Chi potrà spiegare l'esultanza di Abramo, che da lontano vide il giorno di Cristo? Se gioirono quelli ai quali il Cristo aprì gli occhi della carne, quale non dovette essere il gaudio di colui che vide con gli occhi del cuore la luce ineffabile, il Verbo che è presso il Padre, la sapienza indefettibile?
1. Nel passo del santo Vangelo, letto oggi, colui che è potenza c'insegna la pazienza. Che siamo noi infatti? Servi di fronte al Signore, peccatori di fronte al Giusto, creature di fronte al Creatore. Se siamo cattivi, lo siamo da noi; se in qualche misura siamo buoni, lo siamo da lui e per grazia sua. Niente cerca l'uomo quanto la potenza, e in Cristo Signore trova grande potenza; ma per giungere alla potenza del Signore, l'uomo deve prima imitare la sua pazienza. Chi di noi sopporterebbe pazientemente un insulto come questo: Sei indemoniato? E questo fu detto a colui che non solo salvava gli uomini, ma comandava anche ai demoni.
2. Delle due accuse rivoltegli dai Giudei: Sì, abbiamo ragione di dire che sei un samaritano e un indemoniato (Gv 8, 48), una la respinse, l'altra no. Rispose infatti: Io non sono un indemoniato (Gv 8, 49). Non disse: non sono un samaritano; eppure due erano state le accuse. Benché non abbia reso maledizione per maledizione, né respinto l'insulto con un altro insulto, tuttavia si limitò a respingere un'accusa senza respingere l'altra. E ciò non senza motivo, o fratelli. Samaritano infatti vuol dire custode: e il Signore sapeva di essere il nostro custode. Infatti non chiude occhio né dorme il custode d'Israele (Sal 120, 4), e se Dio non custodisce la città, invano vegliano le guardie (Sal 126. 1). Colui che è il nostro creatore è anche il nostro custode. Se egli ha il compito di redimerci, non avrà quello di custodirci? Se volete poi approfondire il mistero per cui egli non si difese dall'accusa di essere un samaritano, richiamate la famosa parabola che narra di quell'uomo che mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico incappò nei ladroni, i quali, dopo averlo gravemente ferito, lo abbandonarono sulla strada mezzo morto. Passò il sacerdote e non si curò di lui; passò il levita e andò oltre; finalmente passò un samaritano, colui che è il nostro custode. Egli si accostò al ferito, ne ebbe misericordia, si comportò come prossimo di colui che non considerò un estraneo (cf. Lc 10, 30-37). Ecco perché il Signore respinse l'accusa di indemoniato, ma non quella di samaritano.
3. Di fronte a un tale insulto, in difesa della sua gloria disse soltanto questo: Ma onoro mio Padre, e voi mi oltraggiate (Gv 8, 49). Cioè, io non rivendico il mio onore, per non sembrarvi arrogante; so a chi devo rendere onore. Se voi mi conosceste, mi rendereste onore così come io onoro il Padre. Io faccio il mio dovere, voi invece non lo fate.
4. Io peraltro - aggiunge - non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica (Gv 8, 50). Di chi intende parlare, se non del Padre? In altra occasione aveva detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 22), mentre qui dice: Io non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica. Se è il Padre che giudica, in che senso non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio?
[Due tipi di tentazione.]
5. Per risolvere questa difficoltà, tenete presente un'espressione analoga a questa. Sta scritto: Dio non tenta nessuno (Gc 1, 13); e sta scritto altresì: Il Signore Dio vostro vi tenta, per sapere se lo amate (Dt 13, 3). Come vedete, anche qui vi è una difficoltà. Come si può dire che Dio non tenta nessuno e che il Signore Dio vostro vi tenta per sapere se lo amate? Così pure sta scritto: Non c'è timore nella carità, ma la carità perfetta scaccia ogni timore (1 Io 4, 18), mentre altrove è scritto: Il casto timore del Signore rimane per i secoli dei secoli (Sal 18, 10). Anche questa è una difficoltà. Com'è possibile infatti che la carità perfetta scacci ogni timore, se il timore casto del Signore permane nei secoli dei secoli?
6. Ci rendiamo conto che esistono due tipi di tentazione: una che inganna, l'altra che mette alla prova. Secondo la tentazione che inganna, Dio non tenta nessuno; secondo quella che mette alla prova, il Signore vostro Dio vi tenta, per sapere se lo amate. Ma qui nasce un'altra difficoltà: come può tentare per sapere, colui che sa già tutto prima di tentare? Non è dunque che Dio non sappia: ma si dice per sapere intendendo "per far sapere a noi". Espressioni simili usiamo anche nei nostri discorsi, e si trovano anche nei maestri di eloquenza. A proposito del nostro modo di parlare noi diciamo, ad esempio, che una fossa è cieca, non perché abbia perduto gli occhi ma perché essendo nascosta ci impedisce di vederla. Prendiamo un esempio anche dagli autori classici: Virgilio dice che i lupini sono tristi (Virgilio, Georg. 1, 75), cioè amari; non perché siano tristi, ma perché a gustarli contristano, cioè rendono tristi. Espressioni simili si trovano anche nella Scrittura. Lo studioso di tali questioni non fa fatica a risolverle. Dunque il Signore vostro Dio vi tenta, per sapere, cioè per farvi sapere, se lo amate. Giobbe non si conosceva, Dio però lo conosceva. Permise che fosse tentato, e così potesse conoscere se stesso.
[Timore servile e timore casto.]
7. Che dire dei due generi di timore? C'è il timore servile e il timore casto: uno è il timore di colui che teme il castigo, l'altro di chi teme di perdere la giustizia. Il timore del castigo è il timore servile. E' una gran cosa temere il castigo? Questo timore ce l'ha anche lo schiavo più iniquo, anche il ladrone più crudele. Non è gran cosa temere il castigo, ma è gran cosa amare la giustizia. Chi dunque ama la giustizia, non teme nulla? Teme, sì, ma non tanto di incorrere nel castigo, quanto piuttosto di perdere la giustizia (1 Io 4, 18). Siatene convinti, fratelli, e in base a questo rendetevi conto di ciò che amate. Qualcuno di voi ama il denaro. Riuscirò a trovare qualcuno che non lo ama? Ebbene, proprio perché egli ama riuscirà a capire quanto dico. Egli teme un danno. Perché teme un danno? Perché ama il denaro. Quanto più lo ama tanto più teme di perderlo. Così, se uno ama la giustizia, paventa piuttosto un danno morale, teme la perdita della giustizia più di quanto tu non tema la perdita del denaro. Ecco il timore casto, quel timore che permane nei secoli dei secoli: la carità non lo elimina né lo caccia via, ma, anzi, lo accoglie, lo custodisce e se lo tiene stretto come un compagno fedele. Siamo in cammino verso il Signore, finché lo vedremo faccia a faccia. Il timore casto ci custodisce presso di lui; non ci reca turbamento, ma ci rassicura. La donna adultera teme che venga suo marito, la donna casta teme che suo marito se ne vada.
8. Sicché, secondo un tipo di tentazione Dio non tenta nessuno, mentre secondo un altro, il Signore Dio vostro vi tenta. Secondo un certo timore, non esiste timore nella carità, ma la carità perfetta scaccia il timore; secondo un altro genere, il timore casto del Signore permane nei secoli dei secoli. Così, secondo un certo giudizio, il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; secondo un altro giudizio, Io - disse il Signore - non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica.
9. Vediamo di risolvere questa difficoltà con le sue stesse parole. Nel Vangelo si parla di giudizio penale: Chi non crede, è già giudicato (Gv 3, 18); e in un altro passo: Viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Gv 5, 28-29). Vedete che dice giudizio invece di condanna e di pena? Tuttavia se giudizio si dovesse prendere sempre nel senso di condanna, direbbe il salmo: Giudicami, o Dio? In quel caso giudizio significa afflizione, qui invece distinzione. Quale distinzione? Lo dice colui che ha detto: Giudicami, o Dio. Lo dice proseguendo: e distingui la mia causa - dice - da gente non santa (Sal 42, 1). Ora, nel senso in cui è detto giudicami, Dio, e distingui la mia causa da gente non santa, Cristo Signore dice ora: Io non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica. In che senso c'è chi la cerca e giudica? E' il Padre che discerne e separa la mia gloria dalla vostra. Voi vi gloriate secondo il mondo; non cerco questa gloria io che dico al Padre: Padre, glorificami con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse (Gv 17, 5). Quale gloria? E' una gloria che si distingue dalla gonfiatura degli uomini. In questo senso giudica il Padre. Che significa giudica? Significa distingue. Che cosa distingue? La gloria di suo Figlio dalla gloria degli uomini; e in tal senso è detto: Ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di letizia sopra i tuoi compagni (Sal 44, 8). Infatti, sebbene si sia fatto uomo, non per questo deve essere messo sul nostro piano. Noi siamo uomini con il peccato, egli è senza peccato: noi siamo uomini che ereditiamo da Adamo la morte e la colpa, egli ha preso dalla Vergine la carne mortale, ma non l'iniquità. Inoltre, noi non siamo nati perché lo abbiamo voluto, né viviamo quanto vogliamo, né moriamo come vogliamo. Egli, invece, prima di nascere scelse la donna dalla quale doveva nascere; appena nato, si fece adorare dai magi; crebbe come ogni altro bambino, si rivelava Dio nei suoi miracoli e uomo nella sua debolezza Finalmente scelse tra i vari tipi di morte la crocifissione, affinché sulla fronte dei fedeli fosse posto il segno della croce e il cristiano potesse dire: Non sia mai che io mi glori d'altro fuorché della croce di nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6, 14). Sulla croce abbandonò il suo corpo quando volle, e se ne andò; rimase nel sepolcro quanto volle, e quando volle si levò dal sepolcro come da un letto. Quindi, o fratelli, anche secondo la forma di servo [chi infatti potrà penetrare e proferire in modo adeguato le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? (Gv 1, 1)], anche secondo questa forma di servo, ripeto, c'è molta distanza tra la gloria di Cristo e la gloria degli altri uomini. Parlava di questa gloria quando si sentì chiamare indemoniato: Io non cerco la mia gloria: c'è chi la cerca e giudica (Gv 8, 50).
10. E tu, o Signore, che dici di te stesso? In verità, in verità vi dico: chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno (Gv 8, 51). Voi dite che io sono un indemoniato e io vi chiamo alla vita: custodite la mia parola e non morirete. Lo sentivano dire: Chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno e si infuriavano, perché erano già morti di quella morte che avrebbero dovuto evitare. Gli dissero i Giudei: Questa volta sappiamo che sei un indemoniato! Abramo è morto, anche i profeti; e tu dici: chi osserva la mia parola non gusterà la morte in eterno (Gv 8, 52). Notate come si esprime la Scrittura: non vedrà, cioè non gusterà la morte: vedrà la morte, gusterà la morte. Chi può vedere, chi può gustare la morte? Che occhi possiede l'uomo per vedere quando muore? Quando la morte viene, chiude anche gli occhi perché non vedano nulla; in che senso allora dice: non vedrà la morte? Ed inoltre, con quale palato, con quale bocca si gusta la morte, per distinguerne il sapore? Se la morte priva di tutti i sensi, che rimarrà nel palato? Quindi dice vedrà e gusterà nel senso di una piena esperienza.
[La vera morte.]
11. Queste cose il Signore le diceva a gente che doveva ovviamente morire, allorché lui stesso stava per morire, poiché anche per il Signore ci fu l'epilogo della morte (Sal 67, 21), come dice il salmo. Parlando dunque a dei morituri, egli che pure sarebbe morto, cosa voleva intendere dicendo: Chi osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno? che egli vedeva un'altra morte dalla quale era venuto a liberarci: la morte seconda, la morte eterna, la morte dell'inferno, la morte della dannazione assieme al diavolo e ai suoi angeli. Quella è la vera morte, perché questa non è che una emigrazione. In che consiste questa morte? Nell'abbandonare il corpo, nel deporre un pesante fardello; sempre che l'uomo non sia carico di un altro fardello che lo faccia precipitare nell'inferno. E' a questa morte che il Signore alludeva quando disse: Chi osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno.
12. Non dobbiamo temere questa morte corporale, ma quella eterna. E la cosa più grave è che molti, temendo esageratamente questa, hanno finito per cadere in quella. A taluni fu intimato: Adorate gli idoli altrimenti sarete uccisi; o come disse Nabucodonosor: Se non lo farete sarete gettati nella fornace ardente (Dn 3, 15). Molti si spaventarono e adorarono gli idoli: non volevano morire, e sono morti; temendo quella morte dalla quale non si può sfuggire, sono caduti in quell'altra morte che potevano felicemente evitare, se non avessero, i miseri, temuto questa che è inevitabile. Sei nato uomo, dovrai morire. Dove andrai per non morire? Che farai per non morire? Il tuo Signore volontariamente si degnò di morire per consolarti nella tua morte inevitabile. Guardando Cristo morto, ti ribellerai alla morte? Dovrai morire, non c'è scampo. Sarà oggi, sarà domani, accadrà: è un debito che devi pagare. Che fa uno che ha paura? fugge, si nasconde per non farsi trovare dal nemico; riuscirà a evitare la morte? Riuscirà solo a morire un poco più tardi. Non riesce a liberarsi dal debito, chiede solo una dilazione. Ma, per quanto riesca a rimandare il pagamento, giungerà la scadenza. Temiamo dunque quella morte che temevano quei tre giovani, i quali dissero al sovrano: Dio è abbastanza potente per liberarci anche da queste fiamme (Dn 3, 17-18); ma ancorché - e qui c'era il timore di quella morte che ora il Signore minaccia -, ma ancorché egli non voglia liberarci apertamente, può in segreto darci la corona. Così il Signore, per formare i martiri, egli che sarebbe stato il capo dei martiri, disse: Non vogliate temere coloro che uccidono il corpo, e, oltre a ciò, non possono fare di più. In che senso non possono fare di più, se, dopo aver ucciso il corpo, possono far dilaniare il cadavere dalle belve e farlo sbranare dagli avvoltoi? Pare che alla crudeltà rimanga qualcosa da fare. Ma contro chi? Contro chi ha già lasciato la terra. Il corpo è ancora lì, ma è privo di sensi. L'abitazione giace al suolo, ma il suo abitatore se n'è andato. Oltre a ciò, quindi, non possono fare di più; non possono far più niente ad uno che non sente più niente. Temete piuttosto colui che può far perire e anima e corpo nella geenna (Mt 10, 28; Lc 12, 4-5). Ecco di quale morte parlava il Signore, quando diceva: Chi osserverà la mia parola, non vedrà la morte in eterno. Osserviamo dunque, o fratelli, la sua parola mediante la fede; così giungeremo alla visione e conseguiremo la perfetta libertà.
13. Quei tali allora si sdegnarono (erano morti e predestinati alla morte eterna) e risposero in modo insolente: Ora sappiamo che sei un indemoniato! Abramo è morto e anche i profeti (Gv 8, 52). Ma di questa morte, di cui il Signore intende parlare, non è morto né Abramo né i profeti. Morirono infatti, ma son vivi; a differenza di costoro che, sebbene vivi, son morti. In altra occasione, infatti, rispondendo alle obiezioni dei sadducei, il medesimo Signore rispose così: Circa la risurrezione dei morti non avete letto ciò che il Signore disse a Mosè dal roveto: Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe? Non è il Dio dei morti ma dei vivi! (Mt 22, 31-32; Es 3, 6). Se dunque essi vivono, procuriamo di vivere in modo tale da poter vivere con loro dopo la nostra morte. Chi pretendi di essere?, replicarono i Giudei, tu che dici: Chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno?, sai infatti benissimo che anche Abramo e i profeti sono morti.
14. Rispose Gesù: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla; è il Padre mio che mi glorifica (Gv 8, 54). Questo disse in risposta alla loro domanda: Chi pretendi di essere? Egli attribuisce la sua gloria al Padre dal quale ha l'essere Dio. Talvolta gli ariani prendono spunto anche da queste parole per calunniare la nostra fede, dicendo: Vedete, il Padre è più grande; tanto è vero che glorifica il Figlio. O eretico, non hai letto che altrove il Figlio stesso dichiara di glorificare il Padre (cf. Gv 17, 4)? Se dunque il Padre glorifica il Figlio e il Figlio glorifica il Padre, lascia la tua ostinazione, riconosci la loro uguaglianza ed emenda la tua perversità.
[Manichei e marcioniti.]
15. Egli disse: E' il Padre mio che mi glorifica; lui, di cui voi dite: è Dio nostro, e non lo avete conosciuto (Gv 8, 54-55). Vedete, fratelli miei, come Padre di Cristo sia appunto quel Dio che fu annunziato anche ai Giudei. Dico questo perché alcuni eretici sostengono che il Dio annunziato nell'Antico Testamento non è il Padre di Cristo, ma non so quale principe degli angeli perversi. Così dicono i manichei e i marcioniti. Ci sono forse altri eretici, che non meritano di essere ricordati o che in questo momento non ricordo: però non sono mancati altri che hanno sostenuto questo. Fate dunque attenzione, per sapere come rispondere a costoro. Cristo Signore chiamò suo Padre colui che essi chiamavano loro Dio, però senza conoscerlo: se infatti lo avessero conosciuto avrebbero accolto suo Figlio. Io invece lo conosco, dice il Signore. Ad essi che giudicavano secondo la carne, poté sembrare presuntuosa l'affermazione: Io invece lo conosco. Guardate però che cosa segue: E se dicessi che non lo conosco sarei, come voi, un mentitore. Non deve succedere che, per evitare la taccia di presuntuosi, si abbandoni la verità. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. In quanto Figlio, egli proferiva la parola del Padre: ed egli stesso era il Verbo del Padre che parlava agli uomini.
[Abramo vide ed esultò.]
16. Abramo, il padre vostro, esultò al pensiero di vedere il mio giorno; lo vide e ne gioì (Gv 8, 56). Magnifica testimonianza resa ad Abramo, dal discendente di Abramo, dal creatore di Abramo. Abramo esultò - dice - al pensiero di vedere il mio giorno. Non ebbe timore, ma esultò nella speranza di vedere. Era in lui la carità che caccia via il timore (cf. 1 Io 4, 18). Non dice che esultò perché lo vide; ma che esultò nella speranza di vederlo. Credendo in lui, esultò nella speranza, in attesa di poterlo vedere mediante l'intelligenza. E vide. Cosa poteva, o cosa doveva dire di più il Signore Gesù Cristo? Lo vide e ne gioì. Chi potrà esprimere questo gaudio, o fratelli miei? Se tanto gioirono coloro ai quali il Signore aprì gli occhi della carne, quale fu il gaudio di chi poté vedere con gli occhi del cuore la luce ineffabile, il Verbo che permane, lo splendore che rifulge nelle anime fedeli, la sapienza indefettibile, colui che come Dio dimora presso il Padre e che, senza abbandonare il seno del Padre, sarebbe venuto un giorno nella carne? Tutto questo vide Abramo. Quanto all'espressione il mio giorno, può riferirsi sia al giorno temporale del Signore in cui egli sarebbe venuto nella carne, sia al giorno del Signore che non ha aurora e non conosce tramonto,. Ma io sono certo che il padre Abramo conosceva l'uno e l'altro giorno. E come lo provo? Dobbiamo contentarci della testimonianza di nostro Signore Gesù Cristo. Credo sia molto difficile, se non impossibile, precisare in che senso Abramo esultò al pensiero di vedere il giorno di Cristo, e in che senso vide e ne gioì. Ammettiamo pure l'ipotesi che non si riesca a trovare un passo dove risulti chiaro; dovremo concludere che la Verità ha mentito? Noi crediamo alla Verità, e non dubitiamo minimamente dei meriti di Abramo; tuttavia ascoltate un particolare che mi viene in mente ora. Quando il padre Abramo mandò il suo servo a cercare moglie per suo figlio Isacco, gli fece giurare che avrebbe compiuto fedelmente la missione con piena consapevolezza. Si trattava infatti di una cosa importante, come era quella di procurare una sposa al discendente di Abramo. Ma affinché il servo si rendesse conto di quanto aveva appreso Abramo, di non desiderare cioè nipoti secondo la carne né di preoccuparsi della sua discendenza carnale, disse al servo nell'atto di congedarlo: Metti la tua mano sotto il mio fianco, e giura per il Dio del cielo (Gn 24, 2-3). Che relazione c'è tra il Dio del cielo e il fianco di Abramo? Subito scorgete qui un mistero: per mezzo del fianco si intende la discendenza. Cosa voleva dunque significare quel giuramento, se non che dalla discendenza di Abramo sarebbe venuto nella carne il Dio del cielo? Gli stolti rimproverano Abramo per aver detto: Metti la tua mano sotto il mio fianco. Coloro che criticano l'azione di Abramo sono quelli stessi che criticano la carne di Cristo. Invece noi, o fratelli, se riteniamo degna di venerazione la carne di Cristo non possiamo disprezzare il fianco di Abramo, ma consideriamo quel gesto come una profezia. E infatti Abramo era profeta. Profeta di chi? Profeta della sua discendenza e del suo Signore. Dicendo: Metti la tua mano sotto il mio fianco, si riferì alla sua discendenza; aggiungendo: e giura per il Dio del cielo, si riferì al suo Signore.
17. Adirati i Giudei risposero: Non hai ancora cinquant'anni, e hai veduto Abramo? E il Signore: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono (Gv 8, 57-58). Pesa le parole e intendi il mistero. Prima che Abramo fosse: fosse si riferisce alla creatura umana; sono si riferisce alla divina essenza. Fosse, perché Abramo era una creatura. Non disse il Signore: Prima che Abramo esistesse, io ero; ma disse: Prima che Abramo fosse fatto - e non poté esser fatto se non per mezzo di me -, io sono. Neppure disse: Prima che Abramo fosse fatto, io sono stato fatto. In principio - infatti - Dio fece il cielo e la terra; e in principio era il Verbo. Quindi, prima che Abramo fosse, io sono. Riconoscete il Creatore, non confondetelo con la creatura. Colui che parlava era discendente di Abramo; ma perché potesse chiamare Abramo all'esistenza, doveva esistere prima di lui.
18. Crebbe il loro furore come se apertamente il Signore avesse insultato Abramo. L'affermazione, infatti, di Cristo Signore: Prima che Abramo fosse fatto, io sono, per loro suonò come bestemmia. Presero, allora, dei sassi per tirarglieli. Tanta durezza a che cosa poteva ricorrere se non ai sassi, ad essi somiglianti? Ma Gesù reagì come uomo, secondo la sua forma di servo, secondo la sua umiltà come chi avrebbe dovuto patire, morire e redimerci con il suo sangue; non come colui che è, cioè non come Verbo che era in principio, e Verbo presso Dio. Quando dunque quelli presero i sassi per tirarglieli, che meraviglia se la terra immediatamente si fosse aperta per inghiottirli, sicché, invece dei sassi, avessero trovato l'inferno? Ciò non sarebbe costato molto a Dio, ma era sua intenzione manifestare piuttosto la pazienza che la potenza. Gesù, dunque, si nascose, per non essere lapidato. Come uomo si difende dai sassi, allontanandosi; ma guai a coloro dai quali Dio si allontana perché hanno il cuore di sasso!