicano 16. Egli potrebbe pure affermare che anche quelli che dànno ai poveri le decime di tutti i loro raccolti, son condannati col fariseo, perché tra le altre azioni di cui si vantava c'era anche questa, che brameremmo fosse praticata da molti Cristiani, mentre invece se ne trovano sì pochi! Oppure se uno non sarà ingiusto, adultero, ladro, sarà forse condannato col fariseo, perché si vantava di non essere tale? Chi la pensasse così, sarebbe certo un pazzo! Inoltre anche se tutte le qualità, di cui il fariseo si vantava, sono senza dubbio buone, non si debbono possedere con la superba ostentazione che appariva in lui, ma coll'umile riconoscenza verso Dio, che in quello mancava. Così pure il digiunare due volte la settimana è privo di merito per una persona come il fariseo, mentre è un atto religioso per una persona umilmente fedele o fedelmente umile, sebbene il Vangelo non parli di condanna per il fariseo ma piuttosto di giustificazione per il pubblicano.
4. 8. Costui peraltro pensa che l'espressione del Signore: Se la vostra virtù non sarà superiore a quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli 17 si debba intendere in modo che, se non digiuniamo più di due volte la settimana, non possiamo adempiere questo precetto. In tale ipotesi è bene vi siano sette giorni che nel volgere dei tempi tornano sulle proprie orme. Se dunque si tolgono alla settimana i due giorni del sabato e della domenica, in cui non si digiuna, ne rimangono cinque, coi quali si possa superare il fariseo che digiunava solo due volte alla settimana. Penso infatti che, se uno digiuna tre volte alla settimana, supera il fariseo, che digiunava solo due volte la settimana. Se poi uno digiunasse quattro o cinque volte, tralasciando solo il sabato e la domenica, come fanno per tutta la vita molti Cristiani, specialmente coloro che vivono in monastero, in tal caso non rimarrà superato solo il fariseo, che digiunava solo due volte, ma qualunque cristiano solito a praticare il digiuno il mercoledì, venerdì e sabato, come generalmente usa il popolo Romano. Tuttavia questo non so qual pensatore oriundo di Roma - come tu lo chiami - osa qualificare schiavo della carne uno che praticasse il digiuno anche per cinque giorni di seguito, eccetto il sabato e la domenica, senza rifocillarsi affatto in nessuno di quei cinque giorni, come se mangiare e bere negli altri giorni fosse in rapporto col corpo, e gli affibbia pure il titolo di adoratore del ventre, come se soltanto il pasto del sabato scendesse nel ventre.
5. 9. Per costui non basta certamente quanto è sufficiente per superare il fariseo, cioè il digiunare tre volte la settimana ma, con l'eccezione della sola domenica, obbliga ad osservare il digiuno tutti gli altri sei giorni, fino ad affermare: "Cancellata l'antica macchia, come due sposi in una sola carne, coloro che si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i sensuali pranzi del sabato con gli uomini senza legge e coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra 18, ma devono praticare coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa. In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina e poi, nutriti dell'alogia domenicale, potremo tutti con ugual sentimento e degnamente cantare: Hai saziato, o Signore, l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 19". Ora, con simili affermazioni e coll'eccettuare dal digiuno soltanto la domenica, costui, imprudente e incauto, accusa non solo le popolazioni dell'Oriente e dell'Occidente, tra le quali nessuno digiuna il sabato, ma la stessa Chiesa di Roma. Proprio così egli dice: "Quanti si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i pranzi sensuali con gli uomini senza legge, coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra, ma devono praticare insieme coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa". Stabilendo poi in che consista il digiunare secondo le leggi, egli soggiunge: "In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina"; così dicendo, costui pensa di certo che coloro, i quali praticano il digiuno meno di sei giorni la settimana, non praticano il digiuno conforme alle leggi né sono consacrati a Dio né lavano le macchie dei falli che si contraggono con la nostra natura mortale. Badino perciò i Romani a quel che fanno, perché anch'essi in questa dissertazione vengono trattati assai oltraggiosamente per il fatto che presso di loro, eccettuati pochissimi chierici o monaci, quanti se ne trovano che pratichino il digiuno tutti i giorni? Tanto più che a Roma non pare si debba digiunare il giovedì!
5. 10. Io poi mi domando: se il più lieve fallo di ogni giorno vien cancellato o lavato dal digiuno del medesimo giorno, poiché egli dice: "In tal modo anche il più lieve fallo dei sei giorni sarà lavato anche alle fonti del digiuno", come ci purificheremo delle mancanze in cui scivoliamo la domenica, quando sarebbe scandaloso digiunare? Oppure, se in questo medesimo giorno al cristiano non può capitare di incorrere in qualche fallo, veda costui (che accusa gli altri quali adoratori del ventre, come s'egli fosse un eroe del digiuno) quanto onore e importanza attribuisce al ventre, se non si pecca quando si mangia. Dunque, attribuisce egli forse al digiuno del sabato tale virtù che basta da solo a cancellare anche il più lieve fallo degli altri sei giorni della settimana, cioè anche della stessa domenica - com'egli dice - e non si pecca solo nello stesso giorno dedicato interamente al digiuno? Ma, allora, perché mai in virtù delle disposizioni della legge cristiana dà la preferenza alla domenica rispetto al sabato? Ecco: secondo lui si viene a scoprire che il sabato è molto più santo, perché quel giorno non si pecca quando lo si consacra tutto intero al digiuno; anzi col medesimo digiuno si cancellano i peccati degli altri sei giorni e perciò della stessa domenica. Credo però che tu non approvi codesta sua opinione.
5. 11. E anzi, mentre costui vuol apparire persona spirituale e accusa come carnali coloro che mangiano il sabato, tu considera bene in qual modo la domenica si ristora non con un pasto frugale, ma ha bisogno dell'alogia per rallegrarsi. Ma che cos'è poi quest'alogia? È una parola presa dalla lingua greca, ed esprime l'abbandonarsi alla crapula fino a perdere il controllo della ragione. Per questo si dicono àlogi gli animali irragionevoli, ai quali rassomigliano le persone dedite al ventre; per questo vien chiamata alogia un banchetto smodato in cui, col rimpinzarsi di cibo e di vino, viene per così dire affogata la mente, di cui la ragione è la facoltà principale. Costui inoltre arriva ad affermare che, a causa del cibo e del bere, cioè per causa dell'alogia (o bestialità) non della mente ma del ventre, nella domenica si deve cantare: O Signore, tu hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 20. Toh, vedi che persona spirituale, che censore delle persone carnali, che gran digiunatore e per nulla adoratore del ventre è costui! Ecco chi ci ammonisce a non guastare con la legge del ventre la legge del Signore, a non barattare il pane del cielo col cibo della terra e soggiunge: "A causa del cibo Adamo perse il paradiso, come pure a causa del cibo Esaù perse il diritto di primogenitura". Ecco chi dice: "Poiché il solito trabocchetto di Satana è la tentazione del ventre: lo persuade a prendere poco per rapire tutto. E la spiegazione di questi precetti - soggiunge - non arriva a piegare gli adoratori del ventre".
5. 12. Non sembra forse che con queste sue parole costui voglia concludere che si debba digiunare anche la domenica? In caso diverso il sabato, durante il quale il Signore riposò nel sepolcro, sarebbe più sacro della domenica, in cui risuscitò dai morti. E sarebbe indubbiamente più sacro il sabato se, a quanto afferma costui, col digiuno di quel giorno si potesse evitare ogni specie di peccato e cancellare le macchie procurate negli altri giorni, mentre la domenica, a causa del cibo, non si eviterebbe la tentazione del ventre e si offrirebbe l'occasione all'insidia del diavolo, si perderebbe il paradiso e il diritto di primogenitura. Ma allora, perché mai costui, contraddicendosi ancora una volta, esorta che nella domenica ci ristoriamo non con un cibo moderato, sobrio, degno di Cristiani, ma nella pazza gioia dell'alogia, esultando e cantando: O Signore, hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima sitibonda? È naturale: se non si pecca quando si digiuna e col digiuno del sabato si lavano tutti i peccati commessi negli altri sei giorni, non vi sarà nessun giorno peggiore della domenica, nessuno migliore del sabato! Credimi, fratello carissimo: nessuno intende la legge come costui, tranne chi non l'intende affatto. In realtà se non fu il cibo in sé, ma il cibo proibito a rovinare Adamo 21, né fu il piatto di lenticchie a far riprovare Esaù 22, nipote del santo Abramo, ma l'averlo desiderato fino al disprezzo del piano misterioso simboleggiato nella primogenitura, ne segue che dai santi e dai fedeli si mangia con spirito di ossequio alla legge di Dio, come dai sacrileghi e dagli increduli si digiuna con spirito contrario alla legge di Dio. La domenica poi dev'essere considerata superiore al sabato per il mistero della risurrezione, non per l'usanza della refezione oppure per la dissolutezza delle canzoni da ubriaconi.
6. 13. "Mosè - dice costui - rimase quaranta giorni senza mangiar pane né bere acqua 23". E per spiegare il motivo di questa sua affermazione, soggiunge dicendo: "Ecco Mosè, questo amico di Dio, questo abitante nella nube, questo legislatore e condottiero del popolo, praticando il digiuno per sei sabati, non solo non arrecò offesa a Dio, ma si acquistò meriti". Ma considera forse costui che cosa gli si può convenientemente opporre? Se egli ci pone sotto gli occhi l'esempio di Mosè digiunante poiché in quei quaranta giorni digiunò - com'egli dice - sei sabati, dimostrando così che si deve digiunare il sabato, perché con lo stesso esempio non ci persuade a digiunare pure la domenica, poiché in quei quaranta giorni Mosè digiunò ugualmente sei domeniche? Costui però soggiunge: "Ma la domenica era da Dio ancora riserbata con Cristo alla Chiesa che si sarebbe presto stabilita". Non capisco il perché di questa affermazione; se è stata fatta per il motivo che si deve digiunare molto di più dopo che è arrivata con Cristo la domenica, si dovrebbe dunque digiunare anche la stessa domenica, che Dio non voglia! Forse però si espresse così per evitare che, a proposito del digiuno di quaranta giorni, gli si obbiettasse che si deve digiunare pure la domenica: perciò soggiunse che la domenica era riservata con Cristo alla Chiesa, che si sarebbe stabilita più tardi, onde farci comprendere pure che Mosè digiunò anche nel giorno successivo al sabato, in quanto non era ancora venuto Cristo, dal quale fu istituita la domenica, in cui perciò non si addice digiunare. Ma perché allora Cristo digiunò ugualmente quaranta giorni 24? E perché mai durante quei quaranta giorni non interruppe il digiuno nei giorni successivi al sabato per raccomandare fin d'allora il pasto della domenica anche prima della sua risurrezione, allo stesso modo che diede a bere il proprio sangue prima della sua passione? Tu comprendi bene che il digiuno di quaranta giorni, da costui ricordato, non prova per nulla che uno sia obbligato a digiunare il sabato, come non prova per nulla che si debba digiunare la domenica.
6. 14. Costui però non considera affatto ciò che gli si può opporre riguardo alla domenica, dal momento che, allo stesso modo che sono da riprovarsi i banchetti senza sobrietà e ogni eccesso nel mangiare e nel bere, così egli accusa i pasti del sabato, pur potendo questi essere propri di persone moderate e sobrie. Per questo motivo è inutile rispondergli punto per punto, poiché biasimando i vizi della lussuria riguardo ai pasti del sabato, ripete sempre le stesse cose, non trovando altro da dire se non cose futili e per nulla attinenti alla questione. Ora tutta la questione è sapere se il sabato ci si debba astenere dal digiuno e non già se il sabato ci si debba astenere dalla crapula, dalla quale si astengono le persone timorate di Dio anche la domenica, ancorché quel giorno non digiunino. Ma chi mai oserebbe fare l'affermazione fatta da costui? "In qual modo - dice - possono essere meritorie per noi e accette o gradite a Dio azioni che in un giorno consacrato ci inducono al peccato"? Ammette che il sabato è giorno consacrato e poi dice che si costringono le persone al peccato solo perché si mangia. Per conseguenza, secondo costui, o la domenica non è un giorno consacrato, e in questo caso il sabato è preferibile alla domenica, oppure, se anche la domenica è un giorno santificato, siamo spinti al peccato per il solo fatto che in quel giorno mangiamo.
7. 15. Costui inoltre si sforza di dimostrare con prove tratte dalla Sacra Scrittura l'obbligo di digiunare il sabato. Ma non riesce affatto a trovare alcuna prova. "Giacobbe - dice costui - mangiò e bevve vino a sazietà e s'allontanò da Dio, suo Salvatore, e in un sol giorno caddero ventitremila persone 25". Come se la Sacra Scrittura dicesse: "Giacobbe mangiò di sabato e s'allontanò da Dio, suo Salvatore". Allo stesso modo l'Apostolo nel ricordare ch'erano cadute tante migliaia di persone non dice: "Non mangiamo di sabato come fecero costoro", ma: E non fornichiamo come fecero alcuni di loro e ne caddero in un sol giorno ventitremila 26. E che vuol dire anche l'espressione biblica: E sedette il popolo a mangiare e bere e si alzò per sollazzarsi 27? Questo passo è stato bensì citato pure dall'Apostolo, ma per allontanarci dal culto degli idoli e non dal mangiare il sabato. Costui invece non prova affatto che quel fatto avvenisse di sabato ma è una sua congettura capricciosa. Ma come si può digiunare e inebriarsi quando si scioglie il digiuno, se si è ubriaconi, così pure può accadere che uno digiuni e, se è temperante, mangi assai parcamente. Perché dunque, per convincere che il sabato c'è l'obbligo del digiuno, chiama a testimonio l'Apostolo, che dice: Non v'inebriate di vino ch'è causa di dissolutezza 28, come se dicesse: "Non mangiate di sabato, perché è causa di dissolutezza"? Ma allo stesso modo che questo precetto dell'Apostolo di non inebriarsi di vino ch'è causa di dissolutezza, è messo in pratica dal Cristiani timorati di Dio quando consumano i pasti di domenica, così viene praticato quando si consumano i pasti il sabato.
7. 16. "E per replicare - dice - più esplicitamente agli erranti, col digiuno nessuno offende Iddio, anche se non acquista meriti; ora non offenderlo è già meritare". Chi mai direbbe ciò tranne chi parlasse senza riflettere che cosa dice? Così dunque quando i pagani digiunano, solo per questo non offendono maggiormente Dio? Oppure se ha voluto che la sua affermazione si dovesse intendere dei Cristiani, chi mai non offenderà Dio se vorrà digiunare la domenica con scandalo di tutta la Chiesa diffusa in ogni parte del mondo? Continua poi con l'addurre altre prove tratte dalla Sacra Scrittura ma di nessun valore per il suo assunto. "In grazia del digiuno - dice - Elia ha ottenuto in dono il paradiso e vi regna col suo corpo mortale 29", come se non raccomandassero il digiuno coloro che tuttavia la domenica non digiunano! Orbene, ciò che ho risposto a proposito dei quaranta giorni di digiuno fatto da Mosè, ritengo si debba rispondere pure a proposito dei quaranta giorni di Elia. "In grazia del digiuno - dice ancora - Daniele uscì illeso dalle fauci dei leoni, secche per la rabbia 30", come se nella Sacra Scrittura avesse letto che digiunò il sabato o che comunque fosse di sabato rimasto fra i leoni, mentre vi leggiamo che consumò pure il pranzo 31. "In grazia del digiuno - dice ancora - i tre giovani uniti tra loro da vincoli fraterni trionfarono nel carcere balenante di fiamme e adorarono il Signore accolto in quella dimora ardente 32". Neppure questi esempi di santi valgono a dimostrare l'obbligo del digiuno di qualsiasi giorno; quanto meno di sabato. Poiché non solo non si legge nella Sacra Scrittura che i tre giovani fossero gettati nella fornace col fuoco acceso in giorno di sabato, ma neppure che vi rimanessero tanto che si possa affermare vi digiunassero. Essi, al contrario, vi rimasero per lo spazio appena di un'ora in cui si può cantare il loro inno di lode e il loro cantico. Essi tra quelle fiamme innocue non passeggiarono più di quanto occorresse a portare a termine quel cantico, salvo che pure da costui non si assegni al digiuno lo spazio di un'ora sola. Se fosse così, non avrebbe alcun motivo di sdegnarsi contro coloro che il sabato mangiano, poiché il digiuno che si pratica fino all'ora di pranzo è molto più lungo di quello durato nella fornace.
7. 17. Costui cita pure come prova quel passo dell'Apostolo in cui dice: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma nella giustizia, nella pace e nella gioia provenienti dallo Spirito Santo 33. E pretende che qui regno di Dio significhi la Chiesa, perché in essa Dio ha stabilito il suo regno. Ora io ti domando: forse che l'Apostolo parlando così voleva imporre ai Cristiani l'obbligo di digiunare il sabato? Ma no; dicendo così non intendeva parlare neppure del digiuno d'alcun altro giorno. L'espressione paolina era diretta contro coloro che, secondo l'uso dei Giudei ligi all'antica Legge, reputavano che la purezza consistesse nell'astenersi da determinati cibi; ed inoltre intendeva ammonire quei fedeli che, mangiando e bevendo senza distinguere cibi e bevande, scandalizzavano i deboli. Ecco perché l'Apostolo, dopo aver detto: Non far sì che per causa del tuo cibo si perda quel tale per cui è morto Cristo, e: Non fate dunque che il nostro bene sia oggetto di biasimo 34, aggiunse: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere ecc. Poiché, se dovessimo intendere come vuole costui queste parole dell'Apostolo, che cioè il regno di Dio, ossia la Chiesa, non consista nel mangiare e bere ma nel digiuno, non dico che dovremmo digiunare il sabato, ma non prendere assolutamente mai cibo e bevanda, per non rimanere fuori dal regno di Dio. Penso allora - come egli stesso ammette - che se c'è un giorno in cui apparteniamo alla Chiesa con sentimenti di maggiore pietà, esso è la domenica quando tuttavia, ancora col suo permesso, noi mangiamo!
8. 18. "Perché mai - dice ancora costui - ricusiamo d'offrire un sacrificio caro al Signore principale, un sacrificio desiderato dallo Spirito e lodato dall'Angelo"? Come prova adduce poi quella dell'Angelo che dice: Buona cosa è la preghiera col digiuno e con l'elemosina 35. Non so cosa abbia voluto dire con l'espressione "preferito dal Signore", salvo che non sia un errore del copista e ti sia sfuggito di correggerlo nella copia che mi hai inviata da leggere. Per sacrificio caro a Dio vuole dunque che si intenda il digiuno, come se la questione verta sul digiuno e non sul digiuno del sabato. Ma la stessa domenica trascorre forse senza sacrificio, caro a Dio, per il fatto che non si digiuna? Costui però continua ad accumulare prove del tutto estranee alla causa da lui presa a difendere. Offri - dice - a Dio il sacrificio di lode 36 e volendo ricollegare, non so come, quest'espressione del salmo divino all'argomento trattato: "Certo - dice - non il banchetto del sangue e dell'ubriachezza, con cui si moltiplicano non già le lodi dovute a Dio, ma le bestemmie col favore del diavolo". Oh cieca presunzione! La domenica dunque non s'offre il sacrificio di lode, perché non si digiuna, ma si compie "un banchetto da ebbri" e "col favore del diavolo si moltiplicano le bestemmie"! Se però è illecito affermare ciò, comprenda costui che con l'espressione della Sacra Scrittura: Offri a Dio il sacrificio di lode non si intende il digiuno, il quale non viene praticato in giorni determinati, soprattutto festivi, mentre ogni giorno il Sacrificio di lode è offerto dalla Chiesa diffusa in ogni parte della terra. Altrimenti (cosa che nessuno, non dico cristiano, ma neppure pazzo, oserebbe dire) i cinquanta giorni decorrenti da Pasqua a Pentecoste, in cui non si digiuna, sarebbero - secondo costui - privi del sacrificio di lode, quando l'Alleluia si canta in molte chiese solo in quei giorni e in tutte le altre in quelli soprattutto; e nessun cristiano, per quanto si voglia ignorante, ignora che cosa è una esclamazione di lode.
8. 19. Costui però ammette che anche il pasto della domenica può consumarsi non nell'ubriachezza ma nella gioia, quando afferma che noi, Cristiani in gran numero solo di nome ma pochi eletti, discendenti dai Giudei e dai pagani, la sera del sabato dobbiamo offrire, invece di vittime di animali, il digiuno gradito a Dio mediante il canto dei salmi col quale, come distrutte dal fuoco, scompaiono le azioni peccaminose. "E al mattino - soggiunge costui - il Signore soddisfatto della nostra obbedienza ci esaudirà e avremo le case per mangiare e bere, non nell'ubriachezza, ma nella gioia, una volta terminata la festa del Signore". Allora, dunque, si celebra l'eulogia e non come affermava prima, l'alogia. Ma non so proprio in che cosa lo urti il sabato, santificato dal Signore, per cui non crede si possa in quel giorno mangiare con gioia senza trasmodare in una sbornia, potendo noi digiunare prima del sabato allo stesso modo che, secondo lui, dovremmo digiunare il sabato prima della domenica: crede forse che sia una cosa empia mangiare per due giorni di seguito? Comprenda dunque quale offesa arrechi anche alla stessa Chiesa Romana, nella quale anche in quelle settimane in cui si digiuna il mercoledì, il venerdì e il sabato, tuttavia si mangia in tre giorni di seguito, cioè la domenica, il lunedì e il martedì.
8. 20. "È certo - afferma pure - che la vita delle pecore dipende dalla volontà dei pastori: ma guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro 37". Non comprendo bene cosa vogliano dire queste sue parole. Se infatti quel tale oriundo di Roma dice così come tu scrivi, a Roma il popolo, sottomesso all'arbitrio del suo pastore, digiuna il sabato col suo vescovo. Se invece ti scrisse così perché nella tua lettera anche tu avevi scritto qualcosa di simile, non lasciarti indurre a lodare una città cristiana che digiuna il sabato, per non essere poi costretto a condannare il mondo cristiano che mangia. Quando infatti dice: Guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro, volendo darci a intendere ch'è bene e luce e dolce il digiuno del sabato e al contrario è male e tenebre e amaro il mangiare, chi potrebbe dubitare ch'egli, a proposito dei Cristiani che mangiano il sabato, condanna il mondo intero? Ma egli non riflette né s'accorge di quel che dice, se non si può trattenere dallo scrivere tali arrischiate e precipitose espressioni. Poiché subito soggiunge con l'Apostolo: Nessuno dunque vi condanni per causa di cibi o di bevande 38, cosa che fa proprio lui condannando coloro che il sabato prendono cibo e bevande. Quanto meglio sarebbe stato se gli fosse venuto in mente anche ciò che lo stesso Apostolo dice in un altro passo: Chi mangia, non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 39! Avrebbe così mantenuto, tra coloro che digiunano e quelli che mangiano al sabato, la giusta e prudente misura per evitare scandali in modo che colui il quale mangia in quel giorno non disprezzasse colui che non mangia, e colui che non mangia non si facesse giudice di chi mangia.
9. 21. "Anche Pietro - dice costui - il capo degli Apostoli, il portinaio del cielo, il fondamento della Chiesa, dopo aver sbaragliato Simone, ch'era figura simbolica del diavolo, il quale si vince solo col digiuno, insegnò questa medesima pratica ai Romani, la cui fede viene annunciata al mondo intero". Forse che, dunque, gli altri Apostoli insegnarono a tutti i Cristiani sparsi nel mondo intero a mangiare contro l'insegnamento di Pietro? Al contrario, come vissero concordi tra loro Pietro e gli altri Apostoli, così vivevano concordi tra loro digiunando di sabato quelli stabiliti nella fede da Pietro e mangiando di sabato quelli stabiliti nella fede dagli altri Apostoli. È bensì opinione di moltissimi, sebbene parecchi Romani affermino ch'è falsa, che l'apostolo Pietro per prepararsi a ingaggiare un dibattito con Simon Mago una domenica, proprio a causa del pericolo della grande prova, il giorno precedente digiunasse con tutti i fedeli della stessa Roma: avendo poi conseguito una vittoria così felice e gloriosa, continuasse poi a conservare quell'usanza imitata da alcune Chiese dell'Occidente. Ma se - come costui afferma - Simon Mago era figura simbolica del diavolo, questo non fa il tentatore certamente solo il sabato o la domenica, ma tutti i giorni; eppure non tutti i giorni si digiuna per difendersi da lui, dal momento che si mangia in tutte le domeniche e nei cinquanta giorni dopo la Pasqua e, in diverse località, nelle ricorrenze solenni dei Martiri e in tutte le feste senza eccezione. Ciononostante il diavolo si vince se i nostri occhi sono rivolti sempre al Signore, affinché estragga dal laccio i nostri piedi 40; e o mangiamo o beviamo o qualsiasi altra cosa facciamo, facciamo tutto a gloria di Dio e, per quanto sta in noi, non siamo d'inciampo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio 41. Ma a questo ammonimento non pensano sia quelli che mangiano, sia quelli che digiunano, offrendo occasione di scandalo con l'eccedere nell'una e nell'altra azione; in tal modo il diavolo non ne esce sconfitto ma baldanzoso.
9. 22. Si potrebbe forse rispondere che Giacomo a Gerusalemme, Giovanni ad Efeso e tutti gli altri Apostoli negli altri luoghi insegnarono, come insegnò Pietro a Roma, l'obbligo di digiunare il sabato, ma che, da questo insegnamento tutte le altre terre tralignarono, mentre Roma vi rimase fedele; ma si potrebbe pure, al contrario, replicare che piuttosto non conservarono l'insegnamento degli Apostoli alcune località dell'Occidente, tra cui Roma, mentre le terre dell'Oriente, donde lo stesso Vangelo cominciò ad esser predicato, rimasero, senza cambiar nulla, fedeli alla tradizione insegnata da tutti gli Apostoli insieme con Pietro, di non digiunare cioè il sabato. Ma si avrebbe allora una controversia interminabile, atta a generare litigi ma non a terminare le questioni. Sia dunque una sola la fede di tutta la Chiesa sparsa in ogni parte della terra, interna per così dire nelle membra, ancorché la stessa unità della fede si manifesti esternamente con pratiche diverse le quali non recano impaccio alla verità della fede; poiché tutta la bellezza della figlia del Re è interiore, mentre tutte le pratiche che si osservano in forma diversa sono simboleggiate nella sua veste, per cui nello stesso salmo si dice: Con frange d'oro rivestita d'una veste variopinta 42. Orbene la veste sia pure screziata per pratiche diverse, ma non venga lacerata da dispute avverse.
10. 23. "Infine - dice - se il Giudeo celebrando come festivo il sabato rifiuta di celebrare la domenica, come mai il Cristiano celebra il sabato? O siamo Cristiani e celebriamo la domenica oppure siamo Giudei e celebriamo il sabato: poiché nessuno può servire a due padroni 43". Non parla forse come se uno fosse il padrone del sabato e un altro quello della domenica 44? Non ascolta neppure quello ch'egli stesso ha già citato: Padrone del sabato è infatti il Figlio dell'uomo. Quando poi vuole che siamo contrari al sabato come i Giudei lo sono della domenica, non sbaglia forse fino al punto che potrebbe dire pure che non dovremmo accogliere né la Legge né i Profeti, come i Giudei non accolgono il Vangelo né gli Apostoli? Chi sa capire ciò, capisce pure quanto quell'asserzione puzza d'eresia! Ma tutte le cose vecchie - dice - sono passate e sono state rinnovate in Cristo 45. È vero. Per questo infatti non ci riposiamo il sabato, come fanno i Giudei, anche se, per indicare il riposo simboleggiato in quel giorno, interrompiamo l'obbligo del digiuno, pur osservando la cristiana sobrietà e frugalità. E anche se alcuni nostri confratelli non ritengono necessario indicare il riposo del sabato interrompendo il digiuno, noi non stiamo a litigare sulla varietà della veste regia, per non lacerare le membra interne della regina stessa, quando conserviamo l'unica stessa fede anche riguardo allo stesso riposo. Sì, è vero: dal momento che le cose antiche sono passate, con esse è passato pure il riposo materiale del sabato; non per questo però noi serviamo a due padroni per il fatto che prendiamo i pasti il sabato e la domenica senza astenerci per superstizione dal lavoro, poiché tanto del sabato che della domenica è uno solo il padrone.
10. 24. Costui poi, il quale dice che le cose antiche sono passate, affinché "in Cristo l'ara lasciasse il posto all'altare, la spada al digiuno, il fuoco alle preghiere, gli animali al pane, il sangue al calice", non sa che il termine "altare" è più usato nei libri della Legge e dei Profeti e che l'altare fu collocato dapprima nel tabernacolo costruito da Mosè 46; e inoltre che il termine "ara" si trova negli scritti degli Apostoli, dove si dice che i Martiri gridano a gran voce sotto l'"ara" di Dio 47. Dice che la spada ha lasciato il posto al digiuno, dimenticando quella a doppio taglio, di cui sono armati i soldati del Vangelo, consistente nell'Antico e nel Nuovo Testamento 48. Dice che il fuoco ha lasciato il posto alle preghiere, come se allora le preghiere non fossero presentate nel tempio e come se ora il fuoco non fosse stato portato nel mondo da Cristo 49. Dice che gli animali hanno lasciato il posto al pane, fingendo d'ignorare che pure allora sulla mensa del Signore si solevano porre i pani di proposizione 50 e che ora anch'egli prende una parte del corpo dell'Agnello immacolato. Dice che il sangue ha lasciato il posto al calice, senza pensare che anche adesso egli riceve il sangue nel calice 51. Quanto meglio dunque e più convenientemente avrebbe detto che le cose antiche son passate e che sono state rinnovate in Cristo, dicendo che un altare ha lasciato il posto a un altro altare, una spada a un'altra, un fuoco a un altro, una vittima a un'altra, un sangue a un altro. Poiché in tutte queste cose vediamo che le cose antiche di natura carnale, hanno lasciato il posto alle nuove, di natura spirituale. Sia dunque che si mangi sia che si digiuni da alcuni nella ricorrenza del settimo giorno, tuttavia deve intendersi che il sabato carnale ha lasciato il posto a quello spirituale, poiché in questo si brama il vero ed eterno riposo, mentre il riposo temporale che si osserva in quell'altro è ormai rigettato come superstizioso.
11. 25. Tutti gli altri argomenti con cui costui conclude la sua dissertazione, come pure alcuni altri punti che non ho ritenuto opportuno ricordare, sono molto meno attinenti alla questione se il sabato si debba digiunare o mangiare. Io li lascio considerare e giudicare da te stesso soprattutto se trovi un qualche aiuto in ciò che ho detto. Credo di aver risposto a costui sufficientemente pur nei limiti delle mie possibilità: se quindi chiedi la mia opinione su questo argomento, io ripercorrendo la questione con l'animo vedo che il digiuno è comandato nei sacri testi del Vangelo e degli Apostoli e in tutto l'insegnamento divino che si chiama il Nuovo Testamento, ma non trovo fissato con un precetto del Signore o degli Apostoli in quali giorni si debba o non si debba digiunare. Penso quindi che sia più conveniente essere larghi che stretti in fatto di digiuno, non già per ottenere, ma per esprimere simbolicamente il riposo eterno, in cui consiste il vero sabato e che si ottiene con la fede e la virtù, in cui sta la bellezza interiore della figlia del re 52.
11. 26. Però, si digiuni o si mangi di sabato, l'avvertimento che mi pare più sicuro e più rasserenante è il seguente: chi mangia non disprezzi colui che non mangia e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 53, perché non trarremo alcun profitto se mangeremo, né patiremo alcun scapito se non mangeremo 54: in tal modo non daremo scandalo a coloro tra i quali e coi quali viviamo uniti a Dio, ma rimarremo anzi in buona armonia con essi. Poiché, com'è vero quanto afferma l'Apostolo, che fa male chi mangia causando scandalo 55, così pure fa male chi digiuna causando scandalo. Badiamo quindi di non essere come quelli che, vedendo Giovanni astenersi dal mangiare e dal bere, dicevano: È posseduto dal demonio 56, ma nemmeno come quelli che, vedendo Cristo mangiare e bere, dicevano: Ecco qua un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori 57. Poiché a queste affermazioni il Signore replicò con un'affermazione molto stringente e recisa, dicendo: Alla Sapienza è stata resa giustizia dai suoi figli 58. Se poi domandi chi siano questi figli, leggi quanto sta scritto: I figli della Sapienza sono la Chiesa dei giusti 59: sono cioè quelli che, quando mangiano, non disprezzano gli altri che non mangiano e, quando non mangiano, non si fanno giudici di quelli che mangiano, ma disprezzano o giudicano quelli che non mangiano o mangiano provocando scandalo.
12. 27. Riguardo al sabato la questione è più semplice, poiché in quel giorno digiuna non solo la Chiesa di Roma, ma anche alcune altre, anche se in piccolo numero, più o meno lontane da essa. Digiunare invece di domenica è grave scandalo, soprattutto da quando è ormai ben conosciuta la detestabile eresia dei Manichei, apertamente contraria in ogni aspetto alla fede cattolica e alla Sacra Scrittura. I Manichei stabilirono per i loro uditori questo giorno come quello legittimamente prescritto per il digiuno, e per conseguenza il digiuno della domenica è reputato più abominevole. Salvo che ci sia qualcuno capace di protrarre il digiuno oltre una settimana senza prendere nel frattempo alcun ristoro in modo da avvicinarsi il più possibile al digiuno dei quaranta giorni, come sappiamo che fecero taluni. Poiché ci è stato assicurato da fratelli assai degni di fede che un tale arrivò proprio a digiunare per quaranta giorni ininterrotti. Come infatti, ai tempi degli antichi Patriarchi, Mosè ed Elia non commisero alcuna trasgressione contro il pasto del sabato allorché digiunarono per quaranta giorni, così colui che riuscirà a trascorrere sette giorni digiunando, non sceglie di propria iniziativa la domenica per digiunare, ma la incontra nei moltissimi giorni durante i quali ha fatto voto di digiunare. Tuttavia un digiuno anche continuato, se per caso deve interrompersi durante la settimana, non c'è nulla di più conveniente che interromperlo la domenica. Se però uno ristora il corpo solo dopo una settimana, non sceglie la domenica a bella posta per digiunare, ma trova quel giorno tra quelli da lui fissati per voto.
12. 28. Non deve neppure farci impressione che i Priscillianisti, molto simili ai Manichei, per provare l'obbligo di digiunare la domenica, adducono il fatto narrato negli Atti degli Apostoli e capitato all'apostolo Paolo mentr'era a Troade. Ecco il racconto della Sacra Scrittura: Nel primo giorno, essendoci radunati a spezzare il pane, Paolo ragionava con essi, avendo intenzione di partire il giorno dopo, e protrasse il discorso fino a mezzanotte. Poi, sceso dalla stanza superiore, dov'erano adunati, per risuscitare un giovanetto che, sopraffatto dal sonno, era caduto dalla finestra e veniva trasportato morto, la Sacra Scrittura così dice dello stesso Apostolo: Poi risalito, spezzato il pane e mangiatone, avendo parlato a lungo fino all'alba, se ne partì 60. Dio ne guardi dall'intendere questo nel senso che gli Apostoli fossero soliti digiunare la domenica, poiché quello ch'era chiamato nel passato il primo giorno della settimana è ora chiamato domenica, com'è indicato più esplicitamente nei Vangeli. Infatti il giorno della risurrezione del Signore, chiamato da Matteo prima sabbati, cioè il primo giorno della settimana 61, dagli altri tre [evangelisti] è chiamato una sabbati, cioè sempre il primo giorno della settimana 62. Ora l'adunanza poté aver luogo alla fine del giorno di sabato, ossia al principio della notte appartenente già alla domenica, cioè al primo giorno della settimana: in tal caso Paolo, venuto per spezzare il pane nella stessa notte, come si spezza nel sacramento del corpo di Cristo, protrasse il suo discorso fino a mezzanotte e, dopo la celebrazione del mistero Eucaristico, riprese a parlare ai fedeli riuniti nell'assemblea fino all'alba, per poter partire allo spuntar della domenica, poiché aveva molta fretta. Forse però l'adunanza poté aver luogo il primo giorno della settimana, non già durante la notte ma durante il giorno in un'ora della domenica; in tal caso coll'espressione della S. Scrittura: Paolo ragionava con essi, essendo in procinto di partire il giorno appresso 63, fu chiaramente indicato il motivo per cui protrasse il discorso, e cioè perché doveva partire e desiderava dar loro un'istruzione sufficiente. Essi dunque non erano là per digiunare solennemente la domenica, ma Paolo non stimò opportuno interrompere, per ristorarsi, quel discorso indispensabile, che era pure ascoltato con l'ardore del più infiammato desiderio; l'Apostolo inoltre doveva partire e, per causa delle sue peregrinazioni da compiere nelle più disparate località, non avrebbe altrimenti visitato mai, o solo rarissimamente, quei fedeli; ma soprattutto, come provano i fatti avvenuti successivamente, doveva allontanarsi da quelle terre senza poterli più vedere durante la vita terrena. Da ciò si dimostra che non erano soliti digiunare la domenica, poiché per evitare che i lettori potessero pensare una simile cosa, lo scrittore sacro si preoccupò di esporre il motivo per cui fu protratto il discorso: volle così pure farci capire che, qualora sorga qualche necessità, non si deve dare al pasto la precedenza su quanto urge fare; e pertanto la brama straordinaria con cui i discepoli lo ascoltavano e il pensiero che stava per allontanarsi la sorgente stessa, facevano attingere, con ardente sete non già d'acqua ma della parola, tutto ciò che sgorgava da essa, e fecero dimenticare loro non solo il pranzo ma anche la cena corporale.
12. 29. Ma sebbene allora i fedeli non fossero soliti digiunare la domenica, non s'arrecava alla Chiesa uno scandalo così grave se, per qualche necessità come quella avuta dall'apostolo Paolo, non si curavano di ristorare il corpo durante tutta la domenica fino a mezzanotte o anche fino all'alba. Adesso però che gli eretici e soprattutto i più empi tra essi, i Manichei, han cominciato non solo a praticare senza alcun necessità il digiuno nelle domeniche ma pure a insegnarlo come verità religiosa e a farne un obbligo sacro, facendone propaganda tra i Cristiani, io penso che nemmeno per una necessità simile a quella capitata a Paolo si deve imitare il suo modo di fare in quell'occasione, per non incorrere con lo scandalo in un male più grande dei bene che si può ricavare dalla predicazione. Qualunque però sia la causa per cui il cristiano è costretto a digiunare di domenica, come quella narrata negli Atti degli Apostoli 64, durante i quattordici giorni di navigazione con pericolo di naufragio (nei quali pertanto si digiunò due domeniche), non dobbiamo avere il minimo dubbio che non si deve annoverare tra i giorni di digiuno la domenica, a meno che non si faccia voto di continuare a stare per più giorni senza mangiare.
13. 30. Perché poi la Chiesa pratichi il digiuno il mercoledì e soprattutto il venerdì, sembra che si possa spiegare col fatto che, esaminando attentamente il Vangelo, si trova che i Giudei presero la decisione d'uccidere il Signore proprio il quarto giorno della settimana detto comunemente feria quarta [cioè mercoledì] 65. Il Signore poi mangiò la Pasqua coi discepoli la sera del giorno seguente, ossia al termine del giorno chiamato da noi il quinto giorno della settimana [cioè giovedì]. Egli poi fu tradito nella notte che faceva già parte del sesto giorno della settimana [cioè venerdì], ossia - com'è chiaro - del giorno della sua passione. Questo giorno, a cominciar dalla sera, era il primo giorno degli azzimi. Ma l'evangelista Matteo dice che il primo giorno degli azzimi fu il quinto giorno della settimana [= il giovedì] poiché nella sera che sopravveniva quello stesso giorno ci sarebbe stata la cena pasquale, con cui si cominciava a mangiare il pane azzimo e l'agnello immolato. Da ciò si comprende ch'era il quarto giorno della settimana, allorché il Signore disse: Voi sapete che fra due giorni sarà la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso 66; ecco perché lo stesso giorno fu consacrato al digiuno, poiché, come l'Evangelista prosegue: Allora si radunarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nella casa del sommo sacerdote, detto Caifa, e tennero consiglio per prendere Gesù con inganno e ucciderlo 67. Trascorso poi il giorno seguente, a proposito del quale l'Evangelista narra: Il primo giorno degli azzimi i discepoli s'avvicinarono a Gesù per domandargli: Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua? 68, trascorso - ripeto - questo giorno, il Signore patì la sua passione nel sesto giorno della settimana [= venerdì] come nessuno mette in dubbio; perciò il medesimo sesto giorno è consacrato giustamente al digiuno, poiché i digiuni esprimono l'umiliazione conforme a quanto dice la Sacra Scrittura: E umiliavo nel digiuno l'anima mia 69.
13. 31. Segue il sabato, in cui il corpo di Cristo riposò nel sepolcro come nella creazione del mondo Dio si riposò da tutte le sue opere 70 in quel giorno. Di qui ha avuto origine questa varietà di colori nella veste della regina, per cui alcuni popoli, soprattutto dell'Oriente, preferiscono interrompere il digiuno per indicare il riposo, altri invece preferiscono digiunare per indicare l'umiliazione della morte del Signore, come la Chiesa di Roma e alcune altre dell'Occidente. Per la verità unicamente durante le celebrazioni pasquali, per rinnovare il ricordo dell'avvenimento, in cui i discepoli si rattristarono come uomini per la morte del Signore, si digiuna da tutti in uno stesso giorno [appunto il sabato], per cui praticano con grandissimo spirito di pietà il digiuno del sabato anche quelli che in tutti gli altri sabati dell'intero anno non si astengono dai pasti: in tal modo vengono a indicare entrambi gli avvenimenti, cioè nell'unico anniversario della morte di Cristo il lutto dei discepoli e in tutti gli altri sabati il pregio del riposo. In realtà due sono le cose che c'inducono a sperare la felicità dei giusti e il termine d'ogni miseria: la morte e la risurrezione dei morti. Nella morte infatti c'è il riposo, di cui la Sacra Scrittura dice per mezzo del Profeta: Entra, o mio popolo, nelle tue stanze e nasconditi un po' fin tanto che passi l'ira del Signore 71. Nella risurrezione invece ci sarà la perfetta felicità dell'uomo nella sua integrità, cioè nel corpo e nello spirito. Di qui è avvenuto che si pensò che non si dovessero indicare ambedue queste realtà con la sofferenza del digiuno ma piuttosto con la gioia della refezione, eccetto nel sabato di Pasqua, in cui, come abbiam detto, mediante un digiuno più prolungato doveva indicarsi il lutto dei discepoli a ricordo dell'avvenimento.
14. 32. Ma, come più sopra ho ricordato, nei Vangeli e negli scritti degli Apostoli, che fanno precisamente parte del Nuovo Testamento, non troviamo prescritto in quali determinati giorni si debba osservare il digiuno; perciò anche questa pratica trova il suo posto nella varietà di colori della veste della figlia del re, cioè della Chiesa, come pure moltissime altre che sarebbe troppo difficile enumerare; per questo motivo ti voglio narrare che cosa il venerato vescovo di Milano, Ambrogio, da cui sono stato battezzato, mi rispose quando gli rivolsi una domanda su questa faccenda. Si trovava con me nella stessa città mia madre e siccome io, ancora catecumeno, non mi davo molto pensiero per queste cose, essa era preoccupata se dovesse digiunare il sabato secondo l'usanza della nostra città o mangiare secondo l'usanza della Chiesa Milanese. Per liberarla da quello stato d'ansia, interrogai in proposito il suddetto uomo di Dio. "Cosa potrei insegnare agli altri - rispose - più di quanto io stesso faccio"? Io pensavo che con questa risposta egli non aveva espresso nessun altro obbligo, tranne quello di mangiare il sabato, come sapevo ch'egli soleva fare. Ma egli soggiunse dicendo: "Quando son qui, di sabato non digiuno; quando invece sono a Roma, digiuno di sabato; e in qualunque Chiesa capiterete - disse - osservatene l'usanza, se non volete subire o provocare uno scandalo". Riferii a mia madre la risposta: ne rimase soddisfatta e non esitò ad ubbidire; io pure presi a seguire quella norma. Ma siccome capita, soprattutto in Africa, che una stessa Chiesa o Chiese di una stessa regione abbiano fedeli che il sabato mangiano e altri che digiunano, mi pare sia da seguirsi l'usanza dei vescovi ai quali è affidato il governo dei medesimi fedeli. Se perciò vuoi acconsentire al mio consiglio relativo alla presente questione (sulla quale ho parlato forse più di quanto era sufficiente), non contrastare il tuo vescovo in questa materia e seguine, senza scrupoli e senza discussioni, l'esempio pratico.