Che cosa ci lascia quando se ne va, se non se stesso, dal momento che non ci abbandona? Lui stesso è la nostra pace, lui che ha superato in sé ogni divisione. Egli è la nostra pace se crediamo in lui, e sarà la nostra pace quando lo vedremo così come egli è.
1. Nel passo del santo Vangelo, che precede immediatamente quello che è stato letto ora, il Signore Gesù aveva detto che egli e il Padre sarebbero venuti in coloro che lo amano e presso di essi avrebbero stabilito la loro dimora. Prima ancora, parlando dello Spirito Santo, aveva detto: Voi lo conoscerete, perché rimarrà presso di voi, e sarà in voi (Gv 14, 17). Perciò abbiamo concluso che le tre Persone divine abitano insieme nei fedeli come nel loro tempio. Se non che adesso dice: Queste cose vi ho detto stando ancora con voi (Gv 14, 25). Quella stabile dimora, dunque, che promette nel futuro, è diversa da questa che dichiara già in atto. Quella è spirituale e si attua nel profondo dell'anima, questa è corporale ed esteriore, e tale che si può vedere e sentire. Quella rende beati in eterno i redenti, questa è una visita nel tempo in ordine alla redenzione. Nel primo caso il Signore non si allontana da quelli che lo amano, nel secondo caso viene e va. Queste cose vi ho detto stando ancora con voi, cioè quando era con loro fisicamente, e visibilmente si intratteneva con loro.
2. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14, 26). Forse il Figlio si limita a parlare e lascia allo Spirito Santo il compito di insegnare, di modo che dal Figlio ascoltiamo soltanto le parole e potremo comprenderle soltanto quando lo Spirito Santo ce le insegnerà? Come se il Figlio parlasse senza lo Spirito Santo, o lo Spirito Santo insegnasse indipendentemente dal Figlio. O non si deve invece dire che anche il Figlio insegna e anche lo Spirito Santo parla, e, quando Dio parla e insegna, è tutta la Trinità che parla e insegna? Ma siccome Dio è Trinità, occorreva menzionare le singole persone, perché ne sentissimo parlare distintamente e le considerassimo inseparabili. Ascolta il Padre che parla, quando leggi: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio (Sal 2, 7). Ascolta il Padre che insegna, quando leggi: Chiunque ha ascoltato il Padre e ha accolto il suo insegnamento viene a me (Gv 6, 45). Hai sentito ora il Figlio che parla, e che di se stesso dice: tutto ciò che vi ho detto; e se vuoi renderti conto che egli anche insegna, ricorda ciò che il Maestro dice: Uno solo è il vostro maestro: Cristo (Mt 23, 10). Quanto allo Spirito Santo, di cui hai sentito dire adesso: Egli vi insegnerà ogni cosa, ascoltalo mentre parla, quando leggi negli Atti degli Apostoli che lo Spirito Santo disse a san Pietro: Su, va' con loro, perché li ho mandati io (At 10, 20). Tutta la Trinità, dunque, parla e insegna; ma se non venisse di volta in volta designata anche nelle singole persone, certamente l'umana debolezza non arriverebbe mai a individuarle. Ed essendo le tre Persone indivisibili, non avremmo mai saputo che sono Trinità, se di essa si parlasse sempre collettivamente; infatti, quando diciamo Padre e Figlio e Spirito Santo, distinguiamo le persone, sebbene esse siano necessariamente inseparabili. Quanto alle parole: Egli vi rammenterà, dobbiamo tener presente, e non dobbiamo mai dimenticarlo, che i suoi salutari ammonimenti appartengono all'ordine della grazia, che lo Spirito Santo ci rammenta.
[Promette la pace. ci darà la "sua" pace.]
3. Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14, 27). Questo è ciò che leggiamo nel profeta: Pace su pace. Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. Ci lascia la pace in questo mondo, ci darà la sua pace nel secolo futuro. Ci lascia la sua pace affinché noi, permanendo in essa, possiamo vincere il nemico; ci darà la sua pace, quando regneremo senza timore di nemici. Ci lascia la pace, affinché anche qui possiamo amarci scambievolmente; ci darà la sua pace lassù, dove non potrà esserci più alcun contrasto. Ci lascia la pace, affinché non ci giudichiamo a vicenda delle nostre colpe occulte, finché siamo in questo mondo; ci darà la sua pace quando svelerà i segreti dei cuori, e allora ognuno avrà da Dio la lode che merita (cf. 1 Cor 4, 5). In lui è la nostra pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14). Egli è la nostra pace, sia adesso che crediamo che egli è, sia allorché lo vedremo come egli è (cf. 1 Io 3, 2). Se infatti egli non ci abbandona esuli da sé, mentre dimoriamo in questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima e camminiamo nella fede e non per visione (cf. 2 Cor 5, 6-7), quanto maggiormente ci riempirà di sé quando finalmente saremo giunti a vederlo faccia a faccia?
4. Ma perché, quando dice: Vi lascio la pace, non dice: la mia pace, mentre aggiunge mia quando dice: Vi do la mia pace? Forse il possessivo mia si deve sottintendere in modo che si possa riferire a tutte e due le volte che il Signore pronunzia la parola "pace", anche se esplicitamente lo dice una volta sola? O c'è anche qui un segreto, per cui bisogna chiedere e cercare, e solo a chi bussa sarà aperto? Che meraviglia, se ha voluto che per sua pace si intendesse solo quella che egli possiede? Questa pace, invero, che ci ha lasciato in questo mondo, è da considerarsi piuttosto nostra che sua. Egli, non avendo alcun peccato, non porta in sé alcun contrasto; noi invece possediamo ora una pace che non ci dispensa dal dire: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6, 12). Esiste dunque per noi una certa pace, quando, secondo l'uomo interiore ci compiacciamo nella legge di Dio; ma questa pace non è completa, in quanto vediamo nelle nostre membra un'altra legge che è in conflitto con la legge della nostra ragione (cf. Rm 7, 22-23). Esiste pure per noi una pace tra noi, in quanto crediamo di amarci a vicenda; ma neppure questa è pace piena, perché reciprocamente non possiamo vedere i pensieri del nostro cuore, e, per cose che riguardano noi, ma che non sono in noi, ci facciamo delle idee, gli uni degli altri, in meglio o in peggio. Questa è la nostra pace, anche se ci è lasciata da lui; e non avremmo neppure questa, se non ce l'avesse lasciata lui. La sua pace, però, è diversa. Ma se noi conserveremo sino alla fine la nostra pace quale l'abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, lassù dove da noi non potranno più sorgere contrasti, e nulla, nei nostri cuori, rimarrà occulto gli uni agli altri. So bene che in queste parole del Signore si potrebbe vedere semplicemente una ripetizione. Vi lascio la pace, vi do la mia pace; dice: pace, e ripete: la mia pace; dice: vi lascio, e ripete: vi do. Ciascuno interpreti come vuole. Ciò che importa a me, e credo anche a voi, miei cari fratelli, è conservare questa pace quaggiù dove concordi possiamo vincere l'avversario, e anelare a quella pace lassù dove non soffriremo più alcun avversario.
5. La precisazione, poi, che il Signore fa: non ve la do come la dà il mondo (Gv 14, 27), che altro significa se non questo: non ve la do come la danno coloro che amano il mondo? I quali appunto si danno la pace per godersi, al riparo di ogni contesa e guerra, non Dio, ma il mondo loro amico; e quella pace che concedono ai giusti, evitando di perseguitarli, non può essere pace vera, non potendo esistere vera concordia là dove i cuori sono divisi. Come infatti si chiama consorte chi a te unisce la sua sorte, così si può chiamare concorde solo chi a te unisce il cuore. E noi, o carissimi, ai quali Cristo ha lasciato la pace e dà la sua pace, non come la dà il mondo, ma come la dà lui per mezzo del quale il mondo è stato fatto, se vogliamo essere concordi, uniamo insieme i cuori e, formando un cuor solo, eleviamolo in alto affinché non si corrompa sulla terra.